Aree interne, i luoghi del bello

Castrovalva, borgo abruzzese in cui vivono pochissime persone (cr. Eduardo Pezzuto Wikimedia commons)
I piccoli centri in cerca di futuro
Ho vissuto per alcuni anni sulle colline nell'entroterra casertano o in un piccolo borgo del Molise. Non avevo il telefono in casa e i cellulari allora stavano arrivando. Scendevo giù in paese nell'unico bar con cabina telefonica della Sip. Un'era fa…
Amo i luoghi
pieni di crepe,
amo i vecchi,
i paesi abbandonati,
i dolori che ci aprono,
le gioie che portano il cielo
in ogni vena.
Il poeta Franco Arminio con Brunori Sas ad Aliano (Matera) nel 2019 (cr. Fuocofatuo Wikimedia commons)
Nel Canto delle crepe, il poeta avellinese Franco Arminio sembra suggerire una possibile chiave di lettura di un fenomeno complesso: quali dolori, quali contraddizioni intervengono nei territori interni e quali gioie, quale destino li interesserà? Quali crepe si aprono e attraversano quel vasto mondo, per lo più appenninico, che da sempre ha rappresentato qualcosa di totalmente altro rispetto alla galassia urbana del nostro paesaggio attuale?
I territori marginali sono i luoghi dell’incanto dei sensi, ambienti in cui si coltiva l’autenticità, distanti dalle tendenze in corso. Sono i contesti dove la memoria e il tempo si intrecciano in una scala minore. Oggi perfino la ricerca storica si muove in maniera da valorizzare la microstoria locale, quasi fosse un modo di studiare in provetta quei meccanismi che definiscono i processi storici complessivi.
Il borgo calabrese di Pentedattilo (cr. G.Jo Wikimedia commons)
Ma è ancora vero tutto ciò? Se “la bellezza salverà il mondo”, chi salverà il mondo dalla bellezza? sembra gridare oggi l’idiota di Dostoevskij, di fronte alla mercificazione dilagante dei flussi turistici.
Numeri
Venendo ai dati concreti, quasi il 70 per cento della popolazione italiana vive in aree urbane, una costellazione di centri di differenti dimensioni e polarità che presenta a volte, come nel caso della via Emilia, i tratti di vera e propria megalopoli, attraversata da flussi di merci, dati e persone ormai globalizzate. Alcuni studi indicano che le città, nei loro nuclei centrali, esprimono una tendenza progressista, mentre i consensi maggiori al sovranismo si evidenziano in quei contesti minori e decentrati.
Moncenisio (Torino), comune con poche decine di abitanti (cr. Sbisolo Wikimedia commons)
Occorre fare una precisazione, però. Quando parliamo di zone remote, non è ai luoghi non urbanizzati che occorre far riferimento. L’Italia, salvo la parentesi feudale, ha sempre espresso un rapporto simbiotico tra la città e il proprio distretto rurale, con una subalternità più o meno pronunciata di questo nei confronti della precedente.
Forse ciò è stato meno vero per il Meridione, ma in linea di massima i luoghi estranei sono quelle località che ancora oggi hanno una bassa o del tutto scarsa incidenza demografica, vuoi per svuotamento della popolazione originaria, vuoi perché dislocate in zone spesso divenute impervie, lontane dai centri produttivi.
Ma questi luoghi ancora esercitano una loro fascinazione. E allora come renderli capaci di sostenere una propria visione di sviluppo, in grado di intercettare le grosse trasformazioni in atto, proprio a partire dal settore della comunicazione, riducendo i disservizi e aumentando le occasioni di vivibilità?
Il covid
Dalle inchieste emerge che durante il Covid, gli studenti residenti in zone extraurbane hanno subìto più disagi psicologici, relazionali e cognitivi, che la didattica a distanza non ha saputo colmare. Nella generale angoscia di vivere, ci avvertiva il filosofo Kierkegaard, esistenza ed essere solo raramente ricompongono il proprio dissidio.
In che modo allora la modernità, coi suoi linguaggi e le sue chimere, le sue inquietudini e i suoi drammi può riorientare l’evoluzione territoriale, anche in virtù della gestione per esempio dei flussi migratori? Possono diventare risorse demografiche che rilancino le zone marginali, pur declinandole alla luce, non dico “dell’invenzione della tradizione”, ma nel cono d’ombra della propria vocazione?
Le voci
Mi sono confrontato con un giovane consigliere comunale di Vetto (comune dell’appennino tosco-emiliano), Nazareno Cucuzza; è emerso un quadro vitale, dove la comunità è luogo di forza in grado di garantire certezze relazionali, su cui far leva per provare a trovare le energie giuste che valorizzino la coesione. Tuttavia il potenziale di ciascuno sembra ancora difficile da esprimere, per la scarsa incidenza tra piano locale e dinamiche territoriali complessive. Se l’integrazione sociale, anche migratoria, in parte funziona; se le marginalità e le tensioni sono gestite con animo più sereno e unitario; se il rapporto con le istituzioni locali agisce più in profondità, il raccordo con le risorse esterne risulta ancora stentato e insoddisfacente.
Magasa (Brescia), comune con un centinaio di abitanti (cr. Cadria Wikimedia commons)
Luca Filippi è un architetto rurale: "Le aree interne italiane – afferma - sono al tempo stesso un serbatoio di risorse naturali, culturali, territoriali, fondamentali per il futuro dell’Italia e un laboratorio di pratiche sociali innovative che possono aiutare a pensare una rigenerazione di paesaggi, economie, comunità. Tuttavia, proprio in questa duplice immagine si rivelano tensioni e contraddizioni: tra sperimentazione e isolamento, tra politiche di sostegno e disuguaglianze territoriali".
L'assalto della folla alla Fontana di Trevi: immagine del turismo incontrollato (cr. Mario T. Wikimedia commons)
Forse è impossibile sfuggire al declino degli ambienti, visto che la messa a profitto dei territori sembra non fare più distinzione tra abbandono e cementificazione. Tuttavia lo sguardo che ci insegue da tutto ciò che si trova ai margini sembra riportarci alle parole di Elio Vittorini: "Il mondo è grande ed è bello, ma è molto offeso".
Riproduzione riservata