La battaglia di Firenze, guerra di popolo

La battaglia di Firenze, guerra di popolo

Azione partigiana nella battaglia di Firenze (foto concessa dall'archivio fotografico AnpiOltrarno)

Un fatto nuovo, militare e politico

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L’11 agosto 1945, nella ricorrenza del primo anniversario dell’insurrezione partigiana che l’anno prima aveva dato avvio alla liberazione del capoluogo toscano, lo scrittore e antifascista Carlo Levi sulle pagine della «Nazione del Popolo» - l’organo ufficiale del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale che quell’insurrezione aveva organizzato e diretto – ricordava il carattere inedito al tempo “militare” e “politico” che la liberazione di Firenze aveva avuto.

"Firenze – scriveva Levi – mostrava al mondo, prima fra le città italiane, che cosa fosse la guerra del popolo. […] Firenze aveva dovuto inventare la guerra partigiana, la guerra di città, i Comitati di Liberazione come organi di governo. […] Non vi erano precedenti […] Il Sud era stato liberato dagli eserciti alleati […] Roma era libera senza lotta e restava, malgrado gli sforzi dei pochi, l’eterno rudere burocratico […] La battaglia di Firenze fu la prima battaglia cittadina; il governo del CTLN fu il primo autogoverno popolare italiano […]. Qui gli Alleati trovarono una nuova Italia. Qui il Governo di Roma sentì i segni di una realtà di cui si doveva tener conto. Firenze fu per mesi città di prima linea nella guerra militare dell’Appennino contro i tedeschi del Nord, e si sentì città di prima linea, rappresentante e avamposto della nuova Italia nella lotta politica contro i residui dell’antica".

Foto concessa dall'archivio fotografico AnpiOltrarno


Firenze, dunque, la prima città a liberarsi dall’occupazione nazifascista col fondamentale concorso delle forze partigiane e antifasciste attraverso un’insurrezione cittadina e non solo per intervento alleato; Firenze, inoltre, la prima città in cui un autogoverno cittadino espressione di tutte le forze antifasciste era riuscito a farsi riconoscere come tale dalle autorità angloamericane e a spuntare con queste l’adozione di alcune cariche e soluzioni amministrative per il governo della città dal marcato carattere di rottura politica col passato, non solo quello dell’Italia fascista. Come avrebbe scritto anni dopo Carlo Ludovico Ragghianti, il primo presidente del CTLN, nel suo libro-testimonianza Traversata di un trentennio.

"Firenze, nell’agosto 1944, dimostrò che il Cln, in quanto rappresentante legittimo e riconosciuto della popolazione, poteva imporre ordinamenti che non erano previsti dall’AMG [il governo militare alleato n.d.r.], ordinamenti di autonomia e di poteri molto più ampi e capillari. E furono riconosciuti, sia pure con aspra lotta".

Rottura politica

In realtà, il sogno carezzato soprattutto dal gruppo dirigente azionista posto ai vertici del CTLN di fare dell’autogoverno partigiano dei CLN l’occasione per un radicale rinnovamento delle strutture tradizionali dello Stato in senso autonomistico e regionalistico nei mesi successivi alla liberazione della città si scontrò con le tendenze restauratrici del governo di Roma e delle autorità alleate. Ma il significato di rottura politica assunto dall’autogoverno fiorentino, così come la precedente e necessaria insurrezione partigiana che aveva reso possibile la liberazione della città, restano lo stesso inscritte nell’eredità storica di quella vicenda.


Foto concessa dall'archivio fotografico AnpiOltrarno

Al fatto nuovo “politico” fu necessario, in ogni caso, il conseguimento di un fatto nuovo “militare”: quello, cioè, di una città, Firenze, che s’era fatta trovare, prima dell’arrivo degli Alleati, se non già liberata, almeno preparata e decisa a liberarsi da sé o anche solo col suo concorso determinante.

Già centro nei mesi precedenti di un antifascismo capace di dimostrare la propria combattività in termini di lotta armata e non solo politica – in questo erano riusciti sia l’organizzazione gappista cittadina a guida comunista che, nei rilievi a settentrione della città, le brigate partigiane azioniste e garibaldine – nell’imminenza dell’arrivo del fronte di guerra nell’estate del 1944, Firenze divenne laboratorio d’una Resistenza in grado di assumere su di sé la prova decisiva di un’insurrezione armata dal significato potenzialmente più ampio di quanto suggerito dalla sua specifica dimensione cittadina e provinciale.

