La storia può essere un gioco

La storia può essere un gioco

Partigiane nelle vie di Milano, una delle foto simbolo della Resistenza (cr. Valentino Petrelli)

Progetti e studi anche sulla Resistenza

Il gioco storico è un settore in grande espansione anche in Italia. Quando nel 2015, insieme con alcuni amici, cominciammo a pensare a un gioco da tavolo sulla Repubblica di Montefiorino (poi uscito nel 2019 come "Repubblica ribelle") il panorama italiano era piuttosto desolante. Certo esisteva una ampia gamma di giochi a sfondo storico, soprattutto war games, ma in essi la storia era poco più che uno scenario tra gli altri a cui applicare meccaniche astratte. E c'era già una fiorente scuola di didattica ludica della storia, sviluppata meritoriamente da Antonio Brusa e da tanti suoi allievi. Ma in ambito storiografico il medium ludico era considerato ancora come una cosa poco seria.


Il gioco da tavolo dedicato alla Repubblica di Montefiorino (dalla pagina Facebook Repubblica ribelle)

Le cose hanno cominciato a cambiare con l'avvento anche nel nostro paese dell'etichetta anglosassone di "public history" (che possiamo tradurre come storia in pubblico), che ha visto la nascita di un master (all’università di Modena e Reggio), poi di una associazione (l'Aiph), quindi di alcune riviste (come "Clionet").

Ovviamente in Italia c'erano già ottimi esempi di divulgazione e comunicazione storica; così come pratiche di storia applicata. Ma la discussione sulla public history ha consentito una riflessione più approfondita sui problemi dei pubblici della storia e anche dei diversi attori e vettori di storicizzazione.

Di qui anche un lavoro più consapevole e responsabile sui giochi, maturato sia nella stessa Aiph (dove è nato un gruppo Storia e gioco), che in sede universitaria, dove un gruppo su Gioco e storia è nato all'interno della rete del Game Science Research Centre (cioè nell'ambito più ramificato dei Game Studies, studi sui giochi).

In particolare vanno ricordati i meriti in questo campo di docenti come Renzo Repetti a Genova e Giaime Alonge a Torino. Ma anche l'impegno di studiosi di public historians come Glauco Babini di Ludo Labo (uno dei fondatori di Play-Festival del gioco, nel cui ambito è presente dal 2015 uno spazio Play History) o Igor Pizzirusso e Giorgio Uberti di Pop History (associazione nata dal già citato master e specializzatasi nel campo degli Urban Games storici, i giochi urbani storici).

Per capire quanto le cose siano cambiate basta guardare l'offerta ora disponibile a dieci anni di distanza, in occasione dell'ottantesimo della Liberazione. Anche solo limitandosi al gioco da tavolo, i titoli si sono moltiplicati; e in molti di questi la collaborazione tra game designers (progettisti di giochi) e public historians, per quanto non sempre facile, è ormai consolidata. Solo negli ultimi mesi sono usciti un gioco sulla liberazione di Rimini (Rimini Libera, di Gabriele Mari) e uno sulla Resistenza a Torino (Dagli scioperi all'insurrezione, di Mauro Mola). E altri progetti sono in corso, ad esempio su Trieste.

Il gioco da tavolo dedicato a Rimini (dalla pagina Facebook Biblioteca civica Gambalunga)

Da notare il protagonismo, anche in questo campo, della rete nazionale degli istituti storici della Resistenza (che fanno capo all'Istituto Parri di Milano). In effetti questi giochi usano materiali d'archivio e soprattutto fotografie d'epoca, consentendo una rappresentazione molto suggestiva del periodo. Anche se va ricordato che la storicità di un gioco non passa solo attraverso contenuti e materiali, ma pure per le meccaniche e le dinamiche di gioco (qui ad esempio emergono la precarietà e il rischio che caratterizzano la lotta di liberazione).

I giochi citati fanno del resto  riferimento alla storiografia più aggiornata, da Pavone a Peli e Baldissara: tengono conto della pluralità delle Resistenze, delle sue articolazioni cronologiche e delle specificità territoriali; ne mostrano la "biodiversità politica", che determina una peculiare "concordia discors" tra le formazioni (e infatti spesso si tratta di giochi insieme collaborativi e competitivi); la inseriscono nel quadro della guerra totale (mostrando ad esempio grande attenzione ai disagi causati dai bombardamenti e dal razionamento); problematizzano la questione del rapporto tra partigiani e popolazione civile; tematizzano il ruolo delle donne (non solo come infermiere e staffette).


Da sinistra Johan Huizinga e Roger Caillois (cr. Dominique Roger per Caillois Wikimedia commons)

Ma soprattutto il gioco consente di affrontare la Resistenza in modo interattivo, facendo cogliere tanto i vincoli di contesto che gli spazi di azione degli attori.  Inoltre la possibilità di moltiplicare i punti di vista (compresi eventualmente quelli dei "vinti" o dei "cattivi" di turno) consente un approccio plurale, aperto e dinamico che si presta particolarmente a rendere la complessità della storia.

Il recente Manifesto della Ludic History, messo a punto da chi scrive insieme con Babini e Mirco Zanoni (responsabile culturale dell'Istituto Cervi, ma anche giocatore e progettatore di giochi) intende proprio evidenziare lo spessore epistemologico del gioco storico e mostrarne le potenzialità euristiche. Perché il gioco, come ci insegnano maestri come Huizinga o Caillois, è una cosa divertente (o per meglio dire "coinvolgente"), ma che può essere anche molto seria.

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