In cerca di corpi e facce

In cerca di corpi e facce

Pasolini insieme a Totò (cr. Centro studi Pasolini di Casarsa Wikimedia commons)

Pasolini reclutava attori fra il popolo

«A me gli attori non interessano». Difficile immaginare che questa frase sia stata pronunciata da un regista, eppure è proprio così. Quando Pier Paolo Pasolini decide di imbracciare la macchina da presa e dedicarsi al cinema, non conosce la differenza tra un obiettivo e un altro, ma sa già da cosa stare alla larga: falsità, imitazione, recitazione.

Per Pasolini il cinema non è solo un linguaggio, ma una lingua – la lingua scritta della Realtà – e dunque non può affidarla a persone che “fanno come”; deve rivolgersi a persone “che sono”. I suoi attori sono uomini e donne del popolo: volti incontrati per strada, nei mercati, nelle piazze o durante i sopralluoghi nei paesi del Terzo Mondo. Prima di girare Accattone, il suo esordio da regista, Pasolini trascorre intere giornate («le più belle della mia vita», dirà) a fotografare facce e corpi. I personaggi li ha già in mente: deve solo trovarli.

Sono «facce di peoni, di mozzi del Potemkin, di frati», dirà il poeta e regista. Facce che ridono «strizzando gli occhi e le rughette intorno agli occhi, in quel loro riso malandrino che abolisce ogni regola della vita, in un’allegria storica e antica».

In questo universo di personaggi autentici – Franco Citti, Ninetto Davoli, Adriana Asti – Pasolini lavora anche con stelle consacrate: Anna Magnani interpreta Mamma Roma, Totò è il protagonista poetico e surreale di Uccellacci e uccellini, La terra vista dalla luna e Che cosa sono le nuvole?, Maria Callas presta il suo carisma immortale a Medea, affidandosi con disciplina e dedizione alla visione del regista, che la dirige senza farla cantare, ma lasciando che la sua sola presenza riempia lo schermo. Poco prima di morire, inoltre, Pasolini affida il progetto monumentale di PornoTeoKolossal – che non verrà mai realizzato – a Eduardo De Filippo.

Se il rapporto con gli attori “feticcio”, quelli che guidava come marionette, è spontaneo e semplice – con esiti a volte imprevedibili, come nel caso di Citti e Davoli, divenuti attori veri (Citti sfiorò il Nastro d’Argento come miglior protagonista e recitò anche accanto ad Al Pacino ne Il Padrino) – quello con gli attori professionisti si costruisce passo dopo passo, attraversando anche momenti di crisi.

Gli attriti con Anna Magnani

Durante le riprese di Mamma Roma, il secondo film di Pasolini, tra il regista e Anna Magnani non mancano momenti di attrito, definiti dall’attrice «piccoli conflitti di chiarificazione». La Magnani arriva persino a chiedere aiuto ad amici comuni per entrare in sintonia con Pasolini: «Je devi di' che gli attori nun so' come li ragazzini che se divertono a fa' quello che sanno fa'— si sfoga con l’attrice e regista Elsa De Giorgi – . Io in mezzo a quelli divento 'na cagna, hai capito? Quelli me fregano. Quelli nun “fanno come”, quelli so' così. Lui non ha capito che l'attore pè diventà come loro deve trovà lo stile, come lui quando le parolacce che sente di' da loro le scrive».



Anna Magnani in discoteca con Pasolini (cr. Wikimedia commons)

Uno degli episodi più significativi, raccontato dallo stesso Pasolini, riguarda una discussione sul valore della risata. La scena prevede che Mamma Roma rida mentre chiede al figlio: «È bella questa motocicletta che ti ho comprato? È come la volevi te?». Durante le riprese, Pasolini le urla: «Ridi, ridi, Anna». E lei, come racconterà poi, si lascia sfuggire una risata cretina, che le sembra falsa.  Pasolini si scusa: «Il mio imbeccarti da fuori, in una specie di iniezione di espressività, è un’abitudine che io ho preso facendo recitare gli attori della strada, alle cui facce devo dare un colpo di pollice nel momento per loro più inaspettato, quasi a tradimento». I due si chiariscono e decidono di lavorare studiando insieme ogni scena, battuta per battuta.

Anche Totò, inizialmente, ha delle perplessità. Quando Pasolini si presenta a casa sua per parlargli di Uccellacci e uccellini, il principe è colpito – con malcelato disgusto – dai jeans sdruciti di Ninetto Davoli. Inoltre, a differenza di altri registi, Pasolini non lascia spazio all’improvvisazione e anche con il principe interviene “a tradimento”: «Mi ha spiegato poco volta per volta – dice Totò al critico cinematografico Giacomo Gambetti, in una conversazione riportata da Alberto Anile nel suo saggio “I film di Totò. La maschera tradita – cioè “Io preferirei che tu facessi così, così e così”. Ma non so che cosa ci sia prima e dopo non so cosa viene». E ancora: «Se lo debbo raccontare il film in ordine, da cima a fondo, non lo posso dire».

Questo pasolineggia troppo

Nonostante ciò Totò ha una fiducia sterminata nella cultura e nella visione di Pasolini, e gli si affida. Salvo poi “crollare” di tanto in tanto: «Questo Pasolini – si lascia sfuggire in un momento di sconforto con il giornalista Nino Longobardi – pasolineggia un po’ troppo. Stiamo a metà del film e non ho ancora capito che razza, che schifezza di film stiamo facendo. Certe volte io gli prendo la mano, faccio a modo mio. Insomma, capisci, cerco di forzare la situazione. Ma lui urla, mi sgrida, mi strapazza, come se fossi un ragazzino. No questo non lo devi fare, mi dice, ma io lo faccio lo stesso».



Totò, Silvana Mangano e Ninetto Davoli in "La Terra vista dalla Luna" (cr. Wikimedia commons)

Il loro rapporto trascende tuttavia la semplice collaborazione, sfiorando la sacralità. «Il primo è un comico, scatena la sua fantasia in piena libertà – scrive Alberto Anile sempre nel volume “I film di Totò. La maschera tradita” – il secondo è un intellettuale, la sua vita, le sue poesie, i suoi film sono atti politici. Il principe è un conservatore di spiccate simpatie monarchiche, il regista un uomo di sinistra pronto al duello dialettico con chiunque, anche con il partito di riferimento; l’arte di Totò si muove nel solco di una tradizione culturale, quella di PPP è spesso violenta opera di sperimentazione». Eppure i due insieme funzionano. Per Uccellacci e uccellini, il film tra i suoi che incassò meno al cinema, nel 1967 Totò vinse il Nastro d'Argento come miglior protagonista.

Nel loro ultimo film insieme, Che cosa sono le nuvole?, Totò interpreta Jago in una rivisitazione dell'Otello in cui i personaggi sono marionette che dietro le quinte riflettono sul senso della loro esistenza. Nel momento più drammatico della rappresentazione, il pubblico irrompe e distrugge le marionette, disapprovando l’omicidio di Desdemona. Allora arriva Domenico Modugno, nel ruolo del “monnezzaro”, che getta i fantocci nella discarica cantando: Tutto il mio folle amore lo soffia il cielo. Le marionette, ormai smembrate, rimangono incantate a osservare le nuvole. «Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato!» esclama Jago, e con lui Totò. Sarà la sua ultima battuta al cinema, il suo ultimo saluto al mondo.

 

 

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