Le vittime dimenticate dell'Egeo

Le vittime dimenticate dell'Egeo

La baia di Souda sull'isola di Creta (cr. Erik Przekop Wikimedia Commons)

La lotta per la verità su Francesco e i suoi compagni

Il 25 aprile l'Italia festeggia gli 80 anni dalla Liberazione. iosonospartaco affronta l'evento proponendo una serie di servizi in ambito storico e culturale

Per decenni la mia famiglia ha provato a ritrovare le tracce di Francesco Falsetti, aviere in servizio presso l’aeroporto di Rodi, ma di lui nessuna traccia, stessa sorte toccò ai suoi compagni di sventura. E mentre mio nonno, non smise mai di cercarlo, coinvolgendo la Croce Rossa, le autorità e perfino il Papa, Francesco venne dichiarato disperso in prigionia nel 1947. Per lo Stato Italiano si chiuse così il capitolo degli IMI (internati militari italiani) del Dodecaneso.

Il giovane aviere Francesco Falsetti (foto concessa dalla famiglia)

La famiglia di Francesco, nonostante tutto, continuò a cercarlo, con l’affetto dovuto ad un giovane poco più che ventenne, intervistando testimoni, lanciando appelli in televisione, cercando superstiti e viaggiando per quel Dodecaneso in cerca di qualsiasi pista.

Tredici anni fa, non proprio per caso, ho conosciuto Sami Modiano, uno degli ultimi sopravvissuti della Shoah. Originario di Rodi, sarebbe stato sicuramente in grado di darmi notizie su fatti accaduti nell’Isola di Rodi prima o dopo la sua deportazione. La sua testimonianza fu per noi preziosissima, perché smentiva tutte le dicerie intorno ad affondamenti di navi nel porto dell’isola.

Francesco, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, scelse di non collaborare con i tedeschi. Diversi suoi compagni, preferirono rimanere sull’isola al servizio dell’esercito teutonico, altri si nascosero in alcune grotte per cui Rodi rimane famosa, il giovane aviere invece, fu catturato e deportato sull’isola di Creta, dove fu internato fino al 3 febbraio 1944, in un campo di prigionia dove patì la fame, la paura e le umiliazioni (così raccontano alcuni testimoni). Il 4 febbraio 1944, il comando tedesco imbarcò 3.100 prigionieri in una ex carboniera italiana chiamata Petrella.

Ammassati nelle stive, fino all’inverosimile, con una pagnotta di pane e un po’ d’acqua per i più fortunati, erano diretti al Pireo, poi sicuramente verso la prigionia in Germania o in Polonia. Per diversi giorni il Petrella rimase così, pieno del suo carico umano, senza potere salpare, per via dei sottomarini inglesi che infestavano la costa. Quattro giorni, senz’acqua, senza neanche potere respirare, tanto la nave era stipata. L’8 febbraio, il Petrella finalmente partì intorno alle 7.30 ma fece immediatamente ritorno alla baia di Souda.


Il sommergibile inglese Sportsman che affondò il Petrella (cr. Marina militare britannica Wikimedia commons)

Alle 11.20, ad appena un miglio circa dall’isola, il sommergibile inglese Sportsman comandato da Richard Gatehouse, colpì in due punti il Petrella, nonostante la scritta POW (Prisoners of War) fosse ben visibile. La nave non affondò subito ma rimase per diverso tempo a galla, tutti i soldati italiani avrebbero così potuto salvarsi, ma per il comando tedesco gli IMI non avevano nessun valore economico ed ancor meno umano. Così, mentre Francesco e i suoi compagni lottavano per la propria vita, in un groviglio di corpi, i tedeschi mitragliarono, spezzarono gambe, mani, a coloro che vollero salire in plancia ed infine lanciarono bombe a mano per impedire loro di fuggire o buttarsi in mare.

Chi sa quale fu la sorte di Francesco? Certo è che morì insieme ad altri 2.669 giovani, in quel mare azzurro e cristallino del Mediterraneo, dove nei mesi estivi molti italiani amano villeggiare, ignari delle tragedie di cui il mare stesso è stato testimone.


La stele che ricorda i caduti italiani e greci nelle navi affondate (foto concessa dal generale Albanese)

E di quella sorte nessuno seppe mai nulla, il mare si richiuse su quelle navi, il Petrella e la Oria, dimenticando il loro contenuto umano. Le liste furono segretate per diverso tempo, lasciando così le famiglie di quei giovani italiani, in balìa delle onde dei loro ricordi. Nell’estate del 2023, per caso, feci un altro tentativo e contattai Luciano Alberghini Maltoni, che mi diede il numero di telefono del generale Albanese. In qualche ora, Francesco non era più solo un disperso, ma un IMI del Dodecaneso, morto per la patria all’età di 22 anni. A Creta rimane una stele in loro ricordanza. Noi finalmente, abbiamo riportato dopo 80 anni la memoria di questo giovane nelle braccia della sua famiglia, dove è giusto che sia. Noi nipoti, faremo prossimamente un viaggio a Creta per ricordarlo.

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