Mondiali 1938, tutti contro di noi

Il lancio della monetina prima di Francia-Italia (da X Mondial1938)
Secondo titolo in un clima anti-italiano
Solo quattro anni, ma era cambiato tutto. Tutto il calcio, tutto lo sport, il mondo intero. Nel 1938 l’Italia di Vittorio Pozzo era al culmine di un periodo d’oro: prima la Coppa del mondo del 1934 giocata in casa e vinta a gloria del regime fascista, due anni dopo la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino, vittoria che valeva doppio perché in casa di Hitler, il dittatore amico e in quel momento ancora rivale. Ma tutta l’Europa aveva altri problemi che non fossero il calcio: la situazione politica lasciava già prevedere la catastrofe della guerra e il regime fascista italiano era una delle pedine fondamentali sullo scacchiere. Fu così che al mondiale di Francia del 1938 l’Italia arrivò con due fardelli: grande favorita e invisa a tutti.
Ostilità contro il fascismo
Ce l’avevano tutti con noi. Non con i giocatori come persone, ancora meno con Pozzo; ma con quello che la Nazionale italiana rappresentava, per quel suo apparire l’espressione vincente del regime di Mussolini. Uno dei momenti più critici era l’ingresso in campo con la presentazione al pubblico. I calciatori azzurri secondo le direttive fasciste tendevano il braccio nel saluto romano, gesto che dava il via alle proteste e agli insulti.Il saluto di Jules Rimet agli azzurri (Wikimedia commons)
Non era semplice sopportare oltre all’ansia agonistica anche la pressione di un pubblico ferocemente arrabbiato. Stessa situazione con la stampa locale che, a parte la ovvia vicinanza per la Nazionale francese, trasudava risentimento verso gli italiani. Un clima difficilissimo come ben descritto da Mauro Grimaldi nel suo saggio “La Nazionale del Duce”, testo fondamentale per lo studio del calcio in camicia nera.
Un Mondiale partito nel segno della contestazione quello francese, con le assenze polemiche di Uruguay e Argentina. Perché? Perché alla nascita dei Mondiali si era stabilito che l’organizzazione sarebbe toccata alternativamente a un Paese sudamericano e a uno europeo. Ma tutte le regole sono fatte per essere violate e la Fifa non fece eccezione designando la Francia. Dall’altra parte del mondo arrivarono solo il Brasile, che si atteggiava a favorito, e Cuba. Quest’ultima dopo avere eliminato la Romania finì l’esperienza francese seppellita ai quarti da 8 gol della Svezia.
La vittoria di Cuba sulla Romania (cr. Narodowe Archiwum Cyfrowe Wikimedia commons)
In un contesto come questo verrebbe da dire che le partite di calcio fossero il problema minore. Invece le cose cominciarono in salita per l’Italia che al primo turno si trovava di fronte la Norvegia. Tutto facile? No. Ci vollero i tempi supplementari per vincere 2-1, risultato che non dava conto delle difficoltà incontrate nell’impostazione di gioco. Ci volle tutta la grinta di Pozzo per dare la scossa a una squadra che non sembrava più quella. Silvio Piola chiuse i conti al ritorno in campo, pericolo scampato.
Da azzurri a neri
Al turno successivo, quarti di finale, all’Italia toccava la Francia. Entrambe con maglie azzurre, il sorteggio decise che a cambiarla dovevamo essere noi. Gli uomini di Pozzo, secondo gli ordini del regime, si presentò con una tenuta integralmente nera prendendo di sorpresa anche l’arbitro belga Baert. In quell’epoca (e per molti decenni a seguire) gli arbitri vestivano rigorosamente in nero, cosa che avrebbe creato confusione fra i giocatori nel distinguerlo dagli italiani. Si risolse con una buona dose di spirito: Baert arbitrò in camicia bianca indossando un paio di vistosi calzoni alla zuava che lo rendevano simile a un comico americano dell’epoca: Larry Semon, in Italia conosciuto come Ridolini.
La vittoria per 3-1 ebbe un effetto paradossale: ci guadagnammo il rispetto dei francesi. La squadra di Pozzo diventò pietra di paragone alla ricerca del bel gioco; la stampa locale pareva quasi consolarsi dell’eliminazione, fuori dal Mondiale sì ma ad opera di uno squadrone. Il bello però doveva ancora venire.
Brasiliani auto-jettatori
Semifinale: arrivano i brasiliani. Il Brasile era talmente certo di andare in finale da avere già comperato i biglietti dell’aereo da Marsiglia per Parigi, gesto che passerà alla storia come lampante esempio di mossa auto-jettatoria. La partita si risolse in una specie di psicodramma per i sudamericani che a fronte di una classe individuale sopraffina non riuscirono a impostare un gioco degno di questo nome.
Ci fu spazio anche per una scena comica, con Meazza che segnò il rigore del 2-0 tenendosi i calzoni stretti con una mano perché si era rotta la fettuccia. Finale sul 2-1 e i brasiliani che per ripicca non vollero nemmeno rivendere all’Italia i biglietti dell’aereo. Quindi a Parigi, ma tutti in treno.
Finale: stretta di mano fra i capitani Meazza e Sarosi (da Le Miroir des sports Wikimedia commons)
La finale del 19 giugno contro l’Ungheria si rivelò più facile del previsto: 4-2 con vittoria messa al sicuro già nel primo tempo. Nel 1968 in occasione di una intervista televisiva a Pozzo da parte di Nando Martellini vennero mostrate le poche immagini esistenti di quella partita. I giocatori sembravano lentissimi, quasi fermi sul posto; sorprendente per i giorni nostri, normale per allora quando la posizione in campo valeva più dei muscoli.
Vittorio Pozzo solleva la seconda coppa Rimet conquistata dall'Italia (dal giornale Excelsior Wikimedia commons)
Coppa Rimet nuovamente consegnata agli italiani e nuovo trionfo anche del regime fascista. Alla squadra venne offerta una specie di vacanza premio, con il prolungamento spesato della permanenza a Parigi. Tutti tornarono a casa, non si sa mai che i francesi tornassero a essere ostili.
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