Galognano, il tesoro nascosto per 1400 anni
Alexander Zick, "La battaglia del monte Lactarius nella guerra gotica" (Wikimedia commons)
Riemerso durante gli scavi per un allevamento
E’ il 1963. Ci troviamo a Pian di Campi, insediamento agricolo a metà strada tra Poggibonsi e Colle di Val d’Elsa, nel senese. Alcune escavatrici stanno scassando pesantemente il terreno, a poche decine di metri dalla chiesetta romanica di San Lorenzo, per porre le fondamenta di un nuovo capannone per l’allevamento dei maiali.
La chiesa di San Lorenzo (cr. Senio Giglioli per iosonospartaco)
Improvvisamente, nel terreno smosso compaiono alcuni pezzi metallici. Fermati immediatamente i lavori, gli operai li osservano meglio: hanno subìto qualche danno ma non irreparabile, e si tratta di oggetti “da Messa”, probabilmente in argento. Dopo averli ripuliti sommariamente decidono di consegnarli ai frati del vicino convento di San Lucchese. Si inizia così a parlare del “Tesoro di Galognano”, basandosi su una delle incisioni visibili sugli oggetti che si riferisce a un insediamento agricolo, oggi piccolo, distante 40 minuti a piedi dal punto del ritrovamento.
La chiesa e il convento di San Lucchese (cr. LigaDue Wikimedia commons)
I frati, dopo averne notificato il possesso alla competente Soprintendenza, ripongono gli oggetti in un cassetto. E devono passare più di dieci anni prima che vengano fortunatamente notati dal principe (figlio di Mafalda di Savoia) e archeologo Ottone d’Assia e dallo storico medievale Wilhelm Kurze, in visita al convento, che attribuiscono loro una datazione molto antica, addirittura l’inizio del VI secolo.
Ottone d'Assia e Wilhelm Kurze (dal sito centro italiano studi altomedioevo e foto distribuita alle esequie del docente)
Il “Tesoro di Galognano” è oggi visibile nel Museo Diocesano di Colle di Val d’Elsa. Si tratta di quattro calici diversi per dimensioni, una patena (piatto) e un cucchiaio, destinato probabilmente alla distribuzione del pane consacrato nel vino. Sono in argento e il loro peso totale è di 1805 grammi, quindi molto preziosi e provenienti da una ricca committenza.
Parte del tesoro emerso dal suolo a Galognano (dalla pagina Fb Album di archeologia tardoantica)
Uno dei calici riporta sul bordo un’iscrizione: “Hunc calice pusuet Himnigilda aeclisiae Galluniani”. Sul bordo della patena si legge invece chiaramente “Sivegerna pro animam suam fecit”. Le iscrizioni sono precedute da una croce latina. La traduzione è chiara (anche in presenza di alterazioni rispetto al latino classico): “Questo calice dedicò Himnigilda alla Chiesa di Galognano” e “Sivegerna per l’anima sua fece”.
Calice emerso dal suolo a Galognano e conservato al museo di Colle val d'Elsa (cr. Sailko Wikimedia commons)
A Galognano è attestata dall’XI secolo una chiesa intitolata a Sant’Ansano (l’evangelizzatore di Siena nel IV secolo), che oggi, sulla base del ritrovamento, possiamo dire già esistente in antico. Ma ciò che ci colpisce e colpì in modo determinante anche gli studiosi sono i nomi delle due donatrici, tutt’altro che latini. Sono infatti due fra i pochissimi esempi noti di nomi femminili gotici, che possono essere ricostruiti, sulla base delle conclusioni dei linguisti, in “Himnigelde (“ricompensa del cielo”) e “Sibjogerne” (“che cerca la concordia”).
Il piatto con l'iscrizione esposto al museo San Pietro di Colle val d'Elsa (cr. Sailko Wikimedia commons)
E’ suggestivo immaginare che le due donne, evidentemente di classe sociale elevata, appartenessero alla famiglia dei proprietari terrieri di Galognano. A distanza di tanti secoli, guardando da vicino gli oggetti e le iscrizioni nella sala fresca e silenziosa, si può avvertire ancora il calore della sincera e profonda religiosità che da loro emana.

Colle val d'Elsa dove è conservato il tesoro di Galognano (cr. Senio Giglioli per iosonospartaco)
Al momento della scoperta i pezzi si trovavano circa un metro sotto il suolo, probabilmente impilati: in basso la patena, al di sopra i calici, uno sull’altro, in alto il cucchiaio. La loro disposizione fa pensare che fossero stati chiusi in un sacco (naturalmente perduto) seppellito in posizione verticale.
Sono stati nascosti da un ladro? Tutto farebbe pensare il contrario vista la metodicità del seppellimento. Secondo gli studiosi il ritrovamento di Galognano è classificabile fra i “tesori ecclesiastici d’emergenza” (ci sono altri due esempi contemporanei, in Umbria e in Sicilia): oggetti preziosi di proprietà di una chiesa, occultati o seppelliti volontariamente nelle vicinanze per proteggerli da furti, razzie o profanazioni.
Belisario, generale delle truppe dell'Impero bizantino, mosaico ravennate (Wikimedia commons)
Impossibile ricostruire con certezza l’epoca del seppellimento. Ma un’ipotesi, suggestiva e inquietante, ci conduce verso il terrore e la devastazione portati dalla lunghissima guerra greco-gotica che interessò anche la Toscana fra il 538 e il 542, con stragi e distruzioni fra cui il saccheggio di Firenze e la terribile battaglia di Scarperia.
E’ una delle tante contraddizioni della Storia: i restauratori dell’ordine precedente, che volevano riacquisire l’Italia all’Impero, erano i “Romani” d’Oriente, che parlavano greco e che praticavano una guerra di guerriglia; gli “stranieri” Goti, che difendevano il loro regno e rappresentavano buona parte delle classi alte, parlavano latino e si erano ormai integrati con la popolazione. E’ immaginabile che i nostri antenati abbiano vissuto questa guerra come una feroce invasione.
Icona di Procopio di Cesarea (dalla pagina Fb John Marmara)
Per gli storici la guerra greco-gotica, aggravata da epidemie e carestie, ha non solo accelerato l’abbandono dei centri urbani ma anche tragicamente decimato la popolazione della nostra penisola. Racconta Procopio di Cesarea: “…i toscani erano afflitti dalla fame... molti di essi che vivevano sui monti macinavano le ghiande come se fossero grano e mangiavano le pagnotte fatte con quella farina… molti caddero vittima di ogni specie di malattia”.
Giustiniano I, imperatore romano, mosaico ravennate (cr. Petar Milosevic Wikimedia commons)
Il Tesoro di Galognano è un ponte, fra i nostri sentimenti e quelli di chi scavò e nascose. Chissà, forse le orde bizantine si stavano avvicinando, era urgente salvare gli oggetti preziosi, e sacri, dal sicuro saccheggio. Il nascondiglio fu scelto a dovuta distanza dalla chiesa. Per 1.400 anni il tesoro ha aspettato, inutilmente, il suo seppellitore. La guerra e la morte, per le ferite, per la fame o per la peste, gli hanno per sempre impedito di tornare.
Una ricostruzione storica più ampia su queste vicende è rintracciabile nel saggio di Sabina Spannocchi, “Il tesoro di Galognano in Pian de’ Campi a Poggibonsi", a cura di Rossella Merli, pubblicato nel 2019 dall’editore Il Leccio.
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