Mondiali 1966, incubi e fantasmi

Mondiali 1966, incubi e fantasmi

Il monumento alla vittoria dei mondiali del 1966 (cr. Matt Brown Wikimedia commons)

Il mito della Corea e il gol invisibile

Qualcuno doveva prendersi una rivincita, qualcun altro doveva dimostrare davvero quello che valeva. Ma non tutto finì come doveva finire. Il mondiale del 1966 si giocava in Inghilterra, in casa degli inventori del calcio che fino a quel momento la Coppa Rimet l’avevano vista alzare solo dagli altri: l’occasione per portare a casa il titolo mondiale non poteva più essere rimandata.

In casa italiana, invece, la Coppa l’avevano già alzata due volte ma dopo il 1938 – in un contesto politico e sportivo completamente diverso – gli azzurri non erano più riusciti ad ottenere granché, non superando mai la fase dei gironi e non ottenendo nemmeno la qualificazione nel 1958.


Cile-Italia 1962, la battaglia di Santiago (Wikimedia commons)

L’Italia in Inghilterra ci andò con un conto da regolare e il sorteggio dei quattro gironi permise di togliersi subito la soddisfazione: eravamo nel gruppo 4 con il Cile, l’Unione sovietica e la Corea del Nord. Un girone facile che ci avrebbe permesso di andare ai quarti e vendicarci del Cile che quattro anni prima ci aveva rimandati a casa nella partita-rissa ricordata come “la battaglia di Santiago”.

Vendetta

Si cominciò proprio con il Cile, regolato per 2-0, il punteggio alla rovescia rispetto a Santiago, con Sandro Mazzola e Barison in gol. La prima pratica era regolata, ma andò diversamente con il cliente più difficile, l’Urss, che al primo turno ne aveva rifilati 3 ai coreani. Sconfitta 1-0 con il gol di uno degli attaccanti più forti di quei tempi, Cislenko. Niente di irreparabile, mancavano i coreani, tutti calciatori dilettanti che sembravano piombati lì da un altro pianeta.


L'allenatore romagnolo Edmondo Fabbri in panchina (Wikimedia commons)

Sulla panchina degli azzurri c’era il romagnolo Edmondo Fabbri, allenatore che aveva fatto miracoli a Mantova e che si era meritato il “Seminatore d’oro”, premio assegnato al tecnico con i migliori risultati nella stagione. Le testimonianze raccolte nei decenni successivi parlano però di un clima non positivo, con la squadra divisa fra il blocco dei giocatori che potevano influenzare le scelte di Fabbri e quelli che le dovevano subire.


Gigi Riva con la maglia del Cagliari, anni 70 (Wikimedia commons)

Ma ragionando con il senno del poi l’errore più grande fu il non aver dato fiducia a un ragazzo lombardo di 22 anni che appariva in formissima, un certo Gigi Riva da Leggiuno, uno degli attaccanti più potenti al mondo che si sarebbe meritato il soprannome di Rombo di tuono e avrebbe portato il Cagliari allo scudetto all’interno di un gruppo irripetibile.

Riva fu aggregato ma come semplice osservatore, come dovesse respirare l’aria di un mondiale a futura memoria. Fabbri gli preferì calciatori della generazione precedente, ma fu l’ingranaggio nel suo complesso che non funzionò.

Dramma italico

A ciò si aggiunse il maledetto vizio italiano di festeggiare la vittoria prima di averla conquistata. La stampa in sostanza fece la previsione di gol con il pallottoliere, irridendo avversari che, vivendo di altri lavori e sottoposti a un regime dittatoriale, si allenavano con severi metodi militari e avrebbero meritato solo rispetto.


La Nazionale italiana nel 1965, Bulgarelli è in prima fila con il pallone (Wikimedia commons)

Come direbbero i superstiziosi, ce la siamo andati a cercare. Nel primo tempo l’infortunio serio a Giacomo Bulgarelli ci costrinse a giocare tutta la partita in 10 (all’epoca non c’erano sostituzioni) ma comunque il telecronista Nicolò Carosio fu costretto a raccontare agli italiani uno spettacolo surreale, con i coreani in gol grazie a un tiro stupendo di un ignoto centrocampista, un certo Pak Doo-ik. Mancava tutto il secondo tempo però non ci fu più niente da fare, l’Italia tornò a casa umiliata da quegli onesti dilettanti.

