Rimini? “Meglio di Las Vegas”

Rimini? “Meglio di Las Vegas”

Le copertine delle prime due edizioni di "Rimini" di Pier Vittorio Tondelli

Il romanzo di Pier Vittorio Tondelli compie 40 anni

“Sembrava la festa finale della Dolce Vita. Trovai di tutto: nobildonne, critici, scrittori, rockettari traballanti, casalinghe inquiete, imbucati, venerati maestri e qualche stronzo. Sembrava un nuovo capitolo da aggiungere al romanzo”. Il romanzo in questione è “Rimini” di Pier Vittorio Tondelli e la festa così icasticamente descritta da Mario Andreose, l’allora direttore editoriale della Bompiani, era quella che andò in scena nei saloni del Grand Hotel di Rimini per il lancio del libro omonimo.


Lo scrittore Pier Vittorio Tondelli (foto Tino Pantaleoni)

Era il 5 luglio 1985. Officiante della memorabile serata Roberto D’Agostino, reduce dai successi televisivi di “Quelli della notte”, arrivato con un gran turbante in testa e un codazzo di invitati più o meno illustri, ai quali si aggiunsero ben presto centinaia di ospiti sgomitanti e non attesi. Il rito culturale, infarcito di strass e gamberetti, si trasformò in una estenuante serata mondana, finita all’alba in discoteca.

Un romanzo da spiaggia

Il leggendario ricevimento, ultimo atto di una incalzante campagna pubblicitaria, diede i suoi frutti. Nel giro di poche settimane “Rimini” vendette circa centomila copie, raccogliendo un clamoroso successo di pubblico e grandi stroncature della critica, orfana del Tondelli di “Altri Libertini”, che liquidò il libro come romanzo da spiaggia, salvo rettificare qualche anno dopo le sentenze troppo sbrigative sputate nell’immediatezza.

Chi non avesse ancora letto il libro o l’abbia lasciato distrattamente sotto l’ombrellone, potrebbe oggi procurarsene una copia, omaggiando così forse nell’unico modo degno, il corrente anniversario dei Quaranta. Non sarà tempo perso. Io ad esempio (una di quelle che l’aveva leggiucchiato più per curiosità che per convinzione) ho rispolverato la sgargiante copertina (finita nell’ultimo scaffale in fondo a destra) e non me ne pento. Al contrario. Riletto oggi il romanzo edito da Bompiani assume contorni quasi profetici mentre ci regala pagine (non tutte) assolutamente imperdibili.  

Dove tutto è possibile

Nella primavera dell’81 al Tondelli collaboratore della pagina culturale di un quotidiano, venne proposto di scendere al mare per lavorare ad un inserto speciale. Detto fatto. Lo scrittore rifiutò l’incarico ma al suo posto mandò Marco Bauer, protagonista di “Rimini” e suo alter ego, giornalista rampante, narcisista, che resterà tradito dalla sua stessa ingordigia di fama e successo. Le vicende del giovane Bauer si intrecciano a quelle di molti altri personaggi, tutti un po' scombinati, imprigionati nei loro sogni di gloria, che salgono e scendono da giostre destinate a schiantarsi. Le loro affannose esistenze approderanno tutte sulla costa romagnola, attratte come falene dal suo caleidoscopio di luci, suoni e colori, là dove tutto si immagina e tutto è possibile per il tempo di una notte.  

Il Grand Hotel, qui si svolse la festa per il lancio del libro (cr. Wikimedia commons)

Romanzo d’ambiente e di costume, commedia sentimentale ed esistenziale, “Rimini” si tinge di nero, di giallo e di rosa attraverso una narrazione che si srotola come una sceneggiatura (in effetti doveva diventare un film, poi il progetto si perse nelle nebbie padane) concepita per descrivere la realtà italiana di quegli anni post-moderni, molto chiacchierati ma non ancora del tutto esplorati. E Tondelli stesso lo disse chiaramente: “Voglio che Rimini sia come Hollywood, come Nashville, un luogo del mio immaginario dove i sogni si buttano a mare, la gente si uccide con le pasticche, ama, trionfa o crepa”.

Maghi e prostitute

Al di là dei giudizi non sempre positivi piovuti sul romanzo, Tondelli è riuscito a restituirci in modo assai efficace lo spirito del tempo. Erano gli anni dell’edonismo reaganiano, improntati alla ricerca del successo individuale, mentre la società dello spettacolo esplodeva nei suoi codici effimeri e nei suoi eccessi. E la Rimini degli ‘80 era il paradigma perfetto di quella umanità che già portava in grembo i segni del declino, dove già i contorni tra verità e finzione apparivano offuscati, dove la ricerca di senso lasciava il posto a più facili scorciatoie. Era un laboratorio che fabbricava manie, mode e tendenze. Un luna park ruffiano e accogliente. Un’Italia in miniatura dove c’era posto per tutti e tutto: alto e basso, lusso sfrenato e pensioncine modeste, maghi e prostitute, sagre di paese e festival letterari, liscio, piadina e musica d’avanguardia. Sono questi gli anni in cui il ministro Gianni De Michelis dava alle stampe la sua guida alle discoteche “Dove andiamo a ballare questa sera?” proclamando Rimini capitale notturna d’Europa e Umberto Eco non aveva tutti i torti a dichiarare che quel nastro da Gabicce a Milano Marittima era “meglio di Las Vegas”.

Ma 40 anni dopo cosa resta di “Rimini”? Sulla ex Costa Est, oggi diventata solo un puntino sulla carta geografica, già si stanno scaldando i motori per un’occasione, anche autocelebrativa, di quelle da cerchiare in rosso, perché se è vero che il romanzo ha fatto la fortuna editoriale dello scrittore, non di meno la città di Rimini e il suo territorio, grazie al caso letterario dell’anno, hanno goduto di fama e attenzione mediatica senza pari. La Pompei del “divertimentificio”, come Camilla Cederna chiamò l’industria balneare romagnola, è pronta ad accogliere musicanti, pensatori, sociologi e filosofi di ogni corrente, per riallacciare il legame con lo scrittore emiliano scomparso troppo presto, che prima di tutti gli altri aveva colto l’unicità e la disperazione di quei luoghi e del suo tempo.

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