Mondiale 2010, maledetta vuvuzela
Tifosi sudafricani durante il mondiale, moltissimi con la vuvuzela (cr. Celso Flores Wikimedia commons)
Viva Shakira, abbasso le trombette assordanti
Alzata da Cannavaro la coppa del 2006, il cielo sopra Berlino smette molto presto di essere azzurro e riprende la sua solita tinta mentre il calcio mondiale si apre a nuovi orizzonti. Quattro anni più tardi è la prima volta di tante cose, a cominciare dalla prima volta di un mondiale in Africa, riconoscimento al ruolo del continente nel calcio e alla preziosità del suo bacino di talenti che da un pezzo popolano le maggiori squadre del mondo.

Shakira, interprete di "Waka Waka" (Jukian Pichi Josè Wikimedia commons)
Dopo “Notti magiche” è anche la prima volta in cui la colonna sonora ufficiale di un mondiale diventa un successo internazionale e lo fa, al contrario di come sarebbe facile pensare, grazie a un’artista sudamericana, la signorina Isabel Mebarak Ripoli, meglio conosciuta come Shakira, colombiana. Il video di Waka Waka, inno del mondiale del 2010 in Sudafrica, è un capolavoro anche a rivederlo oggi, non solo per la bravura e bellezza di Shakira ma per il pensiero che vi sta dietro.

Spagna e Olanda schierate prima della finale (cr. Christophe Badoux Wikimedia commons)
Si parte dalla rincorsa di Grosso e dal gol che regala il mondiale all’Italia, ma c’è anche l’esultanza di Pelè in Messico 1970, il rigore sbagliato di Baggio nel 2010, la preghiera di Taffarel, i falli di inglesi, croati, tedeschi, c’è Maradona, ci sono i brasiliani. Un messaggio chiaro: fino ad oggi avete visto questo, adesso la musica cambia perché arrivano l’Africa e gli africani. Nel breve periodo la profezia si rivela sbagliata perché la coppa la alza la Spagna che batte in finale l’Olanda, e terza è la Germania davanti all’Uruguay. Sudafrica eliminato nei gironi, migliore africana il Ghana eliminato ai quarti, ai rigori, dall'Uruguay. Per i ghanesi è una maledizione. Al 120' sembra gol fatto, Suarez toglie la palla dalla porta con le mani, rigore ed espulsione. A tempo scaduto calcia Gyan che prende la traversa. Si va ai rigori a eliminazione e passa l'Uruguay.
Ma la profezia diventa perfetta se allunghiamo il periodo fino ai giorni nostri, con l’Africa esportatrice di talenti, al punto da rendere sempre meno interessante l’investimento delle società nei settori giovanili: i campioni si fa prima a prenderli fatti in Africa.

Un tifoso con vuvuzela a Città del Capo (cr. Flowcomm Wikimedia commons)
Però le novità del mondiale del 2010 non sono tutte rose e fiori, anzi ce n’è una che finisce per funestare il piacere di guardare le partite, in televisione o ancora peggio allo stadio: la vuvuzela. I non sudafricani fanno la conoscenza in quelle quattro settimane di un oggetto all’apparenza pittoresco ma in realtà sinistro: una specie di trombetta di plastica lunga e colorata, che emette un suono martellante e insopportabile. Se poi mettete che in uno stadio da quarantamila spettatori le vuvuzela saranno state trentamila allora è facile capire che la partita di calcio da divertimento si trasforma in martirio.

Tifosi sudafricani con le vuvuzele (cr. Dundas football club Wikimedia commons)
Parlare di incubo non è una esagerazione e le testimonianze dei calciatori di diverse nazioni sono eloquenti: in tanti parlano di ambiente invivibile, di partite giocate con questo rumore incombente che rimbombava nella testa impedendo la concentrazione e la serenità. Purtroppo la vuvuzela, a causa della vetrina del mondiale e nonostante i resoconti di telecronisti assordati, esce dai confini del Sudafrica e finisce nei negozi europei, entrando nelle case per la gioia dei bambini e la disperazione dei genitori.
Le federazioni sportive (non solo quella del calcio) si ritrovano a prendere provvedimenti per evitare che il pubblico diserti partite e competizioni per sottrarsi alla tortura della vuvuzela, in alcuni sport ne viene vietata l’introduzione negli impianti. Per fortuna e per la gioia degli otorini, la vuvuzela è un fuoco di paglia: nel giro di un annetto scompare e viene dimenticata, anche se il mondiale 2010 ne resta segnato.

