Il furto patriottico della Gioconda

Il furto patriottico della Gioconda

La folla al Louvre nella sala dove è esposta la Gioconda (cr. Pedemann Wikimedia commons)

Il ladro voleva ridarla all’Italia

Prima di partire per le vacanze il sottosegretario francese alle Belle Arti chiese di non essere disturbato “a meno che non rubino la Gioconda”. Ed eccolo servito. Il 21 agosto 1911 è raggiunto da un telegramma che lo lascia incredulo. Il più famoso quadro di Leonardo è stato rubato e nessuno si è accorto di nulla.  

La Gioconda, "Monna Lisa", dipinta da Leonardo fra il 1503 e il 1506 ed esposta al Louvre (Wikimedia commons)

Nell’immediatezza il sottosegretario pensa a uno scherzo, ma, una volta avute le dovute conferme, si precipita a Parigi. Al posto del dipinto più prezioso del Louvre vede uno spazio vuoto sulla parete. L’allarme è stato dato dal personale addetto alle pulizie.

I sospetti

Nessuno ha sentito niente. Quindi tutti sono sospettati: personale, collaboratori, dirigenti. Anche il giovane Pablo Picasso e il poeta Apollinaire, assidui frequentatori del museo, sono fermati e poi subito rilasciati. La polizia brancola in realtà nel buio. Si promettono ricompense a coloro che porteranno informazioni utili.

La foto segnaletica di Vincenzo Peruggia (Wikimedia commons)

L’impegno della polizia è totale anche perché, oltre all’opera d’arte, in gioco c’è il prestigio internazionale della Francia. Poiché tutte le porte e i cancelli non presentano forzature, il colpevole o i colpevoli devono appartenere per forza al personale interno. Per questo il prefetto di polizia organizza la perquisizione delle case di chiunque abbia avuto rapporti di lavoro con il museo. Tra questi c’è anche quella dell’imbianchino-decoratore varesino Vincenzo Peruggia, classe 1881.

Autoritratto di Leonardo da Vinci (Wikimedia commons)

Solo dopo due anni si saprà la verità e si recupererà il quadro. Farà tutto lo stesso Peruggia. Stanco di nascondere la Gioconda nel sottofondo di una valigetta che tiene sotto il letto e che la polizia non ha trovato durante la sua ispezione, decide di venderla e portarla in Italia.  Peruggia è convinto che il quadro sia stato rubato da Napoleone durante uno dei suoi tanti saccheggi e deve far ritorno in patria.

Tornato quindi in Italia, prende alloggio a Firenze e scrive una lettera all’antiquario Alfredo Geri proponendogli di comprare l’opera per cinquecentomila franchi, a patto però che s’impegni a tenerla in Italia. L’appuntamento è fissato presso l’Hotel “Tripoli e Italia”.

L’arresto

L’antiquario però avvisa subito la polizia che, il 12 dicembre 1913, si precipita all’albergo, arresta il Peruggia e riconsegna il dipinto ai francesi, non prima però di esporlo agli Uffizi e a Palazzo Farnese a Roma. Interrogato a lungo, il ladro si giustifica sostenendo di averlo rubato per motivi patriottici. Si definisce infatti un “ladro patriota”.

Il ritorno della Gioconda al museo del Louvre, nel 1914 (cr. Roger-Violett Wikimedia commons)

È convinto che l’opera sia stata rubata da Napoleone e portata illegittimamente in Francia. In realtà il ritratto di Monna Lisa, dipinto tra il 1503 e 1506, è di proprietà della Francia dal 1516, quando fu acquistato dal re Francesco I direttamente da Leonardo. Peruggia, considerate le motivazioni portate, viene condannato ad appena un anno e undici mesi, pena poi ulteriormente ridotta, anche per pressione della opinione pubblica, a sette mesi e otto giorni.

Niente soldi

All’antiquario fiorentino il governo francese negherà la ricompensa a suo tempo stabilita, affermando che “un’azione onesta deve essere sempre disinteressata”. Vincenzo Peruggia morirà d’infarto a soli 44 anni nel 1925. È sepolto a Saint-Maur des-Fossès.

Sulla vicenda tanto si è scritto ed è stato realizzato anche uno sceneggiato televisivo. Nel corso del ‘900 la Gioconda ha subito altre aggressioni. Nel 1956 uno squilibrato cercò di distruggere il dipinto con l’acido, poi un altro tentò di colpire il quadro con un sasso.

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