Il sapere chiuso in gabbia

Il sapere chiuso in gabbia

Studenti liceali nella biblioteca di istituto (cr. Luigi Catalani Wikimedia commons)

Cresce il divario sociale sulle conoscenze

Ci sono storie che se ascoltate ripetutamente si trasformano in film mentali che condizionano i pensieri quotidiani. Contengono fatti che ognuno interpreta in modo personale.

Nel primo dopoguerra, anni di ricostruzione, nelle famiglie aveva fatto presa una certezza inconfutabile: i figli dovevano studiare. La scuola rappresentava un’opportunità di riscatto dall’analfabetismo diffuso o da una scuola abbandonata molto presto.

In città e nelle campagne le scuole che non erano crollate, tornarono a riempirsi di allievi con cartelle di cartone, astucci di legno, pennini a torre e l’inchiostro versato nei calamai.

In montagna, seminari e collegi accolsero ragazzi e ragazze per farli studiare. Studio e conoscenza erano obiettivi per progredire verso un futuro ricco di opportunità che i genitori non avevano avuto.


Josè Mujica Pepe (a sinistra) con il presidente del Messico Enrique Pena Nieto (cr. Presidenza del Messico Wikimedia commons)
 
Il mondo contemporaneo è cambiato. Il benessere e le scoperte tecnologiche hanno contribuito ad un avanzamento fuori dal normale, chiudendo però i saperi e i pensieri in una gabbia, una sorta di prigione. Se la gabbia è stretta non è facile andare al di là. Le famiglie che hanno raggiunto uno status sociale soddisfacente sono distratte.

Josè Mujica Pepe, ex presidente dell’Uruguay, affermava che una società civile non è quella in cui i ricchi possiedono ricchezze esagerate, ma dove i poveri riescono a curarsi e mandare i figli nelle scuole pubbliche e gratuite. E Pier Paolo Pasolini nei versi de “Il Pianto della scavatrice” scrive: “Solo l’amore, solo il conoscere conta...”.


Un fotogramma da "La vita è bella" di Roberto Benigni (Wikimedia commons)

Il divario culturale si sta allargando tra chi vive l’opportunità dei mezzi contemporanei e usa la propria testa per approfondire, e chi si accontenta di briciole superficiali che la società diffonde per riempire le piazze di individui dominabili a piacimento. Alto abbandono scolastico, pochi arrivano alla laurea, molti non riescono a interpretare una pagina di un libro a causa di un analfabetismo di ritorno preoccupante.

In una classe di terza media nessun alunno aveva visto il film “La vita è bella” di Roberto Benigni, riferisce un’insegnante che voleva fare ascoltare la musica di Nicola Piovani, autore della celebre colonna sonora.

In una quarta liceo, in occasione del 25 aprile quando l’insegnante commemorava i fratelli Cervi, solo due studenti su venti li conoscevano. Si rimane senza parole. Di chi la responsabilità? Sono esempi eccezionali? In verità non è così.


La famiglia Cervi (Wikimedia commons)

Forse la visione del mondo si è talmente semplificata e con essa le prospettive da raggiungere, che la fatica dell’apprendere viene considerata inutile.  Non c’è bisogno di consolazione per giustificare i limiti della comprensione, occorre ritornare a provare stupori e meraviglie per il sapere. La vita frenetica dell’oggi sminuisce questi obiettivi.

James Hillman, psicanalista e filosofo nel “Il linguaggio della vita” consiglia di “fare anima”. Rallenta, approfondisci. Essere precipitosi non serve. Festina lente, cioè affrettati adagio, liberati dalle prigioni in cui sei costretto a vivere, per mettere fine all’anima in carcere.

“Voltati indietro per vedere avanti”, affermava il Petrarca.

Chi deve indirizzare i giovani? Sicuramente la famiglia fin da quando i figli sono piccolissimi.

Sicuramente la scuola che deve educare, stimolare domande e non smorzare pensieri dando valore solo al voto o a progetti di scarsa qualità pur di spendere i soldi del Pnrr. La scuola dovrebbe aiutare una generazione che si perde lungo la strada della crescita. Indifesa? Debole? Disperata? Dipendente?


Andrea Colamedici e Maura Gancitano (cr. Uqbar Orbis e Colamedici Wikimedia commons)

Per fortuna non si può generalizzare, esiste una minoranza di giovani che elabora, plasma, connette. E gli altri? Rischiamo di diventare - come scrivono Andrea Colamedici e Maura Gancitano in “Lezioni di meraviglia” - come quegli “Indiani d’America che quando ebbero di fronte per la prima volta le navi dei conquistatori europei, non riuscirono a vederle, perché non le avevano mai immaginate.”

E’ un aneddoto che indica come sia difficile difendersi dall’irruzione dell’invisibile nel visibile.

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