Mondiale 1986, la rivincita di un popolo
Maradona e Giusti con la coppa davanti ai centomila dell'Azteca (cr. El Grafico Wikimedia commons)
L’Argentina dopo la dittatura e la guerra delle Falkland
Dopo i fuochi d’artificio di quattro anni prima in Spagna, il mondiale del 1986 in Messico rischiava di essere solo un momento di passaggio, fra un modello di calcio che aveva espresso il massimo nell’Italia di Bearzot e un nuovo tipo di gioco che doveva ancora trovare una squadra di riferimento. Il 1986 poteva passare inosservato, come quando al Giro d’Italia ci sono le tappe di trasferimento, tutti uniti in attesa della volata. Non andò così.
Inosservata passò piuttosto la prestazione degli azzurri. In patria si sperava in una riedizione della favola spagnola ma la squadra, i campioni, l’ambiente, non erano più gli stessi. L’Italia non convinse mai, un pareggino con la Bulgaria, un punto con l’Argentina e infine una vittoria risicata con la Corea del Sud, con il solo Altobelli a mettere la palla in rete in questa disgraziata esperienza. Qualificata come seconda, l’Italia agli ottavi trovò la Francia di Platini che la eliminò 2-0 senza incontrare resistenza. Fine dell’avventura.

Il murale di Maradona ai quartieri spagnoli di Napoli (cr. Evvemoscia Wikimedia commons)
Ma il mondiale messicano del 1986 si ricorda per altro; qualcosa che un po’ c’entra con il calcio e un po’ no. Il protagonista assoluto di quelle settimane di giugno fu il signor Diego Armando Maradona, che non trovò un Claudio Gentile a marcarlo. Basta sfogliare un qualunque almanacco calcistico per ricordarsi che la coppa la portò a casa l’Argentina che vinse – faticando – con la Germania (ancora ovest) ma la partita vera capitò il 22 giugno, quarto di finale, giocata all’impossibile orario di mezzogiorno.
Guerra
Di fronte l’Argentina e l’Inghilterra, squadre che non si amavano. Gli anziani ricordavano il punto di partenza del rancore: il mondiale del 1966, con i sudamericani eliminati dagli inglesi anche per colpa di una contestata espulsione del capitano Rattin, ma non era tutto lì. L’Argentina, vincitrice nel 1978 sotto gli occhi del dittatore Videla, era appena uscita dall’esperienza sanguinaria del processo di riorganizzazione nazionale, come i militari avevano ribattezzato la repressione feroce sulla popolazione. Decine di migliaia fra morti e scomparsi in un Paese attanagliato dal terrore. Poi, sull’orlo del baratro economico, il regime militare adottò la più antica delle strategie per rimanere aggrappato al potere: scatenò una guerra.

Falkland, i resti di un aereo argentino abbattuto (cr. Ken Griffiths Wikimedia commons)
Occorreva decidere contro chi. Nel 1982 la scelta appariva facile: contro l’Inghilterra per riprendersi con la forza le isole Falkland, che ancora oggi gli argentini chiamano Malvinas. Come l’Argentina - certo non la prima potenza bellica al mondo – avrebbe potuto sconfiggere il colosso britannico? Nei pensieri della dittatura tanto avrebbe giocato l’enorme distanza delle isole con la madrepatria e alcuni segnali lasciavano intendere che gli inglesi non fossero poi così interessati a difendere quei suoi sperduti pezzi di suolo. In più, l’Inghilterra appariva divisa sotto il governo Thatcher, alle prese con le proteste dei lavoratori delle miniere.

Buenos Aires, il memoriale ai caduti del General Belgrano (cr. Roblespepe Wikimedia commons)
Andò tutto al contrario. A ritrovare compattezza fu l’Inghilterra che ottenne alleanze insperate e non accettò come soluzione niente di meno che la restituzione delle isole dopo la presa di possesso argentina. Fu una guerra rapida, che costò lacrime e sangue a entrambi i fronti. L’Argentina restò sotto choc per l’affondamento dell’incrociatore General Belgrano con più di 300 morti; la guerra si stava ritorcendo contro chi l’aveva scatenata.
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Falkland, i rottami di un elicottero argentino (cr. Ken Griffiths Wikimedia commons)
Per la dittatura fu il colpo di grazia. Con l’Argentina straziata dalla crisi economica e l’onta della sconfitta, si andò a elezioni vere che tolsero di mezzo i militari. Ma i morti delle Falkland restavano. In Argentina non c’è paese che non abbia un suo monumento a quei ragazzi caduti in una guerra voluta dai carnefici per proteggere loro stessi. A Rio Gallegos, città della Patagonia estrema, stare di fronte a quel monumento è un’esperienza che fa venire i brividi.
In campo
Questa lunga parentesi per dire che Argentina-Inghilterra non era solo una partita di calcio: era la ricerca di una rivincita umana da parte di un popolo. Nessuno però poteva immaginare che la rivincita sarebbe arrivata in un modo così clamoroso, con i due gol di Maradona passati alla storia: la mano de Dios e il gol del secolo.

La mano di Dio, primo gol di Maradona agli inglesi (cr. El Grafico Wikimedia commons)
Secondo tempo, area di rigore inglese, pallone malamente alzato a campanile e diretto al portiere. Shilton lo va a prendere in scioltezza, vicino c’è solo Maradona che è molto più basso di lui. Ma Maradona alza entrambe le braccia tenendole vicine alla testa e con un pugno impedisce a Shilton di prendere la palla e anzi la infila in gol. Le immagini televisive parlano chiaro però l’arbitro tunisino convalida. Gli inglesi ancora oggi protestano ma la storia del calcio deve ringraziare quell’arbitro che con il suo errore ha creato una leggenda.

Maradona esulta dopo il gol del secolo (cr. El Clarin Wikimedia commons)
Passano quattro minuti. Maradona prende palla poco dietro la linea di metà campo, parte sulla fascia destra, scarta cinque inglesi e ritrova Shilton, cambia piede e calcia rasoterra mentre un inglese tenta di metterlo giù. E’ un gol memorabile, sigillo di una classe infinita. Riascoltare la voce del telecronista argentino è come entrare nel tunnel della gioia.
La partita finisce 2-1 con il gol di Lineker a cose fatte. Due gol di Maradona non hanno riportato a casa nemmeno uno dei desaparecidos e non hanno resuscitato nessuna delle vittime delle Falkland ma hanno permesso agli argentini di ricominciare a sventolare con orgoglio la loro bandiera, liberi di tornare a casa senza l’incubo di finire nelle mani di un aguzzino.

Stretta di mano fra Maradona e Rummenigge prima della finale (cr. El Grafico Wikimedia commons)
Il resto è pura cronaca calcistica. Altri due gol di Maradona dicono stop alla bella avventura del Belgio e finale con la Germania che esce indenne dalla Francia. Finale dai due volti, con l’avvio tutto argentino ma quando si aspetta il fischio finale la Germania ha lo scatto d’orgoglio e pareggia. Maradona non gioca la miglior partita però azzecca un assist per Burruchaga che in extremis batte per la terza volta Schumacher. E’ finita davvero, 3-2.

Il gol di Burruchaga che ha deciso il mondiale (cr. El Grafico Wikimedia commons)
Maradona si gode la coppa prima di tornare a Napoli e i centomila dello stadio Azteca gli tributano un trionfo degno degli imperatori romani. Gli anni successivi gli riserveranno ben altro che solo gioie, ma nulla può cancellare quella giornata in cui anche la mano di Dio si alleò con lui.
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