Pasolini, un omicidio senza verità

Pasolini, un omicidio senza verità

Pier Paolo Pasolini nel disegno a penna su carta di Paolo Steffan (Wikimedia commons)

Mistero d’Italia, paga solo un ragazzo di vita

La notte fra il primo e il 2 novembre 1975, cinquant'anni fa, veniva assassinato Pier Paolo Pasolini. Iosonospartaco ha seguito il percorso artistico e umano dell'intellettuale più discusso dell'Italia del dopoguerra. Oggi Martina Riccò ricostruisce il delitto che rappresenta dopo mezzo secolo uno dei buchi neri nella storia nazionale.

Cinquant’anni fa moriva Pier Paolo Pasolini. Poeta, scrittore, regista, drammaturgo. Intellettuale, in una parola — se una sola parola potesse contenere l’universo in cui Pasolini si muoveva e che, con il suo continuo movimento, al tempo stesso creava.

Difficilmente etichettabile, discusso e divisivo, Pasolini continua a far parlare di sé anche da morto. C’è chi ritiene la sua fine la conseguenza diretta delle sue abitudini più scandalose e oscure – ma certo non segrete – e chi, invece, è convinto che dietro al suo assassinio si nascondano ragioni politiche. Quel delitto, in ogni caso, appartiene ormai alla lunga lista dei misteri irrisolti italiani — quei cold case che, a dispetto del nome, non sono mai diventati davvero freddi.


Il cadavere di Pasolini coperto da un telo all'idroscalo di Ostia

A distanza di mezzo secolo, non si sa ancora cosa accadde quella notte all’Idroscalo di Ostia.
Si conoscono solo le narrazioni che si sono succedute nel tempo: testimonianze rilasciate e poi cambiate, altre mai raccolte, e gli esiti di un processo che ha portato alla condanna definitiva di Giuseppe Pelosi, detto Pino la Rana, lasciando dietro di sé domande aperte e dubbi irrisolti.

La notte all’Idroscalo

Un’auto contromano sfreccia sul lungomare Duilio di Ostia. È l’una e mezza della notte tra l’1 e il 2 novembre. Una volante dei carabinieri la vede e intima l’alt. L’auto non si ferma. I militari si lanciano all’inseguimento e riescono a bloccarla poco dopo. A scendere dal posto di guida non è il proprietario ma un diciassettenne di Guidonia: Giuseppe Pelosi. Ha una piccola ferita sulla fronte, dice di essersela procurata durante una brusca frenata.


Pasolini con la sua Alfa Romeo (da Spiderveloce's blog)

Sostiene di aver rubato l’Alfa Romeo 2000 GT sulla Tiburtina, vicino a casa, e di essere andato a Ostia per accompagnare un amico. Ma l’auto è intestata a Pier Paolo Pasolini. Alle cinque del mattino Pelosi viene portato nel carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma. Prima, però, insiste perché i carabinieri tornino all’auto a cercare un pacchetto di sigarette, un accendino e un anello d’oro con una pietra rossa e la scritta United States Army.


La polizia accanto al cadavere di Pasolini il 2 novembre 1975 

Alle 6.30 del mattino la signora Maria Teresa Lollobrigida trova un corpo su una strada sterrata dell’Idroscalo. Lo scambia prima per immondizia, poi per stracci abbandonati. Quando la polizia arriva, sul posto ci sono già curiosi e ragazzini che dovevano giocare una partita di calcio sul campetto vicino. L’uomo è coperto di sangue. Ha ecchimosi e profonde escoriazioni su testa, spalle, dorso e addome; fratture alle dita della mano sinistra e dieci costole spezzate; il naso rotto, schiacciato verso sinistra. A tre metri dal corpo giace un anello con una pietra rossa: è quello di Pelosi. Poco lontano, una camicia di lana a righe, imbrattata di sangue. Gli agenti trovano anche due tavole di legno macchiate di sangue e capelli, una delle quali reca la scritta “via dell’Idroscalo”. Le tracce di pneumatici portano dalla porta del campetto fino al corpo.

È Ninetto Davoli a effettuare il riconoscimento: il corpo è di Pier Paolo Pasolini.


Ninetto Davoli e Riccardo Scamarcio alla prima del film "Pasolini" di Abel Ferrara (cr. P.L. Cassarino Wikimedia commons)

In cella, il magistrato Luigi Tranfo raccoglie la confessione di Pelosi. Il ragazzo racconta di essere stato abbordato dal poeta in piazza dei Cinquecento, davanti alla stazione Termini, intorno alle 22.30. Dopo una sosta alla trattoria Al Biondo Tevere per una pasta ajo e oio e una birra, sarebbero andati all’Idroscalo, parcheggiando vicino alle baracche abusive. Si sarebbero accordati per un rapporto orale, ventimila lire la ricompensa. Pelosi dice che, al termine, Pasolini avrebbe preteso di più e lo avrebbe aggredito con un bastone. A quel punto, racconta di aver reagito per difendersi, colpendolo con calci e pugni, e di essere fuggito con l’auto del poeta, travolgendolo senza accorgersene.


Pino Pelosi nel 1975 al momento dell'arresto e da adulto

Da subito, la ricostruzione non convince. Le persone che abitano nelle baracche raccontano di aver sentito più voci, insulti, grida di aiuto, una voce che invocava la madre.
E i segni sul corpo parlano da soli: Pasolini, il presunto aggressore, è ridotto in condizioni disperate; Pelosi, l’aggredito, ha solo lievi escoriazioni e una piccola ferita alla testa. I suoi abiti sono quasi puliti. I carabinieri, al momento dell’arresto, pensano di avere a che fare con un semplice ladro d’auto.


