I buoni propositi di Dio verso di noi

I buoni propositi di Dio verso di noi

La vigna ricorre nella parabola del vangelo di Matteo crediti Francesco Sgroi Wikimedia commons

I nostri fallimenti e la lezione dei vangeli

Alla data attuale ciascuno di noi ha già scordato la bella festa di fine anno e ha solo un pallido ricordo della prima alba del 2025, con tutte le sue speranze. Ma soprattutto, ed è su questo che vorrei riflettere, ciascuno di noi ha già abbandonato alla loro sorte i buoni propositi formulati mentre salutava l’anno nuovo. “Smetterò di fumare”, “Curerò la mia relazione con gli altri”, “Studierò di più”. Esempi presi a caso. Intenzioni lodevolissime. Oggi, sfumati i primi giorni del nuovo anno, la mia ipotesi (non sono in grado di verificarla) è che il 99% dei nostri propositi non abbia avuto alcun seguito. Non ho smesso di fumare, coltivo il mio brutto carattere e, quanto a studiare, lo rimando a domani. Se non ho colto nel segno e state portando avanti il proposito formulato, potete smettere di leggere oltre e avete tutta la mia ammirazione.

Per chi ancora mi sta seguendo, ecco un brevissimo racconto. 

Un uomo aveva due figli. Si rivolse ad uno dei due e gli disse: “Va’ a lavorare nella vigna”. Il figlio gli rispose: sì papà. Però a lavorare nella vigna non ci andò. Eppure il suo proposito era lineare e dichiarato. Cos’è che non ha funzionato?

Quel padre disse anche all’altro figlio: “Va’ a lavorare nella vigna”. Doveva essere una stagione impegnativa, magari la vendemmia. Questo figlio gli rispose chiaramente: “Non ne ho voglia”. Detto questo ci ripensò, si pentì della sua risposta e infine andò a lavorare nella vigna di famiglia.

Il secondo figlio dà una rispostaccia da adolescente ribelle, alla vigna nessuno s’aspettava che arrivasse. Eppure arrivò.

Gesù seguito dalle persone impreparate e inadatte

Il racconto è di Gesù, l’avrete riconosciuto, anche se è tradotto qui con qualche licenza espressiva, e si trova nel vangelo secondo Matteo (21,28-32). Vuole evidenziare come le persone più “impreparate” e inadatte, quelle del non ne ho voglia, abbiano seguito Gesù e l’abbiano invece rifiutato le persone religiose e attente, quelle del sì papà.

Prendendomi la libertà di estrapolare la piccola parabola dal contesto, la uso per esemplificare il (possibile) fallimento dei buoni propositi.

Eccomi dunque a Capodanno, piena di gratitudine e di buoni sentimenti, sento che vorrei cambiare qualcosa nella mia vita. Sì, ho deciso, lo farò, “andrò a lavorare nella vigna”. Da domani. Che bello, mi sento audace e buona. Da domani.

È come se mi prendessi una sbornia di bontà con effetti collaterali perniciosi e infatti il giorno dopo sono nauseata e senza forze. Ma ho detto “domani”, rimando solo di un giorno. Quando il domani diventa oggi, la sbornia è passata e con essa anche la bontà del mio proposito, ormai svaporato nei sogni per bravi bambini. Volevo smettere di fumare? Be’, non sono mica una persona rigida, oggi mi concedo un’eccezione. Domani poi basta.

La linea di scorrimento fra oggi e domani, è quella che ci frega. Aggiunta ai buoni sentimenti in dosi smodate. E alla sensazione di essermi incastrata da sola.

Che fare? Dire risolutamente: “Non ne ho voglia”, né oggi né domani? Chissà che non funzioni.

Però alla lunga sa tanto di disfatta, perché mi piacerebbe davvero cambiar qualcosa della mia vita. Riflettendo più a fondo e scrutando il vangelo (poiché questa è dichiaratamente la mia risorsa) cerco una pista da seguire.


