Il soprano sul treno blindato

Il soprano sul treno blindato

Manifesto di propaganda "Urss, la grande potenza ferroviaria", 1954, di I. Ganf

Dina Mannucci, voce fiorentina invitata dall’Urss  

Siamo negli anni ’50, nel pieno della guerra fredda. In Unione Sovietica c’è un treno che attraversa le pianure per centinaia di chilometri. Ma nessuno fra i passeggeri poteva sapere in quale pezzo di Urss si fosse o come fosse il paesaggio; perché le autorità avevano ordinato che i finestrini fossero oscurati da assi di legno inchiodate sulle fiancate dei vagoni.

Perché quelle assi? Perché quel mistero? Perché non era un treno qualunque, era un treno che trasportava ospiti occidentali. Gente di riguardo, certamente, ma pur sempre dell’occidente capitalista. Alcuni di loro erano stati invitati, erano una compagnia di canto lirico e l’Unione Sovietica in fatto di musica classica non ha mai avuto niente da invidiare a nessuno; quindi porte aperte agli artisti di tutto il mondo ma con qualche precauzione. Della compagnia faceva parte un soprano molto speciale, Dina Mannucci, che non si limitava a cantare: era anche compositrice. Ma chi era davvero questa cantante?


Autoritratto di Cipriano Antonio Mannucci, padre di Dina

Dina Mannucci era nata a Firenze nel 1906 dove è morta nel 2004. Era figlia di Cipriano Antonio Mannucci, un apprezzatissimo pittore post macchiaiolo nato a Nizza nel 1882, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze, che lavorò a Parigi, Dakar, Rio, L’Aja, Anversa, Roma, e che infine era tornato a Firenze, città che amava tantissimo, con la moglie Giulia e le figlie, dove morì nel 1970. Il suo autoritratto si trova nella Galleria degli Autoritratti a Palazzo Pitti.

Abitavano in via San Gallo al numero 128, uno dei palazzi con portici che circondano la piazza della Libertà (già piazza San Gallo, poi piazza Cavour), costruiti nella seconda metà del 1800 per Firenze Capitale d’Italia, destinati ad ospitare uffici ministeriali e successivamente adibiti ad abitazioni.

I Mannucci abitavano il “mezzanino” con finestre che si aprivano sotto le arcate dei portici, e sulla via San Gallo e verso l’ospedale militare. Dina aveva sposato il maestro Flaminio Contini, direttore d’orchestra e maestro di canto e la coppia viveva con i genitori di lei.

Nella stagione operistica 1937-1938 la giovane Dina Mannucci è nella parte di Rosina nel Barbiere di Siviglia con il gruppo di giovani cantanti che accompagnano i baritoni Gino Bechi ed Ettore Bastianini in Egitto, al Cairo. Gino Bechi la definisce in un’intervista “deliziosa” e “fiorentinaccia come me”.


"Dina adolescente" ritratta dal padre Cipriano Antonio Mannucci  

Nel gennaio del 1952 il baritono Ettore Bastianini e Dina Mannucci Contini cantano La Traviata a Siena nel Teatro dei Rinnovati, direttore il maestro Flaminio Contini.

I cantanti che venivano a Firenze per recite al Teatro Comunale andavano dal maestro Contini prima dello spettacolo. Salendo le scale si sentivano i gorgheggi e gli esercizi.

La mia famiglia abitava all’ultimo piano dello stesso palazzo, i miei nonni e i miei genitori erano in grande amicizia con i Mannucci e i Contini.

L’appartamento era stipato di quadri, fra cui ritratti a grandezza naturale. Bellissimo il ritratto Dina adolescente in uno splendido abito rosa. Bellissima, impettita, rivolta a guardare lo spettatore, mostra tutto il suo carattere, tenace, imperioso. Gli occhi chiari, tra azzurri e verdi, davano una forza allo sguardo che intimidiva anche quando era anziana. Insieme ai quadri, abiti di scena splendidi appesi a telai di sostegno. L’appartamento aveva un fascino incredibile.

Dina aveva anche scritto un’Ave Maria e l’ha cantata anche nella chiesa di San Giovannino dei Cavalieri di Malta, in via San Gallo, la nostra parrocchia.


Gino Bechi e la partitura dell'Ave Maria composta da Dina Mannucci

Più tardi fu chiamata alla Scala ma nello stesso periodo si trovò un tumore al seno e i genitori che invecchiando avevano bisogno di lei. Rinunciò al teatro, prese la decisione di non operarsi e si dedicò alla cura dei genitori e del marito. Questo atteggiamento corrisponde al suo carattere e alla forza delle sue decisioni.

La solitudine le pesava molto, si consolava con la compagnia di un gatto. Un giorno si accorse che su un tettino dell’ospedale militare c’era un gatto abbandonato. Comprò una fionda di tipo professionale e tirava al gatto bocconcini di carne macinata. Una vera guerriera.

Aveva piacere che l’andassimo a trovare, e un giorno mi disse che era meglio riuscire a reagire. Aveva già 96 anni: “Non posso mica stare tutto il tempo a belare”. Era moltissimo tempo che non sentivo questa espressione tutta fiorentina.

Riproduzione riservata