Notizie false, antica abitudine

Notizie false, antica abitudine

"La morte di Socrate" di Francois-Xavier Fabre al Museo di storia e arte di Ginevra (Wikimedia commons)

Già i greci praticavano la calunnia politica

In un mondo come quello greco antico privo dei nostri raffinati strumenti di indagine, il reperimento e la diffusione di notizie era maggiormente soggetto alle categorie dell’incertezza, del dubbio, del “si dice”, del “dicono”, del “sembra che”, anche per una particolare predisposizione dei greci ad accogliere più versioni di uno stesso argomento: persino l’oracolo di Delfi si esprimeva per frasi ambigue, interpretate da sacerdoti spesso prezzolati.

"L'oracolo" di Camillo Miola, al Getty center di Los Angeles (Wikimedia commons)

Le versioni relative a un evento mitico, alla nascita di un dio, all’origine di un rito, di un ghènos (famiglia), potevano essere molteplici: ogni città aveva la propria ed erano tutte molto ben confezionate. Lo sapeva bene Erodoto (V secolo a.C.), il “padre della storia”, in realtà il primo reporter della storia, proprio in quanto egli amava riportare tutte le informazioni che raccoglieva nelle sue ricerche, anche quelle che riteneva false: potevano contenere una parte di verità ed era comunque sempre interessante raccontarle.

Il reporter

La sua onestà intellettuale consisteva nel riferire agli ascoltatori quali a suo parere non fossero attendibili: valutassero dunque loro. Tucidide polemizza però proprio su questo argomento con il suo predecessore, quando fa riferimento a coloro che si accontentano della prima notizia senza controllare la fonte e senza sottoporla a un attento vaglio, divulgando in questo modo falsità.

Tucidide ed Erodoto davanti al Parlamento austriaco (cr. Everbruin Wikimedia commons)

Come oggi, però, la creazione di notizie false a scopo politico o anche personale diventerà qualcosa di molto pericoloso, in particolare con il fenomeno dei sicofanti. Per comprenderne la natura occorre premettere che il diritto attico prevedeva che qualunque processo potesse essere avviato solo a seguito di denuncia da parte di un cittadino ai danni di un altro, per cui agli inizi il sicofante altri non era che un privato che denunciava all’autorità pubblica chiunque avesse commesso un reato.

Con il tempo, il carattere nobile del ruolo si perse del tutto perché la sykophantìa divenne una vera e propria professione, praticata da individui intriganti e meschini che diffondevano dicerie e in certi casi denunciavano altri cittadini in cambio di denaro.

Le calunnie

Due i casi più noti di questo malcostume della calunnia pubblica. Il primo ci è riportato dal retore Lisia, che nella orazione Contro Eratostene ci ha lasciato testimonianza di un evento storico drammatico. Lisia e la sua famiglia erano meteci, cioè stranieri residenti ad Atene che svolgevano varie attività nel campo dell’artigianato e del commercio.

La presenza dei meteci ad Atene era stata conseguenza della volontà politica di Pericle, interessato ad aprire le porte agli stranieri più esperti e capaci nelle attività produttive di cui in quel momento la città aveva bisogno, ma era anche espressione della democrazia; i meteci non avevano diritti politici, ma erano molto apprezzati e rispettati, come dimostra anche il fatto che il dialogo Repubblica di Platone è ambientato proprio nella casa di Lisia, nel quartiere del Pireo, dove il padre possedeva una fabbrica di scudi.

Un'immagine della Sparta attuale (cr. George E. Koronarios Wikimedia commons)

Poiché divennero anche facoltosi, essi furono vittima nel 404 di una persecuzione ad opera dei Trenta, i “tiranni” che Sparta aveva imposto a capo di Atene dopo la sua sconfitta nella guerra del Peloponneso. “Mio padre Cefalo fu persuaso da Pericle a venire in questa terra e vi abitò per trenta anni, né lui né noi facemmo mai lite con nessuno, né subimmo alcun processo, ma vivemmo per tutto il tempo in cui durò il governo democratico senza subire né commettere ingiustizia. Ma dopo che i Trenta, che erano persone malvagie e calunniatori di professione (sykophanti) presero il potere, cominciarono a dire che era necessario “ripulire” la città (…) e in particolare Teognide e Pisone parlavano contro i meteci, dicendo che erano ostili al nuovo governo”.

La Storia nel mosaico di Frederick Dielmann alla biblioteca del Congresso di Washington (cr. Carol Highsmith Wikimedia commons)

Con queste parole Lisia qualche tempo dopo essere riuscito a fuggire e poi ritornare ad Atene, denuncerà in un processo i crimini dei Trenta e le calunnie da loro create allo scopo di trovare una giustificazione agli arresti e agli omicidi sommari dei meteci, accompagnati dalla appropriazione indebita dei loro beni.

Vittime illustri

Nel 399 a.C. altro processo con accuse derivate dalla diffusione di informazioni false: corruzione dei giovani e ateismo, reato che prevedeva la pena di morte. Imputato: Socrate. Il quale riferisce ironicamente (Apologia) di non essere neppure tanto stupito, perché queste diabolài (calunnie) circolavano già da parecchi anni ad Atene, almeno dal tempo della commedia Nuvole di Aristofane, tutta incentrata sulla falsa accusa di essere un sofista o un filosofo del tipo di Anassagora (anch’egli accusato per ben due volte di ateismo).

"Socrate va a trovare Alcibiade in casa di Aspasia" di Jean-Leon Gerome (Dallas collezione privata Wikimedia commons)

Aspasia, compagna di Pericle, era un’etera? Aveva il coraggio di parlare con gli uomini. No, era una prostituta. No, era un’abile manipolatrice e Pericle un burattino nelle sue mani. No, si dava arie da filosofa e persino Socrate le dava ascolto. E Euripide? Era ateo. Era figlio di un’ortolana. Denigrava le donne presentandole come assassine. Era troppo colto: aveva una biblioteca. Quanto danno possono avere fatto questi attacchi, quanto possono avere ferito? Almeno quanto oggi, sicuramente non meno di oggi.

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