Albania, dal Vlora ai grattacieli

L'avvicinamento del Vlora al porto di Bari (Wikimedia commons)
L’iperturismo anche nel paese delle aquile
Era l'8 agosto 1991 quando al porto di Bari attraccava il Vlora, nave carica di ventimila albanesi. L'Italia si ritrovò sotto choc. A distanza di 34 anni dal primo episodio di immigrazione di massa vediamo come è cambiato lo scenario economico dei due paesi e cosa è rimasto di quell'esperienza.
L’aeroporto di Tirana sembra un’astronave intagliata come un gigantesco origami su sottili lamine di metallo scintillanti. La sensazione di essere piombati in un’altra dimensione però s’inceppa subito sulle strade accidentate che conducono sulla costa. Sono quasi 200 chilometri di un percorso ad ostacoli, dove la buca più piccola rischia di farti finire fuori strada. In fondo c’è il mare da cartolina, ci sono le lunghe spiagge bianche e le piccole baie incastonate tra costoni di rocce su cui passeggiano greggi di capre.
L'involucro metallico dell'aeroporto di Tirana a imitazione di un origami (cr. Rita Rocchetti per iosonospartaco.it)
E proprio lì a fianco ci sono i cantieri e le ruspe che buttano giù la montagna, che tritano i sassi per costruire grattacieli o interi villaggi, dritti in mezzo al nulla. A ricordarti dove ti trovi ci sono i bunker, disseminati ovunque, muti testimoni di una storia ancora recente.
L’Albania oggi, nuova frontiera del turismo di massa, appare sospesa tra un feroce passato che si cerca di dimenticare in fretta e un caotico presente, arrivato all’improvviso nel nome di uno sviluppo economico che sta sacrificando quanto di più autentico e prezioso il territorio possa offrire.
Ruspe e gru per realizzare costruzioni turistiche sulla costa (cr. Rita Rocchetti per iosonospartaco.it)
I tempi dei profughi albanesi in fuga dalle macerie della dittatura comunista sembrano ormai lontani. Anche se la data dell’8 agosto di 34 anni fa non può essere cancellata, quantomeno perché è il giorno in cui noi italiani perdemmo definitivamente l’innocenza rispetto a un’emergenza immigrazione, da allora mai conclusa.
Era il 7 agosto 1991 quando, nel porto di Durazzo, la folla assaltò, armi in pugno, il Vlora, un mercantile appena rientrato da Cuba con un carico di canna da zucchero. Mentre si stavano conducendo le operazioni di sbarco, il comandante Halim Malaqi fu costretto a mollare di nuovo gli ormeggi per fare rotta verso il porto di Brindisi, come gli venne ordinato senza mezzi termini da quegli uomini disposti a tutto, seguiti ben presto da altre centinaia, poi ancora migliaia e migliaia.
Lo sbarco dal Vlora al porto di Bari (cr. Luca Turi Wikimedia commons)
Scalzi, laceri, senza acqua né cibo, solo zucchero che si scioglieva sotto il sole d’agosto, facendo del pontile una scivolosa melassa. Con il motore centrale in avaria la traversata non fu senza pericoli. Solo la grande perizia del comandante riuscì ad evitare una collisione e a traghettare il Vlora da una sponda all’altra dell’Adriatico. Nella notte raggiunse il porto di Brindisi, dove però le autorità non consentirono l’approdo che avvenne la mattina successiva al molo Levante di Bari.
Lamerica alla tv
Fu quasi un miracolo se quella nave non si rovesciò sotto il peso del suo esorbitante carico fatto di ventimila persone e della loro disperazione. Prima ancora di attraccare in tanti si lanciarono dagli alti parapetti per raggiungere terra a nuoto e poi dileguarsi sulle strade e nei vicoli di quella che per loro era “Lamerica” vista e sognata attraverso la tivù italiana. Ma la stragrande maggioranza dei profughi venne rimpatriata nei giorni successivi.
Una foto del dittatore Enver Hoxha, morto nel 1985 (cr. Petrit Kumi Wikimedia commons)
A quell’esodo biblico seguirono poi altri sbarchi fino al 1997 e la diaspora non si è mai fermata se è vero che quasi la metà del popolo albanese ha lasciato il suo Paese in cerca di riscatto, fuggito dalla grave crisi economica e sociale seguita alla caduta del feroce regime di Enver Hoxha, il cui militarismo sfrenato rimane ancor oggi scolpito nelle pietre dei bunker che incarnavano l’essenza stessa della società albanese di quegli anni, chiusa in sé stessa, dura, inattaccabile dall’esterno.
I tempi sono cambiati ma quei gusci un tempo impenetrabili sono ancora lì, alcuni divenuti musei, altri semidistrutti, altri ancora trasformati in sciccosi lounge bar o addirittura in piccoli B&B per turisti in cerca di sistemazioni non ordinarie. Perché la terra delle Aquile contemporanea sta spingendo senza freni sul pedale di quel formidabile acceleratore che è il turismo.
Il nuovo paradiso
Da terra di migranti è divenuta essa stessa un paradiso, quasi tropicale, per chi cerca vacanze a poco prezzo, destinazione di massa sul punto di esplodere. Nel 2023 circa 10 milioni di turisti hanno varcato i suoi confini e i numeri sono in crescita, soprattutto dall’Italia che ha scoperto la nuova frontiera proprio dietro l’angolo.
Il governo albanese, capitanato dal socialista Edi Rama da ben 12 anni, ha favorito il settore aprendo a capitali stranieri che, in modo incontrollato, stanno cementificando le splendide coste e mettendo a rischio fragilissimi ecosistemi marini e lacustri. Ovunque vai (e confesso, ci sono stata di recente) c’è un resort, un villaggio turistico, una selva di grattacieli in costruzione.
Uno scorcio dell'antica città di Argirocastro (cr. Rita Rocchetti per iosonospartaco.it)
Un vero e proprio scempio del paesaggio e dei suoi equilibri, a vantaggio di pochi e a scapito di un popolo oggi impiegato come manovalanza a basso prezzo nel business dei costruttori e dei tour operator. Quella libertà che sembrava a un passo è ancora lontana. Dove un tempo volavano le aquile reali oggi soffia il vento della mercificazione che si abbatte su una società impreparata, dove la donna è ancora sottomessa e nel nome dello sviluppo economico si compiono scelte scellerate.
Abitazioni di recente costruzione in Albania (cr. Rita Rocchetti per iosonospartaco.it)
E’ di questi giorni la notizia che Ivanka Trump e il marito Jared Kushner hanno acquistato l’isola di Sazan davanti alla baia di Valona per farne un resort a 5 stelle, tra gli applausi del premier che vuole un nuovo aeroporto internazionale, proprio accanto alla laguna di Narta, una delle zone umide ancora intatte dell’Adriatico, dove nidificano aironi, pellicani e fenicotteri rosa.
Appena 70 chilometri separano le due sponde dell’Adriatico, eppure per decenni quella stretta lingua di mare è stata un muro invalicabile, facendo dell’Albania un altrove spesso rimosso. Ora quel Paese si scopre al centro del Mediterraneo e a un passo dall’Europa. Ma la storia si ripete e non insegna mai niente. Tutti gli errori già compiuti dall’Italia sull’altare del turismo si stanno materializzando sull’altra sponda.
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