Ci arrendiamo alla bellezza

Palestrina ritratto nel salone dei concerti di palazzo Chigi-Saracini a Siena (cr. Sailko Wikimedia commons)
La musica di Palestrina vince dopo 500 anni
Il 2025 segna i cinquecento anni dalla nascita di Giovanni Pierluigi da Palestrina, il Principe della Musica - Princeps Musicae -, figura cardine del Rinascimento europeo. Il compositore prende il nome dal borgo laziale di Palestrina, sui Colli Prenestini a circa 35 chilometri da Roma, che per l’occasione si è trasformato in un’enorme camera di risonanza: dalla cattedrale di Sant’Agapito alla piazza illuminata da immagini tridimensionali che ricamano i mottetti sull’intonaco delle chiese.
Più che lanciarsi nel catalogo dei tanti eventi delle celebrazioni 2025 è interessante riflettere sul modo in cui la galassia Palestrina viene rifratta attraverso il prisma del presente. La ricorrenza sta operando come una sorta di grande acceleratore: fioriscono le analisi assistite dalle Digital Humanities (umanistica digitale), gli ‘’scavi’’ filologici su fonti d’epoca e le uscite di nuove edizioni critiche che caricano l’intero corpus palestriniano in rete. In mezzo a tutto questo, molte iniziative artistiche puntano a creare connessioni inaspettate tra la musica di Palestrina e la sensibilità odierna.
Ritratto di Palestrina di autore ignoto (Wikimedia commons)
Lo celebrano, sì, per quel contrappunto levigato al millimetro (le voci che si incastrano come ingranaggi in un orologio divino) ma c’è dell’altro, un’altra verità che pulsa sotto i pentagrammi. Diversi commentatori sottolineano come nella sua musica “ogni attrito è calcolato, ogni risoluzione è un atto di fede nella razionalità armonica”. Le poche dissonanze in Palestrina si interpretano come “il tremore della preghiera, sospeso tra colpa e redenzione” come scrive il professor Alberto Valentino Grasso dell’università Roma 3. Questa lettura quasi teologica della scrittura palestriniana aiuta a capire perché in un’epoca frenetica come la nostra vi sia un rinnovato interesse per la sua musica: essa offre uno spazio sonoro di contemplazione, una calma architettura di voci che si muovono secondo un ordine superiore.
Un esempio di queste reinterpretazioni contemporanee si può trovare appunto a Palestrina (la città) con il festival ‘In Principio era il Suono’, concentrato di installazioni e video che tentano un’ingegneria inversa (e cosmologica) della musica mundana: buio iniziale, silenzio quasi totale, poi un lento coagularsi di armonici, come se si potesse assistere alla genesi stessa dell’ordine sonoro. Gli organizzatori parlano di “dialogo fra il contrappunto del Rinascimento e la scienza acustica contemporanea”. Questioni tipo ‘’che cosa è il suono?’’ e ‘’come diventa sistema?’’ che convergono in eventi dove il pubblico viene coinvolto in un viaggio sensoriale che ripercorre simbolicamente la genesi di quell’ordine musicale che Palestrina incarnò nelle sue opere.
Palestrina in un bassorilievo a Santa Maria del Fiore, Firenze (cr. Sailko Wikimedia commons)
C’è poi un dettaglio che rivela più di qualsiasi analisi musicologica: gli abitanti di Palestrina chiamano affettuosamente il compositore “il Pierluigi”, come si farebbe con un familiare illustre, a sottolineare quanto egli sia parte integrante dell’anima della città. Così la musica diventa narrazione di un luogo: i suoni di Palestrina conducono fisicamente a Palestrina città, all’antica Praeneste arroccata sui Monti Prenestini, famosa un tempo per il Tempio della Fortuna Primigenia ed oggi nota nel mondo soprattutto grazie al suo musicista. In questo senso, ogni concerto organizzato lì nel 2025 è anche un’esperienza di luogo: ascoltare un mottetto di Palestrina nella cattedrale di Sant’Agapito (dove egli iniziò come organista) o nella casa natale trasformata in sala da musica significa percepire il legame inscindibile tra note e pietre, tra patrimonio sonoro e patrimonio storico.
Il critico e poeta Francesco Flora scrisse che in Palestrina “nella forma si fanno armonia il divino e il terrestre, con una consapevolezza di suprema serenità”. Questa sintesi fra cielo e terra attraverso la bellezza formale torna con forza nelle celebrazioni odierne sotto forma di interrogativi attualissimi: può la bellezza salvare il mondo? Può l’arte riconciliare gli opposti (spirituale e materiale, caos e ordine) in un’unità significativa?
La prima pagina della Missa Papae Marcelli di Palestrina (Wikimedia commons)
I concerti-evento 2025 provano a rispondere con un “sì” in forma di esperienza sensoriale. Sono strumenti per un viaggio a doppio senso: esploriamo il Rinascimento attraverso le sue geometrie musicali, mentre quelle stesse geometrie interrogano le nostre fragilità contemporanee e ci ricordano che certe domande (sulla bellezza, sull’armonia, sul sacro) sono eternamente umane.
Quello che Flora chiama “suprema serenità” oggi assume i tratti di un protocollo dimostrativo: sì, le dissonanze risolte di Palestrina possono ancora fungere da ponte sull’abisso tra caos e cosmo. Sì, il raccoglimento in una navata buia produce ancora quel cortocircuito neuroestetico che i trattati non sanno del tutto nominare. È una forma di conoscenza per osmosi: l’istante in cui l’ascoltatore smette di decodificare e comincia a subire la bellezza. Una resa che somiglia a una vittoria, l’unico tipo di risposta che conta quando la domanda supera la portata del linguaggio.
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