Il vampiro, campione dei mostri

Il vampiro, campione dei mostri

Donne travestite da vampire a Lugau, in Germania (cr. Kora27 Wikimedia commons)

Dall’antichità presente in tutte le culture

Il vampiro è un mostro che fa parte di una categoria più ampia, quella dei revenants, cioè quelli che ritornano, insomma i redivivi. Si tratta di morti che si ripresentano ai vivi in forma immateriale (come fantasmi o spiriti vari) o in forma fisica, quindi capaci di interagire concretamente con i viventi, per lo più facendogli del male.

Condizione necessaria per essere un revenant è perciò l’essere già morto (è allora tecnicamente sbagliato definirli non morti, al massimo si può parlare di morti viventi) per cui lo sono vampiri e zombi, ma non i lupi mannari (mostri di trasformazione) oppure esseri come il Golem di Rabbi Loew o la creatura del Dr. Frankenstein (mostri artificiali).


Max Schreck in "Nosferatu il vampiro" di Murnau (Wikimedia commons)

Se poi volessimo elencare anche solo una parte dell'infinita schiera di vere e proprie specie “altre”, come Lamie, Empuse e Striges della tradizione greco-romana, Ghoul e Jinn della tradizione araba, Oni e Mononoke dello sterminato folklore giapponese, non la finiremmo più.

Non c'è però dubbio alcuno che il vampiro sia diventato indiscutibilmente il mostro più noto e popolare del mondo moderno. Ed è paradossale, dato che per molti secoli in quasi ogni cultura umana qualcosa di simile esisteva, ma sempre condividendo lo spazio dell'immaginario o dell’incubo con molte altre creature, sovente più popolari e temute.

Da un punto di vista puramente antropologico la peculiarità del morto vivente (o apparentemente tale) ha basi prettamente fisiologiche. La decomposizione completa del cadavere è un fatto naturale, impedito solo dal freddo estremo, e quindi in luoghi quasi inabitabili o in casi particolari di microambienti anaerobici come le torbiere.


Christopher Lee in "1972, Dracula colpisce ancora" di Alan Gibson (Wikimedia commons) 

Chi aveva l’ossessione per l’aldilà, come gli antichi egizi, arrivò a sviluppare, anche con l’aiuto di un clima estremamente caldo e secco, una raffinata tecnica di conservazione parziale. In ogni caso un corpo incorrotto anni dopo la sua sepoltura era qualcosa di fuori dal comune. Da lì a conferirgli proprietà eccezionali, nel bene o nel male, il passo fu breve.

Infatti è possibile tracciare una linea culturale e religiosa, per lo meno in Europa, tra aree in cui l’incorruttibilità era ed è indice di santità (quasi tutti i paesi cattolici) e quelli in cui generava sospetti o timori (buona parte dell’area ortodossa slava, soprattutto balcanica). Tutta l’area settentrionale e protestante, decisamente contraria alla venerazione dei santi e alle reliquie, si ritenne quasi immune da queste interpretazioni.

La cosa interessante è che la valutazione dipendeva dalla passata reputazione della persona defunta. Se in area cattolica il corpo di un venerato uomo di fede era riesumato incorrotto, questa era un’ulteriore conferma della sua santità, ma per la Chiesa non era assolutamente un requisito (altrimenti si dovrebbe cancellare la maggioranza dei santi, le cui reliquie sono per lo più ossa o frammenti di queste).

Al contrario in area balcanica se questo si riscontrava in un cadavere di un uomo malvagio o morto in circostanze violente, poteva essere segno della presenza di un essere diabolico, designato in molti modi a seconda delle lingue, ma che poi venne universalmente indicato come vampiro. A questo essere malvagio si potevano quindi attribuire malattie e contagi, nonché morti e scomparse improvvise.


L'imperatrice Maria Teresa nel ritratto di Martin van Meytens (Wikimedia commons)

A metà del Settecento e per una ventina d’anni le gazzette europee riportarono con grande rilievo e risonanza le notizie provenienti dalla parte slavo-balcanica dell’impero asburgico e che riguardavano una vera e propria epidemia vampirica. Alla fine l’imperatrice Maria Teresa, con il piglio dell’assolutismo illuminista, intervenne con apposite leggi e commissioni mediche per smontare e prevenire il ripetersi di quelle che oggi chiameremmo fake news, preoccupata com’era della reputazione del suo paese.

Va detto però che per tutto il XVIII secolo e per almeno metà di quello successivo i Balcani costituirono nell’immaginario europeo la zona più selvaggia, barbara e misteriosa del continente. Per questo la sensibilità gotica e romantica scoprì e sfruttò a piene mani la figura del morto che si nutre dei vivi; a cominciare da Polidori che, da segretario (scontento) di Byron, lo prese a modello per Lord Ruthven, il protagonista del suo racconto “Il vampiro”, passando poi per E.T.A. Hoffman, Maupassant, Le Fanu e una marea d’altri fino ovviamente a Bram Stoker. Quest’ultimo gli diede una patina storica e un nome, Dracula, ispirandosi a Vlad l’Impalatore, strenuo nemico dei turchi, e a tutt’oggi eroe nazionale romeno.



Bela Lugosi, a destra, nei panni di Dracula, 1931  (Wikimedia commons)


Il successo fu epocale, ma è con il cinema che compaiono i due principali archetipi di vampiro: nel 1922 il Nosferatu di Murnau, orribile e animalesco, e nel 1931 il Dracula di Tod Browning con un Bela Lugosi capostipite del vampiro aristocratico, elegante e dal fascino malefico. Da allora le variazioni sul tema nel cinema, nella letteratura, nei videogiochi e nelle serie tv sono pressoché infinite.

L’estrema duttilità del personaggio del vampiro lo rende adatto a quasi qualunque prodotto, horror, romantico, avventuroso, sexy, comico. Solo la fantasia può porre dei limiti, non ancora raggiunti. Ogni tanto emergono capolavori, molto più spesso, soprattutto di questi tempi, vere e proprie nefandezze, ma il personaggio del vampiro si conferma figlio della modernità, con l’inevitabile conclusione che tutto quello che pensiamo di sapere sulla sua figura non c’entra nulla con la sua origine storica e culturale.

Riproduzione riservata