Fiume, la bandiera bianca di D'Annunzio
D'Annunzio a Fiume con i legionari e gli arditi (Wikimedia commons)
Così terminò l’occupazione della città adriatica
Terminato il primo conflitto mondiale Fiume divenne, in seguito al mancato riconoscimento all’Italia da parte delle potenze vincitrici della Dalmazia e di Fiume, a maggioranza di lingua italiana, la città dove esplose la teoria della “vittoria mutilata” e della pace tradita.

D'Annunzio all'alzabandiera nella città libera di Fiume (cr. E. Varutti Wikimedia commons)
Il poeta Gabriele D’Annunzio, contrarissimo a tale decisione, mobilitò i suoi seguaci e vi entrò alla testa di circa 2.500 uomini, facendone una specie di signoria rinascimentale con qualche tocco socialista. L’entusiasmo della popolazione era alle stelle e trascorsero alcuni mesi assaporando i piaceri di una libertà fino ad allora mai conosciuti.

Manifesti di propaganda dannunziana (Wikimedia commons)
Negli ultimi tempi della sua avventura, tuttavia, D’Annunzio aveva già avvertito che l’entusiasmo per la causa stava scemando. Dall’Italia arrivavano sempre meno visitatori illustri e aiuti finanziari. Il sogno di fare di Fiume la “Città della vita” affascinava sempre meno persone e si erano segnalate anche alcune defezioni significative come quella del maggiore Reina.
Il governo Giolitti, vista la delicata situazione interna e internazionale, concluse con la Jugoslavia il trattato di Rapallo che riconosceva a Fiume lo statuto di città libera e intimò a D’Annunzio di ritirarsi. Al rifiuto del poeta iniziò la drammatica fase finale della Reggenza del Carnaro. Il 30 dicembre 1920 D’Annunzio, ormai sconfitto, fu costretto ad abbandonare Fiume. Apparve amareggiato, ma non domo.

Volontari e legionari a guardia del confine fiumano (A.&E. Franckl Wikimedia commons)
Lui e i suoi legionari si erano battuti inutilmente fino all’ultimo giorno. Interi reparti del Regio esercito erano accorsi in suo aiuto, unendosi ai tanti volontari giunti a Fiume. C’erano sindacalisti rivoluzionari, come De Ambris, mazziniani, anarchici, socialisti, arditi, futuristi, nazionalisti e molti reduci di guerra. Le fasi salienti dello scontro con l’esercito italiano furono drammatiche.

Il generale Caviglia nel 1929 (cr. Angence Rol Biblioteca nazionale di Francia Wikimedia commons)
Il 1° dicembre 1920 il generale Caviglia, su ordine di Giolitti, intimò agli insorti di rientrare entro i confini previsti dal Trattato di Rapallo. Il comandante-poeta non sentì ragioni e rifiutò sdegnato quell’ultimatum. A quel punto Caviglia, pronto a bombardare la città, ordinò che le corazzate Dante Alighieri e Mirabello, uscissero dal porto. Lo stesso ordine riguardò anche il cacciatorpediniere Abba.

La nave da guerra Espero in una foto del 1905 (Wikimedia commons)
La altissima tensione che si respirava in quelle ore nelle strade non preannunciava nulla di buono. Già dal giorno 21 si erano verificati violenti scontri presso Fiume tra regolari e legionari con morti e feriti. Poi i cannoni delle navi cominciarono a sparare. Anche il palazzo governativo subì danni e lo stesso D’Annunzio era rimasto, seppur leggermente, ferito. Perfino la nave Espero venne colpita.

Il Palazzo del Governo come appare oggi a Rijeka, nome slavo di Fiume (Stefan Wedrac Wikimedia commons)
Molti, come Mussolini, lo avevano abbandonato, dopo aver promesso il loro aiuto, altri non si erano fatti proprio vivi, lasciandolo andare solo verso il suo destino. Consapevole della sconfitta e del fallimento del suo progetto di annettere Fiume all’Italia, il poeta-soldato lasciò la città.

Il teatro del Vittoriale, residenza di D'Annunzio (cr. Biblioteca del Vittoriale Wikimedia commons)
Le operazioni militari durarono dal 24 al 29 dicembre e provocarono 43 morti. Sembra che al momento dell’abbandono D’Annunzio abbia pronunciato una frase colma di rancore per gli italiani, o meglio, per chi governava gli italiani: “La mia vita non vale la pena di gettarla oggi in servizio di un popolo che non si cura di distogliere nemmeno un attimo dalle gozzoviglie natalizie la sua ingordigia”.

Le delegazioni italiana e serbo-croata-slovena dopo la firma del trattato di Rapallo (cr. Corriere Apuano Wikimedia commons)
L’occupazione della città, iniziata nel settembre del 1919, si concluse pertanto con il Trattato di Rapallo del dicembre 1920, che assegnò all’Italia Trento, Trieste e l’Istria, proclamando nello stesso tempo la creazione dello Stato libero di Fiume.
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