Spiati e contenti

Spiati e contenti

Shoshana Zuboff, autrice del saggio "Il capitalismo della sorveglianza"

Il Capitalismo della Sorveglianza nel libro della sociologa Shoshana Zuboff

All’inizio era un sospetto, ora è una certezza. Ogni dispositivo tecnologico digitale, a cominciare dal telefono cellulare, di cui non possiamo più fare a meno, ci spia, raccoglie dati, informazioni, sospiri e sbadigli, conosce le nostre abitudini, le nostre debolezze, sa dove andiamo, cosa facciamo e cosa faremo domani. Sa tutto di noi, anche meglio di noi, mentre noi non sappiamo nulla di cosa succede di quelle informazioni che in un click quasi automatico abbiamo inviato nel mare magnum della Rete. Questa intrusione pervasiva e incessante nelle nostre vite non è benevola, né votata unicamente a farci acquistare di più o un tipo di prodotto piuttosto che un altro. L’enorme mole di dati raccolti e poi elaborati attraverso algoritmi oscuri e Intelligenza artificiale, serve a manipolare le nostre scelte, a modificare le nostre azioni, i nostri desideri, finanche le nostre coscienze, in uno scenario dove la posta in gioco è la nostra autonomia di individui.
Il paragone è forse azzardato, ma a volte si ha la sensazione di ritrovarsi a vivere come il protagonista di “The Truman Show” il visionario film di Peter Weir del 1998, dove un fantastico Jim Carrey, dopo 30 anni, scopre di aver vissuto secondo un copione preordinato, inconsapevole protagonista di una rassicurante sceneggiatura. All’epoca sembrava fantascienza, ma l’odierno mondo digitale in cui siamo immersi propone aspetti forse ancora più inquietanti. Tanto che spesso ci ritroviamo a doverci nascondere dalle nostre stesse vite, alla ricerca della riservatezza perduta. A spiegare in modo, a mio parere magistrale, come tutto è cominciato e come funziona l’odierna società dell’informazione è il saggio dal titolo “Il Capitalismo della Sorveglianza – Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri” (ed. Luiss 2019) di Shoshana Zuboff, sociologa, ricercatrice e docente all’università di Harvard. Un testo indispensabile, che è già un classico tra gli addetti ai lavori, ma che tutti dovrebbero leggere, per comprendere come il nuovo potere digitale sfrutta la mente umana e quale autodifesa mettere in atto per un futuro più equo e democratico.  

Il volume della Zuboff è un vero e proprio atto d’accusa contro i padroni del vapore. A partire da Google, il cui successo va attribuito al suo “radicale disprezzo – scrive l’autrice - per i limiti del privato e per l’integrità morale degli individui. I capitalisti della Sorveglianza hanno stabilito il proprio diritto di decidere individualmente a favore di una sorveglianza unilaterale e dello sfruttamento dell’esperienza altrui con scopo di lucro”. Pretese rapaci che hanno avuto vita facile grazie all’assenza di leggi in grado di fermarle. E sulla spinta di un enorme successo Google e i suoi numerosi epigoni “possono godere di un’asimmetria tra conoscenza e potere senza precedenti nella storia dell’umanità”. Chi detiene le informazioni detiene il potere e qui sta il nodo cruciale del nuovo ordine mondiale. 

Vediamo come la pervasività delle reti sociali e delle piattaforme digitali hanno soppiantato il vecchio capitalismo industriale, accumulando ricchezza e potere straordinari non più vendendo merci e prodotti. Ora la merce siamo noi in un frenetico processo che sta velocemente cambiando le nostre vite senza neppure che qualcuno ci abbia chiesto il permesso.

Se la merce in vendita siamo noi

Sotto la guida di Google - argomenta Zuboff – il capitalismo della Sorveglianza ha ben presto capito che “servire i reali bisogni delle persone – e stiamo sempre citando la sociologa - è meno remunerativo e meno importante che vendere previsioni sul loro comportamento. Google ha scoperto che valiamo di meno delle scommesse altrui sul nostro comportamento futuro. Questa scoperta ha cambiato tutto”. Ed è anche la fonte dei suoi enormi ricavi. Appare ormai lontana l’illusione che la rete potesse favorire la democratizzazione della società. La connessione digitale è invece oggi uno strumento nelle mani di pochi e al servizio dei loro scopi commerciali. Google ha fatto da apripista ma non è più il solo attore in scena, ben presto sono arrivati Facebook, Microsoft, Apple, Amazon ad adottare le stesse metodiche predatorie per predire il nostro futuro affinché qualcun altro ci guadagni. Attraverso l’analisi critica di documenti, conferenze, prove e interviste a una serie di imprenditori digitali della Silicon Valley (dove tutto è iniziato) e con un approccio da “pasionaria”, la sociologa dimostra come il Capitalismo della Sorveglianza sia “una forza pirata spinta da nuovi imperativi economici che disprezzano le norme sociali e annullano i diritti associati all’autonomia dell’individuo, essenziali perché una società democratica sia possibile”.

Come è potuto accadere?


La società digitale è unica e diversa da qualsiasi cosa l’abbia preceduta e tutto ciò che è senza precedenti è irriconoscibile, poiché si tenta di spiegarlo attraverso categorie familiari che non servono però a decifrare le caratteristiche dell’inedito. La comprensione è stata poi ostacolata dalla confusione che si è creata tra il nuovo potere digitale e le tecnologie impiegate. Le due cose non vanno necessariamente a braccetto. Come invece si vorrebbe far credere. Le pratiche predatorie non sono insite nella tecnologia, sono proprie invece delle logiche di chi le governa. Ad esempio, come Zuboff ricorda, solo nel 2009 si venne a sapere per la prima volta che Google conserva le nostre cronologie di ricerca per un tempo indefinito. E ne fa quello che vuole. Il colpevole non è il motore di ricerca, ma chi lo addestra.     

Porre un freno a questa deriva è possibile, secondo Zuboff, solo attraverso un risveglio dell’opinione pubblica, che può avvenire a partire però dalla conoscenza dei meccanismi che regolano l’attuale società dell’informazione. “Questo libro – rivendica la ricercatrice – vuole essere un contributo alla battaglia che dobbiamo combattere insieme. Il muro di Berlino è caduto per molti motivi, ma soprattutto perché i cittadini di Berlino Est avevano detto Basta! Anche noi possiamo dar vita a novità che ci permettano di rivendicare il futuro digitale come casa per l’umanità. Basta! Questa dev’essere la nostra dichiarazione”.

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