Il piano militare

Liberata Roma il 4 giugno 1944 e con il fronte alleato in rapido avvicinamento, il 23 giugno il comando militare unico del CTLN, ribattezzato «Comando Marte», diramò il Piano per l’occupazione e difesa della città di Firenze nel quale si davano le prime indicazioni operative in vista dell’insurrezione. La città veniva divisa in quattro zone, affidate ciascuna a ispettori incaricati di coordinare l’opera dei comandanti le varie squadre armate di partito (le SAP), circa 250 squadre in tutto per totali 2.911 uomini. A queste squadre si sarebbero poi aggiunte le formazioni partigiane foranee, vale a dire le Brigate Garibaldi riunite nella Divisione “Arno” e le Brigate Rosselli del Partito d’Azione poi unificate nella Prima Divisione GL, tutte chiamate a convergere sulla città dai rilievi circostanti al momento opportuno. Il piano stimava queste ultime forze in circa 1.400 unità (900 garibaldini e 500 azionisti) anche se poi nel dopoguerra, secondo la Commissione toscana per il riconoscimento partigiano, gli effettivi delle brigate fiorentine sarebbero risultati almeno 2.000.

Foto concessa dall'archivio fotografico AnpiOltrarno

Troppo pochi, e troppo male armati, in ogni caso, per pensare di tener testa e poter scalzare dalla città gli agguerriti paracadutisti tedeschi, a maggior ragione dovendo fare i conti con un munizionamento in dotazione delle squadre partigiane cittadine che avrebbe consentito al massimo solo mezz’ora di fuoco. Non a caso, la piena riuscita del piano insurrezionale immaginato dal CTLN sarebbe stata consentita dal verificarsi di almeno una condizione essenziale, ma, in realtà, del tutto ipotetica: che i tedeschi, cioè, ritirandosi da sud a nord, attraversassero la città senza asserragliarvisi, ripiegando invece subito a nord di essa col grosso delle loro truppe. Questo avrebbe consentito alle forze partigiane di logorare le loro retrovie, evitando al contempo che la città divenisse un campo di battaglia. La previsione, purtroppo, non si sarebbe rivelata esatta. Né, d’altro canto, ebbero esito i negoziati intrapresi nel frattempo con la mediazione del Vaticano tra il cardinale Elia Dalla Costa e il console tedesco Gerhard Wolf, allo scopo di fare del capoluogo regionale una “città aperta”, esclusa perciò dallo scontro degli eserciti in lotta.

Ponti abbattuti

Che la guerra guerreggiata non avrebbe risparmiato la città fu presto chiaro. Il 29 luglio, infatti, i tedeschi emisero l’ordine di evacuazione obbligatoria della popolazione civile residente nella zona dei Lungarni, creando così un flusso di migliaia di sfollati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e a riversarsi in cerca di riparo in Oltrarno e, in particolare, a Palazzo Pitti. 


Genieri tedeschi preparano buche per le mine vicino a Ponte Vecchio (foto concessa dall'archivio AnpiOltrarno)

Nel pomeriggio del 3 agosto, seguì la dichiarazione tedesca dello stato di emergenza e quindi, nella notte tra il 3 e il 4, la distruzione a mezzo del brillamento delle cariche esplosive di tutti i ponti sull’Arno, meno Ponte Vecchio, comunque reso non attraversabile dalle macerie degli edifici demoliti in prossimità dei due accessi. La volontà tedesca di asserragliarsi in città, resistendo sulla sponda nord dell’Arno, era oramai chiara.

Foto concessa dall'archivio fotografico Anpi Oltrarno

Anche i comandi alleati, d’altro canto, avevano avuto parte in causa nel concretizzarsi di questo potenziale scenario di guerra urbana, dato che, liberata Arezzo il 16 luglio, anziché tentarne un aggiramento, i primi decisero di entrare a Firenze direttamente da Sud, buttando il grosso del XIII Corpo d’Armata del Commonwealth nella “strettoia” di Porta Romana e impattando così frontalmente sulla città, salvo trovarsi però bloccati sulla sponda meridionale dell’Arno, priva di attraversamenti fluviali. Una linea d’acqua e, al contempo, del fronte che gli Alleati decisero di far passare al grosso delle proprie truppe con estrema lentezza e secondo una tattica attendista la quale, se rese la situazione cittadina e le sorti della battaglia per Firenze ancor più incerte, pose però le condizioni perché il contributo partigiano alla liberazione della città risultasse al tempo più tempestivo e meno sussidiario.

(1 - Continua)

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