Giberto, omicidio di stato con la firma

Giberto, omicidio di stato con la firma

Spinello Aretino, "La battaglia di Punta San Salvatore" a margine del quale si trova il graffito su Giberto da Correggio (Wikimedia commons)

Un graffito a Siena testimonia perché fu ucciso

Più sono i secoli di vita di una città, più sono le testimonianze che possiamo trovare sulla sua storia. Questa scontata affermazione è valida anche per le “memorie sui muri”, cioè per tutto quello che è stato impresso negli anni sulla matrice più stabile e duratura che una città può avere, le sue strutture murarie.

Nella parte bassa (raggiungibile da un uomo di altezza media) dell’affresco “La disputa del Sacramento” di Raffaello nelle Stanze Vaticane a Roma si legge la scritta “LUTHER” (Lutero) realizzata con un oggetto a punta (probabilmente un coltello) da qualcuno desideroso di lasciare un segno trionfante in un luogo che ai suoi occhi rappresentava la perdizione, il peccato, la “Nuova Babilonia”. Probabilmente la cosa meno feroce fatta da un lanzichenecco in quel Sacco di Roma del 1527 (nono e ultimo saccheggio subito dalla città eterna) che portò al dimezzamento dei 55.000 abitanti con otto giorni consecutivi di distruzioni e di violenza efferata, e con le epidemie dei mesi successivi scatenate dallo scadimento delle condizioni igieniche.


Il graffito nel quale si riconosce la parola LUTHER (da X di MitchFraas)

Altro esempio, più misterioso ma di fondamentale importanza nella storia della lingua italiana, è l’istruzione operativa “non dicere ille secrita a bboce” incisa nel IX secolo sulla cornice di un affresco nella catacomba di Commodilla a Roma. Un promemoria per ricordare ai celebranti la nuova usanza di non recitare ad alta voce le preghiere “secrete” o intime, come sono oggi quelle dell’Offertorio. L’importanza storica sta nel fatto che si tratta di una delle più antiche testimonianze di “volgare”, ma è curioso che la seconda “b” di “bboce” sia stata inserita successivamente da qualcuno che volle far corrispondere il più possibile la scrittura al parlato.


Il graffito nella catacomba di Commodilla a Roma (dalla pagina Fb EuropeanMedievalHistory)

Entrambi questi graffiti si sono conservati perché si trovano in corrispondenza di un affresco, che quindi non ha subito rintonacature nel tempo.

A Siena, una vecchia guida del Museo Civico che si trova all’interno del Palazzo Pubblico citava la presenza inquietante di una scritta quattrocentesca su una parete della Sala di Balìa: “A dì VII di septembre in sabbato ad ore XXI/ morto in questo loco el traditore”.


Il graffito nel quale si narra la fine di Giberto da Correggio (cr. Senio Giglioli per iosonospartaco)

Era sempre stata tradizionalmente riferita all’uccisione di Giberto da Correggio avvenuta in quella sala nel 1455 e sarebbe stata vergata sul muro con il pugnale insanguinato proprio in corrispondenza della trifora dalla quale il cadavere fu poi gettato nella Piazza del Campo. Per inciso, il conteggio delle ore partiva dal tramonto del giorno precedente quindi il fatto sarebbe avvenuto a metà pomeriggio.


Lo stesso graffito con evidenziato il nome Giberto 

A una ricerca attenta e tenendo conto delle indicazioni non era difficile scovarla, ai margini dell’affresco “Battaglia di Punta Salvatore fra Veneziani e Imperiali” di Spinello Aretino. Ma restavano i dubbi sull’attribuzione.

Oggi finalmente uno studio attento e completo di Alessandra Peroni su gran parte delle centinaia di graffiti ancora leggibili nelle sale del Palazzo (“I graffiti del Palazzo Pubblico come fonti per la storia sociale e politica di Siena fra il XV e il XVI secolo”) permette di avere la certezza che la scritta si riferisce esattamente al fatto di sangue citato. La Peroni ha infatti dimostrato, con foto a luce radente, che la scritta continuava con la parola “Giberto” poi abrasa a voler rabbiosamente cancellare il ricordo oltre che la persona.


L'affresco nella catacomba di Commodilla e lo stemma della famiglia di Giberto da Correggio

Chi era Giberto? Un nobile, conte di Correggio con il titolo di Giberto VI. Ma anche, come il padre e il nonno e altri della sua famiglia, un avventuriero e capitano di ventura in quel Quattrocento italiano che vedeva una situazione geopolitica altamente instabile. Ogni stato e staterello della penisola aveva dovuto crearsi un esercito più o meno organizzato che a quell’epoca solo le truppe mercenarie potevano garantire, e queste avevano i loro condottieri.


Francesco I Sforza e la moglie Bianca Maria Visconti (Pinacoteca di Brera Wikimedia commons)

Giberto nel 1454 fu chiamato dalla Repubblica di Siena per porre termine alle incursioni di un signorotto di confine, annientato in men che non si dica dal condottiero alla testa dei suoi 1.200 cavalieri e 300 fanti. Fu nuovamente chiamato l’anno successivo per difendere la città dagli attacchi di un altro capitano di ventura, il Piccinino. Nel caos intervennero anche le truppe di Francesco Sforza (milanese) e l’esercito papale, ma i governanti senesi furono informati che, quando questi attaccarono il Piccinino, il Correggio e i suoi soldati si defilarono, come ad evitare lo scontro “pur avendo una bella e fiorita compagnia”. Il sospetto che ci fosse un accordo segreto fra Giberto e il condottiero nemico diventò certezza quando alcune spie consegnarono a Siena delle lettere in codice che lo attestavano senza ombra di dubbio.


Affresco della Sala di Balìa (cr. Zairon Wikimedia commons)

Il 7 settembre 1455 Giberto fece ritorno a Siena, forse per riscuotere il dovuto, e fu ricevuto nella Sala di Balìa. Alla richiesta di spiegazioni il capitano diede risposte “scortesi e superbe”. Quando però gli furono mostrate le lettere cercò di negare, “venendo in ira”, si alzò da sedere e cercò di uscire ma fu trattenuto “per le stringhe del braccio” da uno degli interlocutori. A un segnale, alcuni armati irruppero nella Sala e lo trafissero a morte, aprendo poi la finestra e gettandolo di sotto.


Ambrogio Lorenzetti, "Gli effetti del buon governo", Palazzo pubblico a Siena (Wikimedia commons)

Le sale di Palazzo Pubblico sono state il centro del potere comunale e repubblicano di Siena. In esse i governanti vollero rappresentare in immagini (e in raccomandazioni scritte) le regole e la filosofia che dovevano ispirare loro e i loro successori (come nelle “Allegorie ed effetti del buono e cattivo governo” di Ambrogio Lorenzetti). Ma come Alessandra Peroni ha dimostrato, anche moltissime persone che hanno potuto avere accesso a quelle sale (per aver ricoperto incarichi) hanno voluto lasciare traccia sui muri della loro presenza o del loro pensiero, firmando, disegnando stemmi, attestando fatti storici ma anche commentando gli affreschi e le raccomandazioni che contengono. Il graffito di Giberto è sicuramente il più importante e drammatico.

E nella quiete del Museo è giusto, almeno per un momento, risvegliare la Storia immaginando la rabbia, le urla, il sangue, e il tonfo sordo del corpo che sbatte sul selciato.

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