Il viaggio di Piero della Francesca
Due teste di uomo con le relative proporzioni tracciate da Piero della Francesca nel "De prospectiva pingendi" (cr. Enrico Rossi - Rossi fotografi)
Il "De prospectiva pingendi" dalla biblioteca Panizzi in mostra a Perugia
Il dottor Nicola Raimondi è a capo della sezione manoscritti della biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, uno scrigno di tesori d’arte e di cultura. Ha le mani protette da guanti bianchi di cotone e con cautela appoggia su un tavolone un voluminoso oggetto rilegato in legno ricoperto di pelle. E’ il “De prospectiva pingendi”, opera di Piero della Francesca, il più importante trattato scientifico della sua epoca (scritto fra il 1472 e il 1475), destinato agli artisti per la risoluzione dei problemi posti dall’uso corretto della prospettiva nei dipinti. Piero della Francesca non è stato solo uno dei massimi artisti di tutti i tempi; è stato anche uno scienziato che ha affidato alle generazioni successive il frutto dei propri studi.
La pagina manoscritta con il titolo del codice (cr. Enrico Rossi - Rossi fotografi)
Il “De prospectiva pingendi” è un manuale, un libro di testo universitario potremmo dire oggi, la chiave per comprendere nel segno della modernità la collocazione delle figure umane e degli oggetti nella natura e nelle architetture di un quadro. Nel Quattrocento non ci si poteva più accontentare di figure a una sola dimensione spalmate su un fondo dorato, come facevano i maestri senesi del Trecento; la complessità del mondo rinascimentale esigeva soluzioni più vicine al vero. Il salto è enorme. Lo si vede in una pietra miliare dell’arte figurativa quale “La flagellazione di Cristo”, dipinta da Piero nel 1470 e conservata nella Galleria nazionale delle Marche a Urbino. Un capolavoro nel quale il martirio di Gesù – per altro posto in secondo piano – è protagonista tanto quanto la complessa architettura che lo contiene. Per essere artisti alla fine del Quattrocento non bastava più essere bravi pittori, occorreva essere anche scienziati."La flagellazione di Cristo" esposta alla Galleria nazionale delle Marche (cr. Wikimedia commons)
Accanto a Raimondi c’è il dottor Alberto Ferraboschi, direttore della biblioteca Panizzi. Non è un giorno qualunque, il manoscritto di Piero sta per partire. Lascia l’ambiente in cui è conservato in condizioni climatiche protette per andare nella massima sicurezza a Perugia, dove sarà esposto alla Galleria nazionale nella mostra “Fratello Sole, sorella Luna – La natura nell’arte da Beato Angelico a Corot”, aperta dal 15 marzo al 15 giugno in occasione degli 800 anni dalla composizione del poema di San Francesco d’Assisi.
“Riceviamo sempre tante richieste per quest’opera – spiega il direttore – e dobbiamo fare una accurata selezione per concederla solo a proposte di alto valore artistico e scientifico, come quella di Perugia. E’ un’opportunità molto prestigiosa per il patrimonio della biblioteca. Inseriamo il nostro gioiello in un contesto di rilievo. Il codice sarà fra opere provenienti dai principali musei italiani ed europei, la mostra ha un’alta rilevanza scientifica e mette in dialogo istituzioni culturali di primissimo piano con una parte scientifica rilevante. Per la nostra istituzione era un’opportunità di entrare in rete in un contesto straordinario. A Perugia troverà una perfetta collocazione”.
Del “De prospectiva pingendi” esistono sette esemplari nel mondo, ma quello della biblioteca Panizzi è il più prezioso. “Non solo contiene alcune pagine scritte di proprio pugno da Piero – illustra Raimondi girando ad uno ad uno i fogli del codice con la stessa attenzione che si potrebbe dedicare a una reliquia – ma anche tutti i disegni e le annotazioni a margine sono dell’artista, realizzati con un tratto fermissimo e delicato e ancora perfettamente visibili e decifrabili a distanza di secoli”.
Piero della Francesca non ha solo scritto parole, ha lasciato disegni tecnici nei quali ha tradotto in pratica le teorie; quello che vi insegno, ha voluto dire, vi dimostro che è anche realizzabile. Stupende le rappresentazioni di teste umane con i calcoli per definire le proporzioni.
Le 120 carte sono perfettamente leggibili, merito di una carta rimasta in condizioni perfette (“Carta di stracci resistentissima – illustra Raimondi – prodotta in modo che le fibre si intrecciassero fra loro”) e di una scrittura chiarissima, opera di un copista sulla cui identità ci sono solo supposizioni. “Ha scritto in un carattere che si chiama minuscola umanistica – sono sempre parole di Raimondi – che rappresenta la reazione dell’epoca al carattere gotico, difficile da leggere. Petrarca, per esempio, il gotico non lo sopportava”.
In effetti la lettura è semplice, senza ornamenti e svolazzi, adatta anche a chi non è un letterato. Per l’epoca deve essere stata una rivoluzione, un codice al quale fece riferimento anche Leonardo da Vinci.Una pagina del codice con le annotazioni di Piero (cr. Enrico Rossi - Rossi fotografi)
In una delle prime pagine di sinistra, con caratteri del tutto diversi e un diverso inchiostro, si legge: Questo libro è di Gianbattista Venturi. Il nome spiega perché il “De prospectiva pingendi” si trova alla biblioteca Panizzi. Religioso e accademico fra 700 e 800, il reggiano Venturi riassume in sé tutte le sfaccettature della figura di intellettuale. “Il codice di Piero della Francesca – spiega Raimondi – Venturi dovrebbe averlo comprato dall’archivista Luigi Bossi di Milano e alla sua morte passò agli eredi e da loro alla Panizzi, anche con l’intervento economico del Comune che ha permesso l'acquisizione appunto del Fondo Venturi”.
La pesante copertina si richiude sulle pagine del codice. E’ il momento del commiato temporaneo. Ferraboschi e Raimondi affidano l’opera di Piero della Francesca a personale specializzato che la trasporterà a Perugia dove troverà una superba collocazione nella mostra della Galleria nazionale. Per tre mesi resterà là, poi tornerà nella sua casa, in biblioteca.
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