La giornalista e scrittrice Oriana Fallaci nel 1987 (cr. GianAngelo Pistoia Wikimedia commons)

Intanto la stampa si infiamma. L’Europeo, con un’inchiesta di Oriana Fallaci, pubblica il racconto di una fonte anonima secondo cui il poeta sarebbe stato aggredito da due uomini arrivati in motocicletta. La Stampa, con un articolo di Furio Colombo, riporta la testimonianza di un residente: «Erano in tanti. Lo hanno massacrato. Erano quattro o cinque».
Gli amici di Pasolini — i fratelli Franco e Sergio Citti, lo sceneggiatore Enzo Ocone — e l’avvocato Nino Marazzita avviano indagini parallele. Nel frattempo la magistratura è accusata di essersi mossa con superficialità: la scena del delitto non è stata delimitata, l’auto resta sotto la pioggia, gli interrogatori a chi vive nelle baracche sono incompleti e tardivi.

La vicenda giudiziaria

Il processo per il delitto Pasolini inizia il 2 febbraio 1976 davanti al tribunale minorile di Roma. Pelosi, difeso dagli avvocati Spaltro e Mangia, è accusato di omicidio volontario, furto d’auto e atti osceni.


Pelosi riportato dalla polizia sul luogo del delitto 

Il dibattimento è scandito da polemiche e colpi di scena. A un certo punto si parla di Franco e Giuseppe Borsellino, detti fratelli “Braciola”, due ragazzini amici di Pelosi che avevano raccontato a un carabiniere in borghese di aver partecipato al delitto. Ma il più grande dei due, interrogato, afferma di essersi inventato tutto. L’audizione del medico legale Faustino Durante, perito di parte civile, dimostra che nella prima fase della colluttazione Pasolini era senz’alcun dubbio in grado di reagire, essendosi addirittura tolto la camicia e avendo camminato per diversi metri.


La prima pagina di "Paese Sera" con la notizia dell'omicidio

Non era credibile dunque che Pelosi avesse riportato solo un graffio sulla fronte e non avesse i vestiti sporchi. Il perito rivela poi la presenza di una macchia di sangue sullo sportello anteriore destro dell’Alfa: le ferite della vittima e le tracce rinvenute sono per lui incompatibili con un’aggressione da parte di un solo individuo.

Nonostante i dubbi, il 26 aprile 1976 arriva la condanna: nove anni, sette mesi e dieci giorni per omicidio volontario “in concorso con ignoti”. In appello la sentenza viene confermata, ma la formula dei complici scompare. La Cassazione, nel 1979, conferma quanto stabilito in Appello senza sciogliere i nodi.


Particolare dal manifesto del film "Pasolini - Un delitto italiano" di Marco Tullio Giordana

Nel 1987 l’inchiesta viene riaperta per verificare un possibile coinvolgimento di Giuseppe Mastini, detto “Johnny lo Zingaro”, di cui avevano parlato i fratelli Borsellino. Nel 1995, dopo il film di Marco Tullio Giordana Pasolini – Un delitto italiano, i magistrati tornano a esaminare il fascicolo per la seconda volta.

La svolta sembra arrivare nel 2005, quando Pelosi, che ormai ha 46 anni, ritratta la confessione in un’intervista a Franca Leosini per Ombre sul giallo su Raitre. Racconta che quella notte c’erano altri uomini, che Pasolini fu insultato e picchiato da un gruppo, e che lui venne costretto al silenzio.
Le sue parole danno origine a una nuova inchiesta, poi archiviata per mancanza di prove.

Nel 2009 e di nuovo nel 2010 vengono disposte analisi genetiche sui reperti conservati al Museo criminologico di Roma: abiti, bastoni e un plantare numero 41 trovato nell’auto di Pasolini, non appartenente né alla vittima né a Pelosi. Le analisi indicano tracce di più persone, ma nessuna identificabile.


Serigrafia incollata a Roma dedicata a Pasolini (cr. Ernest Pignon Ernest Wikimedia commons)

Nel libro Profondo nero di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, pubblicato in quel periodo, Pelosi collega la morte di Pasolini al romanzo Petrolio, in cui il personaggio di “Troya” sarebbe ispirato a Eugenio Cefis, successore dell’assassinato Enrico Mattei all’Eni. Nel testo, Pasolini tratteggia una figura di potere oscuro e corrotto, anticipando — secondo alcuni — le trame di quegli anni che condurranno alla P2.

Nel 2015 il Gip archivia definitivamente il caso, riconoscendo che la presenza di più persone è “molto probabile”, ma che nessuna prova consente di identificarle.

Una storia sbagliata

Cinquant’anni dopo, dell’omicidio di Pasolini restano il mistero e le fotografie del corpo martoriato sulla sabbia di Ostia. Resta la voce di un intellettuale scomodo e irriducibile, la memoria di un poeta che aveva visto troppo. Resta l’Italia che ha scosso la testa giustificando il delitto con l’alibi morale del “delitto omosessuale”, e quella che continua a credere che dietro ci fossero poteri più grandi.
Resta la disperazione di aver perso un poeta vero, quando — come urlò Moravia al funerale dell’amico — «di poeti ne nascono soltanto tre o quattro in un secolo».


Alberto Moravia e Dacia Maraini al funerale di Pasolini 

E resta, soprattutto, la sensazione — come scrissero De André e Bubola nel 1980 — che quella di Pasolini fosse una storia sbagliata.

«Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos’altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite».

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