Mondiali 1974, il piede sacrificato

Il Brasile del 1974, Rivelino è il terzo da destra in prima fila (dalla pagina Fb Munchen 74 photo's nostalgie)
All’ospedale per imitare la punizione di Rivelino
Rivelino (più correttamente Roberto Rivellino, cognome molisano) è un mito per molti nati negli anni 60. Campione del mondo in Messico nel 1970 (suo l’assist a Pelè per l’1-0 nella finale che ci vide sconfitti 4-1), faceva parte insieme a O Rey, a Gerson e a Jairzinho dell’élite del calcio sudamericano fantasioso e acrobatico di quegli anni.
Era il grande Brasile, vincitore di tre Mondiali su quattro dal 1958 al 1970, il calcio per antonomasia prima dell’avvento del totaalvoetbal (calcio totale) dell’Ajax, di Johann Cruijff e della nazionale olandese.
Pelè festeggiato per la vittoria del 1970 (cr. El Grafico Wikimedia commons)
Nel 1974 i mondiali di calcio vengono organizzati dalla Repubblica Federale Tedesca, con finale fissata a Monaco, seconda città dello stato (esclusa Berlino Ovest) in un clima di ferrei controlli dopo quanto accaduto con l’attentato alle Olimpiadi del 1972.
Una formazione del Brasile nel 1974, Rivelino è il terzo da destra in prima fila (dalla pagina Fb La nostra serie A anni 70)
Il Brasile è sotto le aspettative: al primo incontro fatica con la Jugoslavia, mentre l’Olanda spazza via l’Argentina 4-0, entusiasmando con il movimento continuo in campo e le formidabili progressioni. Il calcio vive una fase di passaggio, meno arte e più guerra, meno romanticismo e più tecnica. I verde-oro superano il primo turno solo per un gol in differenza reti. Fra parentesi anche gli azzurri, secondi ai precedenti mondiali, sono in forte difficoltà e non passano il primo turno (2-1 dalla veloce e moderna Polonia).
Lo scontro fra le due scuole, che simbolicamente sancisce il passaggio al calcio moderno, avviene il 3 luglio 1974, quando l’Olanda nel secondo turno batte il Brasile per 2-0 e vola in finale, dove sarà però sconfitta dalla Germania Ovest come sempre tremendamente pragmatica e concentrata.
Vogts, Cruijff e Hoeness nella finale Germania-Olanda (cr. Mittelstadt German federal archives Wikimedia commons)
Ma torniamo un attimo indietro. Prima di essere sconfitto dall’Olanda, il Brasile affronta allo stadio di Hannover la Germania Est. E’ il 26 giugno 1974: i sudamericani sono tecnicamente superiori ma si trovano di fronte l’arcigna difesa tedesca decisa a conquistare il pari ad ogni costo. A due terzi del match siamo ancora sullo 0-0.
La punizione di Rivelino vista da dietro la porta tedesca (dalla pagina Fb Munchen 74 photo's nostalgie)
Ripercorriamo attentamente gli eventi: al 61’ il Brasile ruba palla a centrocampo e lancia un contropiede micidiale. I tedeschi sono in difficoltà, Jairzinho viene atterrato in lunetta. E’ Rivelino che si incarica di battere il calcio di punizione, da 20 metri. Si forma la barriera tedesca. In base a uno schema mai visto prima lo stesso Jairzinho e due compagni si inseriscono nella barriera dei tedeschi. Al momento in cui sta per partire il potentissimo tiro i brasiliani si muovono disorientando i tedeschi, in particolare Jairzinho si lascia cadere a terra, lasciando un’apertura nella barriera di circa 30 centimetri, stimabile dalle immagini.
Il pallone, colpito di sinistro con precisione e potenza dal campione brasiliano infila con precisione il varco, senza neanche sfiorare le braccia dei tedeschi, ed entra in porta mentre il portiere Croy assiste impotente. Il Brasile vincerà 1-0 quella partita, per merito del grande Rivelino.
Rivelino in allenamento durante il Mondiale di Monaco (cr. Rob Mieremet per Anefo Wikimedia commons)
Un genio. Un mito. Anche per Paolo, operaio di una grande officina metalmeccanica fiorentina. Entusiasmato da quel calcio di punizione, al lavoro cercava spesso di emulare il suo baffuto idolo calciando qualunque cosa vedesse alla sua portata, con preferenza per le lattine di olio lubrificante vuote che facevano anche un bel rumore.
Tutti volevano bene a Paolo per la sua simpatia. Forse anche i colleghi che un giorno misero di nascosto un mattone dentro una lattina usata e abbandonata sul pavimento. Paolo la vide, impostò la rincorsa e calciò, con il miglior stile possibile. Dopo mezz’ora si trovava all’ospedale di Careggi con una frattura multipla al piede sinistro. Non sappiamo quale fu la sua reazione emotiva e nemmeno se le scuse dei compagni di lavoro ci furono, e se furono sincere o efficaci.
Mattoni, ecco cosa conteneva la latta calciata dall'imitatore di Rivelino (cr. Barbel Miemietz Wikimedia commons)
Sappiamo però che il danno fu riconosciuto come infortunio lavorativo dall’Istituto Assicuratore, anche se non si era verificato direttamente a causa dell’attività lavorativa. Ciò è corretto perché la norma attribuisce la definizione di infortunio a tutti i casi avvenuti “in occasione di lavoro”: è sufficiente cioè che la lesione abbia un rapporto anche indiretto con il contesto lavorativo e che non abbia potuto verificarsi al di fuori di tale contesto.
Questo concetto, difficile da codificare vista la possibile infinita casistica, è stato oggetto nei decenni di numerosi approfondimenti giurisprudenziali e medico-legali. Ma il caso di Paolo, del povero e malcapitato Paolo, è sicuramente è il più istruttivo di tutti.
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