I classici non sono cianfrusaglie
Padre Cristoforo al palazzotto di don Rodrigo - Incisione di Domenico Landini su disegno di Antonio Bottazzi 1831 - Villa Manzoni a Lecco
La mercificazione dei capolavori e il consiglio di Melville
“...per non parlare dei grandi classici da leggere una volta nella vita, una volta basta no?”. Capita spesso d’imbattersi nella pubblicità di compravendita di oggetti usati che contiene quest’affermazione. Di primo acchito, vivendo in una società dei consumi dove tutto è considerato merce, una frase simile appare persino scontata e si ascolta sbadatamente, allo stesso modo di qualsiasi altro consiglio per acquisti. Ma il fatto che un capolavoro letterario diventi inutile e ingombrante al punto da rivenderlo al prezzo di pochi euro, come fosse una cianfrusaglia, dovrebbe suscitare dubbi su ciò che dietro a quel messaggio si nasconde.
Innanzitutto sembra che un grande classico sia così faticoso e noioso da leggere per cui una volta basta. Può anche essere vero, persino Umberto Eco, personaggio dal sapere enciclopedico, lo definisce un libro odiato da tutti per essere stati obbligati a leggerlo a scuola, precisando però, subito dopo, che va “riscoperto e amato perché allunga la vita”. In proposito cita l’esempio di Manzoni e dei “Promessi sposi”, che secondo un’indagine compiuta fra gli studenti risulta l’opera più detestata per il modo coercitivo e scarsamente interessante con cui gli insegnanti ne propongono lo studio. Tuttavia, prosegue Eco, ad una lettura successiva, più attenta e matura, non può sfuggire la bellezza della descrizione con cui Manzoni inizia il suo racconto, che fornirebbe preziose indicazioni sulla tecnica di montaggio e di ripresa a qualsiasi regista televisivo o cinematografico. Ed eccoci a uno dei nodi cruciali della questione, che lo scrittore e saggista Italo Calvino sintetizza, da par suo, con efficacia e concisione: un classico è “un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire”, aggiungendo di non stancarsi mai di rileggere l’Ariosto poiché ci insegna come fantasia, ironia e accuratezza formale “possano entrare a far parte d’una concezione del mondo, possano servire a meglio valutare virtù e vizi umani”.
Il modo migliore per onorare Dante
è leggerlo e rileggerlo
Su Dante Alighieri il parere di Benedetto Croce è simile, infatti durante le celebrazioni del sesto centenario della morte del poeta l’illustre filosofo e critico letterario sostenne che “il modo migliore di onorarlo è il più semplice, leggerlo e rileggerlo”, per elevarci spiritualmente e coltivare “quell’interiore educazione” ogni giorno, “se vogliamo vivere non da bruti, ma da uomini”. Lo scrittore e saggista Nabokov arriva a sostenere che un libro non si debba leggere, ma rileggere, perché il lavoro fisico e il processo di apprendere durante la prima lettura sono “un ostacolo tra noi e il godimento artistico”.
Dante con la Divina Commedia di Domenico di Michelino - Duomo di Firenze
Secondo una recente indagine il 35 per cento della popolazione del nostro Paese, di età superiore ai 16 anni, legge un libro all’anno: dietro di noi in Europa si collocano solo la Romania e Cipro, mentre altri dati rivelano che più di un quarto degli italiani fatica a comprendere frasi di media complessità.
L’invito allora è quello di dedicare più tempo alla lettura, anche se costa fatica, per evitare di trasformarci, come scrive il sociologo Vanni Codeluppi, in “soggetti disinformati, disorientati e sempre più ignoranti”, colonizzati intellettualmente, potremmo aggiungere, da una mentalità consumista e mercificante di cui la pubblicità è una delle principali componenti.
E se qualcuno ci esorta a leggere un classico una volta sola per venderlo poi come un oggetto ingombrante, cerchiamo di seguire il consiglio di Melville e del suo scrivano Bartleby, che in modo cortese, ma deciso, affermava: “I would prefer not to”: “Avrei preferenza di no”.
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