I difficili anni del jazz

I difficili anni del jazz

Louis Armstrong (cr. Library of Congress Wikimedia commons)

Resistenza, la musica anche nei lager

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Il 24 aprile 1944 al Teatro Duse di Bergamo il concerto jazz di Gorni Kramer viene interrotto dai gerarchi fascisti, l’orchestra è costretta a sospendere l’esecuzione di brani “filo-americani” e a Natalino Otto viene intimato di interpretare Giovinezza e intonare l’inno fascista.

Gorni Kramer fra Garinei e Giovannini (cr. Wikimedia commons)

Il ricordo non può che andare alla sera del 14 maggio 1931, presso il Teatro Comunale di Bologna quando era stato “chiesto” a Arturo Toscanini, dichiarato antifascista, di inserire nella scaletta del suo concerto l’inno fascista, Giovinezza e l’Inno reale.

 Il suo rifiuto non venne tollerato da un gruppo di camicie nere, che lo assalirono all’ingresso laterale del teatro, colpendolo con schiaffi e pugni. Il concerto fu soppresso e Toscanini da quel momento decise di vivere all’estero e non dirigerà più in Italia fino alla Liberazione

La musica jazz, in particolare quella di ispirazione nero-americana, pur fortemente osteggiata dal regime fascista, riesce in qualche modo a sopravvivere, anche se saranno attuate aspre manifestazioni di opposizione, culminate in vere e proprie disposizioni e divieti da parte degli organi del partito fascista.

Gorni Kramer rappresenta l’esempio più significativo di come un musicista jazz, pur in presenza dell’ostilità fascista, riesca ad affermarsi e ad avere successo.

“Il caso di Gorni Kramer, cresciuto nell’orchestrina del padre, diplomato in contrabbasso al conservatorio parmense, divenuto forse il più importante fisarmonicista jazz e arrangiatore dei più importanti musicisti e cantanti dell’epoca, è emblematico. La capacità di Kramer di affermarsi, nonostante l’ostracismo fascista al jazz, sta a significare la straordinaria duttilità e abilità del musicista dell’epoca di cogliere gli spazi e gli interstizi del momento per costruire la propria carriera e fortuna”. Così ne parla Carmelo Maria Lanzafame nel suo libro Battaglieri!

Louis Armstrong è il primo importante musicista americano che si esibisce in Italia in quegli anni e tiene due concerti con la sua orchestra a Torino il 15 e il 16 gennaio 1935. Insieme a Sidney Bechet, è stato l’unico rilevante jazzista americano a suonare in Italia prima della guerra.


Giancarlo Testoni fondatore del Circolo Junior di Milano (cr. collezione familiare Wikimedia commons)
 
La situazione italiana, nonostante i divieti, resta in ogni caso interessante. Nel 1933 nasce a Torino il primo Hot Club, Circolo del Jazz, a cui seguirà nel 1936 Hot Jazz del Circolo Junior di Milano fondato da Giancarlo Testoni. Il fenomeno degli Hot Club, si diffonderà poi in tutto il paese e diventerà il principale strumento di divulgazione e conoscenza della musica jazz nell’immediato dopoguerra.

Come ricordato, la musica jazz, pur aspramente contrastata dal regime fascista, riesce a restare viva, grazie a coraggiosi musicisti e appassionati, ricorrendo a grotteschi sotterfugi, come far comparire i titoli dei brani eseguiti e i nomi dei musicisti americani, tradotti in improbabili vocaboli italiani.

Benny Goodman, terzo da sinistra, con i suoi musicisti (cr. Fred Palumbo Wikimedia commons)

Ad esempio Louis Armstrong diviene Luigi Braccioforte, Benny Goodman viene ribattezzato Beniamino Buonomo, Duke Ellington come Del Duca, Coleman Hawkins veniva chiamato Colèma, il Quintetto dell’Hot Club de France diviene I Cinque Diavoli del Ritmo. Un altro tipo di stravagante traduzione fu quella che dovettero subire diversi brani della musica jazz americana: St. Louis Blues prende il nome di Le tristezze di San Luigi, Sonny Boy diviene Dormi bimbo mio adorato, In the mood viene ribattezzato Tristezze oppure Con Stile, Stompin’ at the Savoy ebbe la fortuna di venir chiamato Savoiardi.