La nazionale azzurra ai mondiali del 2010 (dal sito Mondialidicalcio.org)
Ma c’è anche il calcio nella Coppa del mondo del 2010 in Sudafrica? C’è anche il calcio, ed è un calcio discreto. Non quello dell’Italia di Lippi che, al pari della Francia, non supera il turno a gironi inanellando tre prestazioni da dimenticare contro il Paraguay, la Nuova Zelanda (due pareggi) e la Slovacchia (sconfitti 3-2). Morale della favola: ultimo posto e anticipo di vacanze per tutti con meditazione sotto l’ombrellone sulla sorte del calcio azzurro.

1966, il gol contestato assegnato all'Inghilterra contro la Germania (dalla pagina Fb German football)
Però il calcio non finisce in azzurro e c’è modo di vedere anche altro. A cominciare da una vendetta consumata non fredda ma gelida. Chi ha la memoria lunga ricorda senza dubbio la finale del 1966 a Londra quando all’Inghilterra venne assegnato un gol che nessuno ha visto nella finale con la Germania, complice la scarsa capacità di comunicare fra un arbitro svizzero e un guardalinee sovietico.

Il gol di Lampard, palesemente entrato in porta (da X Prisca Kishamba)
Ebbene 44 anni dopo, il 27 giugno 2010, la situazione si ripete a parti invertite. L’Inghilterra in rimonta segna un gol lampante, tiro di Lampard sotto la traversa e rimbalzo a terra un metro dietro la linea di porta. E’ gol ma l’arbitro uruguayano Larrionda non vede e non ci sono gli strumenti per chiarirgli le idee. Niente gol del pareggio, anzi la Germania ne fa altri due e va ai quarti dove rade al suolo l’Argentina per poi lasciarci le penne con la Spagna.

L'Olanda scesa in campo nella finale (cr. Christophe Badoux Wikimedia commons)
E c’è una squadra che in Sudafrica rimane vittima di un incubo ricorrente: l’Olanda. Seconda a Monaco nel 1974 pur con uno squadrone pazzesco guidato da Cruijff, seconda a Buenos Aires quattro anni dopo come agnello sacrificale di fronte all’Argentina dei dittatori sanguinari, finisce al secondo posto in Africa quando il titolo è a portata di mano. Secondo tempo supplementare, tutto sembra portare ai rigori e invece lo spagnolo Iniesta azzecca un destro da cannoniere che taglia le gambe agli arancioni e scrive la parola fine al mondiale.

La gioia di Iniesta dopo il gol che vale il mondiale (dalla pagina Fb Yo tambien vi el gol de Iniesta)
La Spagna si aggiunge alla lista non infinita dei paesi che hanno vinto almeno un mondiale e permette all’Europa di continuare a pensare che il grande calcio sia a casa sua. Intanto nuove nazioni continuano ad affacciarsi alla grande vetrina del calcio mondiale e per una Nuova Zelanda che risale subito sull’aereo per un lunghissimo viaggio di ritorno (pur avendo fatto comunque meglio dell’Italia) continuano ad aumentare le squadre africane che rottamano per sempre il ruolo di presenza simpatica e folkloristica per diventare avversarie pericolose e ambiziose.
Mentre giovani campioni salgono sugli aerei e firmano ottimi contratti con le squadre europee, altri muoiono nel Mediterraneo in cerca di un lavoro qualsiasi in Europa. Waka Waka di Shakira diceva che il tempo dell’Africa è arrivato, ma non sempre le canzoni raccontano tutta la verità.
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