Il tatuaggio, la mia carta d'identità
Tatuaggio sulla schiena di un uomo della tribù Nansemond (cr. Tony Alter Wikimedia commons)
Da simbolo di appartenenza a strumento di bellezza
Nel 2018 l'Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato una approfondita ricerca statistica sulla diffusione della pratica del tatuaggio in Italia. Tra le altre cose risultava essere tatuato il 12,5% della popolazione, però nello stesso anno un'analoga ricerca a livello mondiale (effettuata però da un istituto di cui si sono perse le tracce) faceva salire la percentuale al 48%, piazzando così l'Italia al primo posto.
Secondo voi i mass media hanno dato più rilievo alla prima indagine o alla seconda? Risposta facile, trovate ancora questa bufala diffusa ampiamente sul web. L'ultima rilevazione affidabile che riguarda gli americani è di quest'anno e riporta come il 23% di loro abbia almeno un tatuaggio, ma solo due anni fa un'altra indagine parlava del 32%.

Tatuatrice al lavoro (cr. Miguel Discart Wikimedia commons)
La verità è che il fenomeno è difficilmente quantificabile, poiché i risultati sono frutto di sondaggi e tutto dipende ovviamente dalla rappresentatività del campione. In ogni caso il tatuaggio è un fenomeno di costume che ha già superato il livello di una moda più o meno passeggera come il brillantino maschile all'orecchio, diffusosi negli anni ottanta (primo testimonial Maradona) o l'effimero codino maschile degli anni novanta (reso celebre da Fiorello e Roberto Baggio).
Furono proprio quelli gli anni in cui il tatuaggio in Italia cominciò a superare lo stigma sociale che da lunga data lo associava a criminali, galeotti, marinai, avventurieri e devianti. Lombroso ne trattò diffusamente nel suo celeberrimo “L'uomo delinquente”, ritenendolo una prova lampante di degenerazione.

Donna con labbra e mento tatuati (cr. Mike van Dalen Wikimedia commons)
Prima cominciarono le giovani donne a farsi tatuare piccoli simboli in luoghi per lo più celati normalmente alla vista (gettonatissima era la farfallina) poi si passò a tatuaggi tribali o in caratteri di altri alfabeti. I maschi arrivarono dopo e a quel punto i soggetti e le dimensioni si moltiplicarono fino alla diffusione di grandi tatuaggi che ricoprono interamente braccia, gambe o collo visibili in ogni condizione.
Nella mia memoria fino ai vent'anni non credo di aver mai visto una persona tatuata, d'altronde basta pensare alle vacanze al mare sulla riviera romagnola dove ogni giorno si potevano osservare un'infinità di vacanzieri in costume, italiani e stranieri, di cui non ho memoria alcuna che fossero tatuati.

Tatuaggi di un soldato in Afghanistan (cr. Sebastien Joly Wikimedia commons)
Nel frattempo il tatuaggio, che prima era un'attività estremamente specializzata e per lo più clandestina, è diventata con il proliferare di studi appositi una professione estetica normata e controllata presente ovunque.
Le motivazioni originarie di questa pratica, sostanzialmente l'appartenenza a un gruppo o la testimonianza di un'esperienza o di una condizione particolare, ora sono divenute puramente estetiche al servizio di un'espressione pubblica del proprio sé e dei propri sentimenti, passioni o valori. Si tratta di uno di quei costumi ancestrali a cui inaspettatamente la modernità e la globalizzazione hanno ridato nuova vita.

Tatuaggio tradizionale di Tahiti (cr. Saga70 Wikimedia commons)
I tatuaggi sono una vera manna per gli antropologi anche perché la pratica di tatuarsi è antichissima ed è diffusa in moltissime culture e in tutti i continenti. Basti pensare che sul corpo di Ötzi, la famosa mummia del Similaun risalente a più di cinquemila anni fa, si sono contati ben 61 piccoli tatuaggi (e un piercing).
Pur rimanendo un'attività praticata ininterrottamente fino ai giorni nostri, in Occidente è sempre rimasta minoritaria e spesso proibita. La riscoperta si ebbe nell'ottocento con la grande espansione coloniale europea, quando nacque un interesse sempre maggiore per le forme culturali di molte popolazioni considerate ancora vicine allo stato di natura, un modo elegante per dire primitive.

Tatuaggio delle Isole Marchesi (cr. Monster 47 Wikimedia commons)
Non è un caso che proprio dall'Oceania arrivi la parola stessa “tattoo” che poi nelle varie lingue si è affermata. Infatti erano proprio in Polinesia e Nuova Zelanda i luoghi in cui la tradizione era più radicata. Come altri esotismi culturali (la passione per il Giappone o l'antico Egitto) la pratica del tatuaggio cominciò a diffondersi in Europa e negli Stati Uniti fino ad affermarsi come uno dei canali di esibizione della controcultura degli anni sessanta.
Come abbiamo visto l'Italia è arrivata in ritardo, causa i pregiudizi di cui abbiamo parlato e che in altri paesi sono ancora molto più radicati. Basti pensare al Giappone, dove i tatuaggi sono una caratteristica storica della yakuza, la mafia locale, tant'è che in molti bagni termali (gli onsen) è esplicitamente vietato l'ingresso a chi ne ha.

Tatuaggi di appartenenza alla Yakuza (cr. elmimmo Wikimedia commons)
Organizzazioni criminali che usano ancora largamente il tatuaggio come simbolo di appartenenza sono diverse mafie russe e dell'Europa orientale, ma soprattutto quelle centroamericane, i cui membri si tatuano anche il viso. Di converso in molti paesi esistono invece proibizioni per gli appartenenti a forze dell'ordine o militari (in Italia dipende dalla zona del corpo e dal contenuto dell'immagine o della scritta).
_graham_crumb-wdtr.jpg)
Maori con il viso tatuato (cr. Graham Crumb Wikimedia commons)
Il tatuaggio rappresenta quindi una delle tipologie di modificazione corporea permanente (anche se adesso è tecnicamente possibile rimuoverlo), che lo differenzia da tutte quelle pratiche temporanee incentrate sul bodypainting (la colorazione del corpo), sul taglio o acconciatura dei capelli, sulla cosmesi e sull'abbigliamento in generale.
Le motivazioni culturali (religiose, rituali, militari, sociali o estetiche) sono comunque le stesse e sono una testimonianza perenne della necessità, tipica della nostra specie, di differenziarsi individualmente o come gruppo, alla continua ricerca di una propria identità.
Riproduzione riservata