Anche diversi musicisti jazz emiliani di quegli anni hanno partecipato a loro modo alla lotta antifascista, come ad esempio Claudio Gambarelli, che diverrà poi un affermato batterista e produttore musicale.

“Durante la Resistenza, da partigiano, teneva una radio clandestina, che smontava e rimontava negli spostamenti tra un concerto e l’altro – lo ricorda Adriano Mazzoletti nel libro Il jazz in Italia. Dallo swing agli anni Sessanta -. Solo dopo la guerra ho scoperto che Gambarelli era un partigiano e aveva addirittura una radio clandestina, che io e Franco (Cerri, ndr), senza saper nulla avevamo anche fatto da corrieri portando i pezzi della radio che, smontati, sembravano cose di nessuna importanza e passavano inosservati alle perquisizioni”.

Anche il Ministero dell’Educazione popolare tedesco decise la condanna totale del jazz, accusandolo di essere in conflitto con il concetto europeo di musica, in quanto non ariana. In Germania, negli anni trenta il jazz è stato una musica di opposizione, non direttamente politica, ma di dissenso sociale, una bandiera anticonformista che rivendicava libertà individuale e collettiva e voglia di apertura verso il resto del mondo, chiamata Swing-Jugend, Gioventù dello swing, i cui giovani membri furono gradualmente arrestati e deportati nei campi di concentramento.

Charlie Parker (cr William Gottlieb Wikimedia commons)

Con l’inizio della guerra, nel giugno del 1940, l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) aveva soppresso dalla programmazione ogni motivo di autore straniero, nonché la cosiddetta canzone ritmica, inoltre i locali vengono chiusi, è imposto il divieto di ballare e molti musicisti si trovano senza lavoro. 

Negli stessi anni nei club newyorkesi suonano i primi boppers, Thelonious Monk, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Duke Ellington incide Take the ‘A’ train e Black, brown e beige, Lester Young e Count Basie, Lester Leaps in, e ancora Billie Holiday, Coleman Hawkins, Lionel Hampton e molti altri. I nostri eroici musicisti di quegli anni, pur accerchiati dalle disposizioni fasciste, vogliono continuare a suonare la loro musica, cercando di conoscere quello che avveniva negli Stati Uniti, in un momento di grande popolarità della musica jazz.

La musica è stata, nelle più diverse forme, una presenza costante nei campi di sterminio nazisti. Non è facile pensare che la musica con la sua bellezza, con le sue emozioni possa avere avuto un ruolo così rilevante in quei luoghi dell’orrore.

Cosa si suonava? Di tutto, canti popolari, yiddish, zigani, cabaret, classica e molto jazz, anche se dai nazisti era considerata musica degenerata, suonata da persone appartenenti a razze inferiori, come i  negri e gli ebrei. Il paradosso era che nei lager si ascoltavano in molti casi le musiche proibite dal regime e venivano costituite decine di orchestre sia clandestine che ufficiali, in alcuni casi promosse dal regime stesso. Ogni campo aveva le sue orchestrine, quasi in competizione tra loro. Certamente la musica dava sollievo ai prigionieri, teneva viva una speranza, anche se spesso veniva usata dai gerarchi per accompagnare le drammatiche vicende dei lager.

I Ghetto Swinger nel campo di Teresienstadt (fotogramma dal film Terezin)

Nei campi di concentramento sono presenti musicisti di valore, tra gli altri ricordiamo il compositore e violinista polacco Simon Laks e in particolare per la musica jazz i Ghetto Swinger, l’ottetto vocale Sing Boys, il duo Johnny and Jones, voce e chitarra che si ispira al duo americano Slim e Slam, nessuno di loro tornò dai campi; altri musicisti jazz di una certa fama come il pianista Martin Roman, il trombettista ceco Eric Vogel e il chitarrista Coco Schumann riuscirono ad essere liberati e racconteranno anche con le loro musiche gli orrori dei lager nazisti.

Nell’agosto del 1944 molti artisti, compositori, musicisti classici e jazz furono deportati ad Auschwitz, su quello che venne chiamato “Il treno dell’arte” e nessuno di loro fece più ritorno.

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