Le donne, il quinto stato

Le donne, il quinto stato

Giuseppe Pellizza da Volpedo, "Il quarto stato", Galleria d'arte moderna, Milano (Wikimedia commons)

Il ruolo di Teresa nel capolavoro di Pellizza da Volpedo

Fino al 25 gennaio alla Galleria d'arte moderna di Milano è in corso la mostra dedicata a Pellizza da Volpedo, che ha il proprio fulcro ne "Il quarto stato" del 1901. Su quest'opera e sul ruolo delle donne in essa rappresentate iosonospartaco ospita la riflessione di Claudia Carri.

Il quadro di Pellizza da Volpedo, esposto a Milano, “Il quarto stato”, rappresenta - com’è noto - i lavoratori che avanzano in una fiumana pacifica con l’orgoglio e la fermezza di chi è consapevole della propria forza e determinato a conquistare i propri diritti: questa immagine è diventata un simbolo di impegno politico e di lotta sociale per un futuro più giusto e più umano per tutti, uomini e donne, fonte di ispirazione anche per il capolavoro di Bertolucci, Novecento.


Il particolare di Teresa davanti alla folla, Galleria d'arte moderna, Milano (Wikimedia commons)

La presenza della donna in movimento, con i piedi nudi, a lato della figura centrale, è sicuramente la più interessante per chi osserva non con l’occhio esperto del critico d’arte ma con quello profano (però attento) di chi è abituato a immagini femminili laiche più statiche, prevalentemente sedute o semi-sdraiate o sdraiate.

Se vogliamo riflettere solo su questo aspetto, senza naturalmente addentrarci in un campo che non ci appartiene, quello della storia dell’arte, e proviamo a immaginare liberamente - ma con quel po’ di esperienza che abbiamo - che cosa si cela dietro quello sguardo così serio e fiero, quel passo così deciso e proteso in avanti e quei piedi nudi - che mi stanno ossessionando da alcuni giorni -, allora si apre davanti a noi un intero mondo, perché questa donna è come se fosse uscita dal passato per liberarsi definitivamente dal ruolo subalterno in cui la storia l’aveva relegata e deciso che quel giorno non si sarebbe occupata della casa e neppure forse del bambino che tiene quasi svogliatamente in braccio, ma che avrebbe voluto anche lei fare la rivoluzione.


La schermata iniziale del film "Novecento" di Bernardo Bertolucci, 1976 (Wikimedia commons)

A proposito di donne che dovrebbero “restare al proprio posto” o di donne che è opportuno che stiano almeno un passo indietro al proprio uomo (“dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” recita un adagio popolare e misogino), questa donna - che tutti sanno essere Teresa, la moglie di Pellizza da Volpedo - sta decisamente a fianco ed è lei – anzi - a sollecitare l’avanzata della massa che procede dietro le loro spalle.

A me sembra che questa immagine dovrebbe essere mostrata e raccontata a tutte le ragazze, abituate a modelli femminili di donne ritratte in pose artefatte e con gesti privi di alcun significato, con lo sguardo vacuo e perso nel vuoto, abbigliate con improbabili abiti, con forme fisiche innaturali, in atteggiamenti immancabilmente seduttivi, che possiamo sfogliare su qualsiasi rivista femminile che si vanta anche di parlare di donne.


I piedi delle figure in primo piano: l'uomo con le scarpe, la donna scalza (Wikimedia commons)

L’abito spoglio di Teresa da cui traspare una fisicità fatta di nervi e muscoli e quei piedi così spogli, ma ancorati alla terra, mi sembra che trasmettano molto bene - e con un’immagine di grande impatto emotivo - l’intera storia di un genere subalterno che ha sempre lavorato duramente prima di tutto, molto più degli uomini stessi: una sorta di quinto stato potremmo dire, perché al quarto stato dei lavoratori bisognerebbe aggiungere la quinta classe delle donne che sono sempre state le più povere fra i poveri.

I piedi nudi di Teresa di fianco all’uomo che le scarpe le ha, forse alludono anche a questa povertà nella povertà o alludono alla situazione di minorità anche giuridica che la donna ha avuto dall’antichità fino al XX secolo, se notiamo che nel quadro - per dare un’altra occhiata inesperta, ma non distratta - altri personaggi senza scarpe sono bambini.


Joseph Wright of derby, "Penelope disfa la tela", 1783, Getty museum (Wikimedia commons)

Nell’antichità la donna era infatti considerata sul piano giuridico una “minore”, ma a vita e sottoposta alla tutela del padre prima, poi del marito e in assenza di entrambi, dei fratelli o addirittura dei figli maschi adulti, come l’archetipo di Penelope ben mostrava alle fanciulle greche, la Penelope che all’inizio dell’Odissea viene presentata chiaramente sottoposta alla autorità del figlio Telemaco, in quel momento ventenne, quindi adulto, in assenza del padre disperso nell’Egeo.


Angelica Kauffman, "Penelope svegliata da Euriclea", 1772 coll. privata (Wikimedia commons)

Anche il capo scoperto di Teresa mi colpisce, se penso al mio immaginario consueto, cioè quello letterario greco, costellato di figure femminili con il capo rigorosamente coperto dal velo e i capelli ben nascosti sotto le bende. La nudità del capo e dei piedi - al di là dell’interpretazione accademica certamente corretta che la spiega come elemento simbolico o particolare realistico che allude all’inferiorità anche economica delle donne - trasmette sicuramente l’idea di una femminilità più libera e quindi più consapevole e volitiva.


Da sinistra Martha Graham con Giscard d'Estaing, Betty Ford e Clint Eastwood (cr. National archives Wikimedia commons)

Quando Martha Graham fece la sua rivoluzione nel mondo della danza, una delle prime cose che fece fu liberare le ballerine dalle punte e farle danzare a piedi nudi, perché stabilissero un contatto più diretto con il suolo e acquisissero in questo modo maggiore consapevolezza.

Una cara amica, storica dell’arte, mi ha confidato che per lei la figura di Teresa è una delle più belle che si possono ammirare nella storia sociale dell’arte e penso che intendesse dire - senza bisogno che glielo chiedessi - che lo è anche perché ogni donna non può che riconoscersi emotivamente e profondamente in lei, in quello sguardo, in quei gesti e in quel passo, in quei piedi ben saldi sul terreno come lo è da sempre la concretezza delle donne, ben più abituate degli uomini a fare i conti con il volto pratico della vita.

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