La parabola del granello di senapa in una stampa crediti Wikimedia commons


Riprendo il vangelo secondo Matteo.
Gesù diceva: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.
Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. (Matteo 27-32).

Ascoltando questo brano mi colpisce l’uso di similitudini così semplici per parlare del regno di Dio, quasi lo potessimo toccare con mano. Basta un seme, lo affido alla terra ed ecco il seme germoglia e cresce fino alla mietitura. Basta un seme piccolissimo per produrre un albero grande, rifugio agli uccelli del cielo. La forza del seme è misteriosa, che io dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Chi coltiva la terra potrà obbiettare che non è proprio così facile, qualcosa da fare c’è nel frattempo e qualcosa può anche andare storto e il seme marcire. Verissimo. Ma a me sembra che Gesù non stia dandoci delle informazioni su come va la vita, questo lo sappiamo già. Sta suscitando in noi l’intuizione che la vita possa andare in modo diverso. La mia vita.

Scenari di luce
mentre brancolo nel buio

Il regno di Dio di cui Gesù sempre parla e mai definisce apre scenari di luce laddove io sto brancolando nel buio. Se sono stata tentata di formulare un buon proposito è perché capisco che il mio modo di reagire alla realtà è fallimentare in qualche punto; del tipo: mi rovino col fumo. Questo esempio è banale, ciascuno di noi lo sostituisca con quello adatto al suo caso. Io credo che noi lo sappiamo quale buio ci avvolge o quale laccio ci strangola. Però non lo sappiamo abbastanza bene fino a quando non balena lo scenario della libertà. Ecco allora il regno di Dio: mi fa capire quanto è bello, desiderabile, possibile per me, respirare nella libertà.

Gesù annuncia il regno di Dio e a me sembra affidabile. Gesù lo incarna e lo mette in azione e l’annuncio ci raggiunge là dove non vogliamo metter mano, perché ci fa male e non abbiamo speranza di guarire. Sul piccolo seme del nostro disagio, del nostro grido silenzioso, scende una parola altra e il regno che annuncia non è di questo mondo (Giovanni 18,36). Però s’impasta in questo mondo. Vedi la versione al femminile della parabola: A che cosa paragonerò il regno di Dio? Esso è simile al lievito che una donna ha preso e mescolato in tre misure di farina, finché sia tutta lievitata (Luca 13, 20-21). Il seme cresce, la farina lievita, le nostre visuali ristrette si scardinano: posso aspettarmi qualcosa di molto buono dalla mia vita.

Questo io penso sia l’esito del nostro impatto con la parola che viene da Dio. Secondo me i buoni propositi di migliorare ci arrotolano su noi stessi e sui nostri difetti, non ci danno una spinta in avanti. Il vangelo invece è l’annuncio del buon proposito di Dio verso di noi. Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Giovanni 10,10): così traduce Gesù l’atteggiamento con cui Dio si impasta nella nostra vicenda per farla lievitare al meglio. Il buon proposito di Dio, il suo regno, ci permette di cambiare e di superare i blocchi che, ahinoi, impediscono il cammino.

Rimane un’obiezione: funziona davvero? Funziona meglio dei nostri classici buoni propositi?

Mi sa che il verbo “funzionare” non può descrivere il regno di Dio, il seme che germoglia, l’impasto che lievita. Il regno di Dio mi pare meglio espresso da verbi come: far crescere, liberare, risanare, rischiare, amare. E poi affascinare, attrarre, movimentare. Dal nostro versante di esseri umani quali saranno i verbi più adatti? Forse: desiderare, accogliere, sperare, sognare, attendere, regnare. O quelli che l’irrompere del regno di Dio susciterà in ciascuno di noi.

Se qualche lettore o lettrice ha perseverato fin qui nella lettura dell’articolo e non gli è stato di alcuna utilità, faccio il buon proposito di non scriverne più e mi congedo con l’augurio più vivo, per me e per voi, di regnare sulla nostra vita.

 

 

 

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