Mondiale 1990, tutto su Schillaci
Totò Schillaci a Bari durante la premiazione per il terzo posto (Wikimedia commons)
L’amore degli italiani, la rabbia degli irlandesi
Quando un mondiale lo organizzi a casa tua, lo carichi di significati che vanno al di là dello sport; entrano in gioco l’orgoglio nazionale, la facilità di assistere di persona alle partite, il senso di comunità attorno alla maglia azzurra. Nel 1990 toccava all’Italia. Campioni nel 1982 nel più fantastico mondiale di sempre, malamente rispediti al mittente quattro anni dopo in Messico, l’Italia doveva ritrovare una propria identità vincente, come Paese prima ancora che come nazionale di calcio.

Il tecnico Vicini sulla panchina azzurra durante Italia 90 (Wikimedia commons)
Tutto si potrà dire dell’Italia ma certo non che agli italiani manchi il genio. Pur se con costi economici molto alti, Italia 90 fu un clamoroso successo di immagine, andato ben oltre il terzo posto della Nazionale di Vicini, considerando che l’unico risultato accettabile era la vittoria. A fare da sfondo al calcio c’erano le nostre città d’arte, la nostra storia, l’ospitalità, ma non fu solo quello. Le caselle si incastrarono l’una nell’altra all’interno di una splendida cornice, anche gli aspetti più marginali diventarono straordinari. Ci sarà una ragione se a distanza di 35 anni ancora si ricorda “Notti magiche” di Bennato e Nannini.
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Edoardo Bennato e Gianna Nannini (cr. Gorup de Besanez e Stefan Brending Wikimedia commons)
Ma tutto questo è stato ampiamente celebrato, anche se resta l’amaro in bocca a guardare la premiazione per il terzo e quarto posto allo stadio di Bari, con italiani e inglesi che fraternizzano dopo il 2-1 per noi. Nelle intenzioni il finale degli azzurri doveva essere un altro. Italia 90 non è stato un mondiale importante solo per noi ma una vetrina anche per altri che vi hanno trovato una visibilità fino ad allora sconosciuta.

La gioia di Totò Schillaci (dalla pagina Fb Mario Mantovani)
Sembra strano a dirlo oggi ma Italia 90 fu il mondiale di esordio per l’Irlanda, nazione legatissima al calcio. Mai qualificata prima di allora, trovò un momento di gloria che si interruppe bruscamente. Una storia che andò a incrociarsi con l’Italia, diventando per gli uni una notte magica e per gli altri una notte orrenda.
Poco più di un anno fa, in occasione della sua morte a 59 anni, l’Italia si è ricordata di un calciatore che per un breve periodo ha davvero fatto sognare: Salvatore Totò Schillaci. In lui tutti gli ingredienti del miracolo all’italiana: origini umili, una vita di sacrifici, talento e grinta, il sogno che si realizza con la maglia azzurra. Il massimo della forma arriva proprio nel mondiale di casa, di cui sarà capocannoniere e miglior giocatore. Se avesse potuto alzare la coppa sarebbe entrato nella storia, dovette accontentarsi del terzo posto arrivato grazie ai suoi 6 gol.

Schillaci con la maglia dell'Inter (Wikimedia commons)
Il resto della sua carriera non fu altrettanto brillante nonostante divise importanti, Juventus e Inter. Poi il Giappone e alla fine una militanza come dirigente sportivo nella sua Palermo con un occhio di riguardo verso il sociale. Gli occhi spiritati di Schillaci dopo i gol, la gioia fanciullesca in un corpo da atleta sono fra i ricordi più belli di quell’inizio di estate del 1990.
Ma non per tutti Schillaci è un bel ricordo. Ed è qui che si ritorna a parlare dell’Irlanda. Per la prima volta alla ribalta di un mondiale, gli irlandesi non hanno intenzione di fare da comparsa. Nel girone iniziale trovano Olanda, Egitto e gli inglesi, mai considerati troppo amici. Tre pareggi, quanto basta per andare agli ottavi dove ci sono gli abbordabili rumeni. Finisce ai rigori, all’ultimo li salva il portiere Bonner. Incredibile, senza mai vincere l’Irlanda è ai quarti dove c’è l’Italia, la squadra in cui un certo Schillaci sta facendo sfracelli.

