Jane Goodall, l'eretica della scienza

L'antropologa Jane Goodall nel 2015 (cr. Simon Fraser university Wikimedia commons)
Riconosceva una personalità agli animali che studiava
Per decenni abbiamo puntato radiotelescopi verso il cielo chiedendoci se siamo soli nel cosmo. Jane Goodall, morta a 91 anni, alzò invece lo sguardo a pochi metri da terra, nella foresta di Gombe: cercò compagnia sulla Terra. Luglio 1960: David Greybeard, uno scimpanzé, spoglia un ramoscello e pesca termiti da un termitaio. In quel gesto minuscolo si incrina una diga millenaria: gli utensili non sono soltanto nostri. Louis Leakey, il suo supervisore, lo disse con spietata semplicità: o ridefiniamo l’utensile, o ridefiniamo l’uomo, o accettiamo gli scimpanzé come “umani”.
Tre giovani scimpanzè della foresta di Gombe (cr. Ikiwaner Wikimedia commons)
Il sisma fu filosofico. All’epoca il comportamentismo dettava legge: agli animali non si riconoscevano mente ed emozioni. A Cambridge le dissero che aveva sbagliato tutto: non si danno nomi ai soggetti di studio, figuriamoci assegnare agli scimmioni una personalità. Goodall, cresciuta tra cani e campi, rispose a queste critiche con i fatti: gli individui di Gombe avevano delle storie personali, facevano alleanze, mostravano gelosie.
Accuse
L’accusarono di antropomorfismo, cioè di proiettare sulle scimmie dei comportamenti umani; lei riuscì a dimostrare che la faccenda era molto più semplice: queste somiglianze nel comportamento dipendono dalla nostra parentela evolutiva. Stava, in pratica, ricordando a noi di essere animali.
Jane Goodall nel 2022 in visita alla missione statunitense in Uganda (cr. Us Mission Wikimedia commons)
La sua eresia metodologica fu semplice e rivoluzionaria: trattare gli animali come qualcuno e non come qualcosa. Dare nomi ai suoi soggetti di studio le permise di vedere cose diverse, di far emergere le loro trame sociali. Si tratta di usare l’empatia come fosse uno strumento di misura. Un osservatore che annota solo “Soggetto 7” e “Soggetto 8” è come se perdesse la trama; chi riconosce Fifi e Flo è come se potesse registrare amicizie, tradimenti, lutti. Rigore che si allarga, che include dinamiche e pratiche che prima credevamo essere solo nostre. Rimuovere del tutto l’osservatore umano è impossibile: l’oggettività è disciplina dello sguardo, non visione totalmente disincarnata.
Poi arrivò la parte difficile. Nel 1974 la comunità scimmiesca di Gombe si spaccò e iniziò una guerra di quattro anni: pattuglie silenziose, imboscate, eliminazione sistematica dei maschi rivali. Goodall ne fu sconvolta. Era caduto un altro mito: noi non siamo migliori della natura, ma neanche il contrario.
L'ingresso del parco di Gombe (cr. Faboulousfab Wikimedia commons)
Quella violenza non smentì la continuità tra noi e loro, la rese semplicemente più onesta. Se la parentela è reale, lo è anche il lato oscuro: tribalismo, confini, ostilità verso l’“esterno”... Le stesse cose che stanno dietro alle guerre di oggi. Proprio qui nasce la responsabilità propriamente umana: i nostri impulsi sono antichi, evoluzionisticamente determinati, ma noi possiamo scegliere di non obbedire.
L’intuizione
Nel 1986, durante un convegno, Goodall ebbe la sua folgorazione sulla via di Damasco: realizzò l’ampiezza della deforestazione e le condizioni dei primati in cattività. In un’intervista disse che arrivò al convegno come scienziata e tornò a casa come attivista. Da allora ha percorso il mondo cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica, con parole d’ordine che vanno dall’allarme alla speranza.
Dipinto dedicato a Jane Goodall a Irunea (cr. wikimaribarre Wikimedia commons)
Allarme per l’erosione del vivente e per le condizioni in cui anche la nostra specie si trova; speranza nella capacità umana di cambiare quando finalmente vede la nostra connessione con il resto del mondo. Il Jane Goodall Institute e il programma Roots & Shoots hanno trasformato quest’etica in pratica promuovendo habitat protetti, programmi di educazione e campagne di responsabilità locale.
Intanto il catalogo delle “impossibilità” cresceva: altri studi, altri ricercatori contribuirono ad assottigliare sempre di più la linea di demarcazione tra noi e loro. Corvi che si insegnano soluzioni pratiche a vicenda, elefanti che vegliano i morti, orche anziane che guidano i branchi in carestia. Con questi cambi di prospettiva, cambiano anche i verbi: non usare ma convivere; non gestire ma rispettare.
Particolare del murale dedicato a Goodall nel bioparco di Valencia (cr. 19Tarrestnorm65 Wikimedia commons)
Ecco perché il suo lascito supera la primatologia. Goodall ha allargato il campo visivo della scienza e quello del nostro immaginario morale. Ci ha insegnato che l’empatia può essere metodo, che l’oggettività è una virtù relazionale, che l’umiltà consiste nel dubitare delle premesse che ci sono più care. Ci ha lasciato un esercizio quotidiano: alzare lo sguardo dal manuale e rimetterlo sulla vita, sapendo che ciò che guardi ti guarda.
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