Ballando rivendico la mia bellezza

Ballando rivendico la mia bellezza

Ballerini del venerdì sera (cr. Go to van Wikimedia commons)

Il potere della danza anche dopo la giovinezza

Claudia Carri, autrice di iosonospartaco, è tra le protagoniste del corto “Ginevra”, per la regia di Arturo Cannistrà, realizzato in collaborazione con Libera Università Crostolo: il film girato al castello del Bianello - presentato nel settembre 2024 al Parma MusicFilm Festival e il 31 ottobre alla Fondazione Villa Bertelli di Forte dei Marmi – rappresenta il dramma interiore di una donna accusata di stregoneria, Ginevra Gamberini. Le undici interpreti hanno dato vita ai sentimenti e alle emozioni di tutte le donne colpite ingiustamente dal potere maschile, recluse e desiderose solo della propria libertà. L’opera fa parte di un più ampio progetto, che vede utilizzare il linguaggio del corpo, il movimento danzato, la gestualità e la voce da parte di donne non più giovani.

Accogliere i cambiamenti del proprio corpo non è facile, soprattutto quando ogni immagine intorno a te ribadisce il concetto che non è affatto impossibile protrarre indefinitamente la giovinezza e la tecnica ti offre la possibilità di farlo. E diventa ancora più difficile quando molti messaggi sociali più o meno espliciti ti invitano a non accettare l’idea del tempo che inesorabilmente scorre, perché ciò significherebbe gettare le armi, scivolare lentamente nell’abbandono, nella trascuratezza, nella rinuncia a vivere: così il proprio corpo diventa un nemico da vincere, i naturali segni del tempo qualcosa da combattere.

E mentre la mente e l’animo si potenziano, perché le conoscenze e le esperienze li hanno riempiti e arricchiti, il corpo, che ne è la loro manifestazione esteriore, si svuota di tutta questa ricchezza per riempirsi della forma e della maschera di qualcun altro o che qualcun altro ha deciso per noi. Una dissociazione nociva che spezza quell’armonia di corpo e animo che fa dell’uomo un uomo.


Le undici partecipanti al film su Ginevra Gamberini

La vera bellezza è al contrario solo quella che si trasforma, quando cioè i nostri pensieri, i nostri sentimenti si riflettono nei nostri sguardi, nei nostri gesti, nella nostra voce cambiati e modificati dal tempo. Spezzare questa corrispondenza significa creare qualcosa che non potrà mai essere noi e la nostra immagine riflessa nello specchio potrà anche aderire perfettamente allo stereotipo estetico del momento, ma non ci restituirà mai l’essenza della nostra più autentica natura.

Capita spesso oggi imbattersi in celebri donne di spettacolo come Rossellini, Guerritore, Winslet, Bellucci, che rivendicano il diritto di essere se stesse, con tutti i cambiamenti che il tempo ha tracciato sul loro volto e sui loro corpi, con una certa reazione di insofferenza - fra l’altro giustamente – quando qualche commentatore o ammiratore le definisce “ancora belle, nonostante l’età”.


Ballo di gruppo in Ungheria (cr. StettnerV Wikimedia commons)

Ma se il corpo continua appunto ad essere la più autentica espressione del proprio sé, allora può diventare un formidabile strumento per elargire ancora molti messaggi per se stessi e per gli altri, un tramite attraverso il quale poter continuare ad esplorare, ma con la forza e l’autenticità che deriva dalla storia e dalla sua personale memoria.

Un corpo maturo ha su di sé le tracce della propria vicenda e di quella del mondo in cui ha vissuto, i suoi lenti gesti contengono la memoria di ciò che è stato agito e compiuto e il suo sguardo è quello di chi ha esplorato veramente e a lungo dentro se stesso e dentro gli altri.


Festa da ballo per la polizia colombiana (cr. National police of Colombia Wikimedia commons)

Ecco perché dunque questi corpi non più esteticamente conformi agli stereotipi che la società impone, soprattutto quelli che vogliono una donna “bella” come una trentenne anche se ne ha sessanta, possono ancora esprimere tanto purché li si liberi dagli obblighi del “dover essere” e si restituisca loro la libertà di “essere” nella loro profonda autenticità.

Questo è l’obiettivo che da alcuni anni si propongono tante esperienze diffuse in Italia e in tutto il mondo, che hanno visto artisti – coreografi o ex danzatori – sperimentare laboratori di teatro-danza con donne e uomini non più giovani, spesso neofiti rispetto all’arte coreutica, ma che hanno comunque potuto agire all’interno di queste esperienze proprio perché in esse non si ricerca la performance atletica od estetica, ma si esplora e si dà vita a tutte le potenzialità espressive che l’esperienza di vita ha impresso nei loro corpi e nelle loro menti.


Martha Graham nel 1940 (cr. Los Angeles Daily News Wikimedia commons)

Martha Graham, la fondatrice della danza contemporanea che liberò il corpo dei ballerini dai rigidi schemi della accademia, affermava che alla base del movimento vi è il respiro, un impulso spirituale è la sua motivazione e la passione interiore il suo motore; la sua arte mirava non a creare, ma a scoprire quello che il corpo naturalmente poteva dare. Per questo la sua ispirazione attingeva oltre che da se stessa da una infinità di fonti: dalla pittura alla religione, dalla mitologia alla poesia. Danzò fino a 76 anni.


Rudolf Nureyev e Liliana Cosi nella trasmissione "Teatro 10" (Radiocorriere Tv Wikimedia commons)

Se la danza è dunque prima di tutto emozione e passione, se le braccia non sono solo la prosecuzione della schiena, ma “ali”, come la madre della danza moderna affermava, se i piedi e le mani sono strumenti che disegnano storie prima che figure, ecco che allora la danza è innata nell’uomo dalla più tenera età alla più matura. Purché appunto il corpo, che è il suo strumento, sia un mezzo vero, autentico, consumato e per questo unico per la sua ricchezza di significati.

“Io danzo con la mente, volo oltre le mie parole e il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere (…). Ogni uomo dovrebbe danzare tutta la vita, non essere ballerino, ma danzare”. (Rudolf Nureyev, Lettera-testamento).

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