Nel suo Paese Pak Doo-ik (che era un soldato e non un meccanico dentista come si raccontò in Italia) venne gratificato con la promozione a sergente, mentre gli azzurri furono omaggiati del lancio di pomodori nonostante il rientro in Italia organizzato in orario notturno e in un aeroporto decentrato come quello di Genova.


Il gol di Pak Doo-ik che eliminò l'Italia (da pagina Facebook Gruppo come eravamo)

Così come esiste una mitologia positiva per le grandi vittorie, esiste anche una mitologia negativa, potentissima, per i rovesci che ci capitano addosso; la Corea diventò sinonimo di tutte le successive batoste impreviste dell’Italia e l’onesta carriera di Fabbri finì per essere oscurata da quella sconfitta. Con una scarsa conoscenza della geografia, da qualche parte si parlò del pericolo Corea anche nei mondiali del 1986, in Messico, quando però l’Italia giocò con la Corea del Sud, vincendo 3-2. Qualcuno aveva semplicemente sbagliato lato del 38° parallelo.

In ogni caso quelli che dovevano essere dei pellegrini, nei quarti di finale rischiarono di mandare a casa anche il Portogallo, visto che ad un certo punto si trovarono in vantaggio 3-0. Ma fu un fuoco di paglia, poi il Portogallo vinse 5-3.

I vincitori

Questa la storia di una leggendaria sconfitta. Ma c’è anche la storia di una leggendaria vittoria, dell’Inghilterra, pur sporcata dalla macchia pesante di un gol fantasma. Le statistiche dicono che in finale l’Inghilterra sconfisse la Germania ovest 4-2 però la vicenda è più complessa.


La controversa espulsione di Rattin (cr. El Grafico Wikimedia commons)

Nei quarti di finale agli inglesi toccò l’Argentina, partita durissima finita 1-0. La si ricorda per la contestata espulsione dell’argentino Rattin che restò in campo fingendo di non capire cosa gli stava dicendo l’arbitro tedesco Kreitlein. Probabilmente era una messa in scena ma l’episodio rese inevitabile l’introduzione dei cartellini giallo e rosso perché non ci fossero dubbi. A idearli fu l’arbitro inglese Aston, quello della battaglia di Santiago di quattro anni prima.


Germania-Argentina 0-0 nella fase a gironi (cr. El Grafico Wikimedia commons)

La Germania si liberò di Uruguay e Urss, l’Inghilterra ebbe ragione in semifinale del Portogallo e si arrivò alla finale del 30 luglio, arbitro lo svizzero Dienst. Una partita dai mille colpi di scena che andò ai supplementari per il pareggio 2-2 dei tedeschi all’ultimo minuto. Ma il caos doveva ancora arrivare. Un tiro dell’inglese Hurst prese la parte bassa della traversa e rimbalzò a terra. I rossi esultarono ma non era chiaro per niente se il pallone avesse varcato la linea oppure no.


Il gol dubbio di Hurst (pagina Facebook German Football)

Dienst non era nella condizione di giudicare e andò a chiedere lumi al guardalinee di quel lato, il sovietico Bakhramov. Il colloquio fra i due è passato alla storia anche se nessuno ha mai saputo cosa si siano in realtà detti: uno parlava tedesco e l’altro solo russo e turco. Sta di fatto che il guardalinee fece capire che era gol e il gol fu assegnato. I tedeschi tentarono un nuovo recupero ma finì con un quarto gol inglese: 4-2.


Il guardalinee Tofiq Bakhramov che convalidò il gol (cr. Joost Evers Wikimedia commons)

Esistono infinite foto del pallone che rimbalza ma ancora oggi, volendo essere obiettivi, non è chiaro se fosse gol oppure no, anche se l’opinione generale è per il no. L’Inghilterra alzò la sua prima e unica Coppa Rimet e in ricordo del gesto è stato realizzato un monumento, ideato da Philip Jackson e collocato a Londra a Green street. Vi compaiono quattro calciatori: il capitano Bobby Moore che alza la coppa e accanto a lui Hurst, Peters e Wilson. Gol fantasma o no, i campioni erano loro.

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