Il portiere irlandese Bonner a cui si deve la vittoria negli ottavi (Wikimedia commons)
Li sta facendo e continua a farli, perché è lui che nel primo tempo chiude un’azione corale azzurra mettendola dentro di destro. Anni dopo in una intervista ancora visibile su youtube racconterà di avere avuto le sue brave difficoltà a coordinarsi, giudicando molto difficile quel gol che, a vederlo così, sembrava tanto facile. Quindi 1-0 per l’Italia e festa finita per l’Irlanda.
Però non poteva chiudersi così. L’eccezionalità di alcuni momenti arriva a un punto tale che in un modo o nell’altro la vuoi prolungare. E così 6 anni dopo, nel 1996, esce nei cinema (compresi quelli italiani) un film che mette insieme tre leggende irlandesi: il regista Stephen Frears, lo scrittore Roddy Doyle dal quale è tratto il soggetto, e l’attore Calm Meaney che molti ricordano per il ruolo da protagonista nella saga di Star Trek. Il film si intitola “The van”, in italiano tradotto in “Due sulla strada”. E’ la storia di due amici che comprano un furgone con cui vanno in giro a vendere hamburger e pesce e patatine, sfruttando l’euforia del momento e il desiderio di stare insieme per seguire le partite della loro nazionale durante Italia 90.

Colm Meaney con la maglietta che insulta Schillaci (fotogramma dal film "Due sulla strada")
Il sogno si infrange con il gol di Schillaci e l’eliminazione dell’Irlanda, che coincide anche con la crisi degli affari dei due. A colpire è la maglietta indossata da Meaney all’indomani della sconfitta: sul cotone è scritto in verde “Fuck Schillaci” fra due trifogli. La traduzione letterale è abbastanza intuitiva.
Un racconto negativo? No, una esperienza diversa dalla nostra all’interno di un enorme contenitore di emozioni. Difficile dire se Schillaci sapesse del trattamento riservato dal cinema irlandese alla sua persona, ma è probabile che sapesse perfettamente della maglietta. Il destino degli eroi del calcio è di essere amati e odiati. La gioia di Totò e la maglietta dell’attore irlandese restano come prova che il mondiale del 1990 fu bellissimo e importantissimo, un nuovo passaggio di testimone fra generazioni diverse di calciatori. Sarà un caso, ma il campionato successivo non venne vinto da una delle solite grandi ma dalla Sampdoria, forte di un gruppo irripetibile che aveva in Vialli il proprio leader.

La formazione dell'Italia nella semifinale con l'Argentina (Wikimedia commons)
Questa è solo una delle storie di Italia 90, vinto dall’Argentina che ebbe il torto di eliminare l’Italia con un colpo di testa di Caniggia. L’uscita di Zenga su quella palla alta ha fatto discutere per anni, diventando una croce per un portiere che nel mondiale fino a quel momento non aveva preso nemmeno un gol. Giusta o sbagliata quell’uscita, si va ai rigori e si perde.

L'uscita di Zenga e il gol di Caniggia (da X For the culture of football classics)
All’Olimpico per la finale arrivano la Germania ovest e l’Argentina che avrà tutti contro. Siamo verso la conclusione quando un contrasto in area tedesca finisce con una caduta di Voller. L’arbitro messicano fischia il rigore, succede un parapiglia. A riguardare oggi le immagini gli argentini non avevano tutti i torti ma il calcio era anche quello, ed era più bello prima che inventassero il Var. Brehme (giocatore dell’Inter) si carica sulle spalle tutto il peso del mondo, calcia a sinistra e Goycochea, che pure ha intuito, non ci arriva per poco. 1-0, mondiale alla Germania, per l’ultima volta Germania ovest.

Il rigore segnato da Brehme (Wikimedia commons)
Quindi tutto negativo per l’Italia? No di sicuro. Fu un mondiale ben costruito, pieno di emozioni, del quale restano i volti radiosi di tanti campioni. La gioia negli occhi di Schillaci non ce la toglierà nessuno, nemmeno una maglietta irlandese.
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