La geopolitica spiegata dal teatro

La devastazione in una cittā nella regione di Kiev (cr. Presidenza della repubblica ucraina Wikimedia commons)
Aristofane, Euripide e le guerre di oggi
Questa mattina mi sono svegliata con la notizia alla radio dell’attacco missilistico di Israele all’Iran, notizia che si abbatte come un macigno sulle altre che da più di due anni ci angosciano, provenienti dal fronte russo-ucraino e da quello mediorientale di Gaza. Dico a me stessa che niente è cambiato da quando Aristofane e Euripide cercavano di scuotere le coscienze dei loro concittadini sull’argomento più drammatico di quegli anni: la guerra fra Atene e Sparta.
La distruzione nella striscia di Gaza (cr. agenzia Wafa Wikimedia commons)
I due grandi scrittori di teatro - commediografo il primo, tragediografo il secondo - che riguardo a moltissimi temi erano su fronti opposti e si scontrarono anche pesantemente a suon di versi, su un concetto (a un certo punto) furono in accordo: la necessità di porre fine al conflitto che impegnò le due grandi potenze per quasi trent’anni, dal 431 al 404 a.C. E lo fecero a tambur battente con un numero senza precedenti di opere nel teatro di Dioniso di Atene.
I busti di Aristofane ed Euripide (cr. Roman Pilipey e Alexandra Mayatsky Wikimedia commons)
Chi non conosce la storia antica non sa forse che il teatro, l’idea stessa di “teatro” nasce in Grecia, non sappiamo esattamente dove, ma certamente Atene fu la città che lo consacrò. Non era un semplice spettacolo, ma un rito che la città - la pòlis - organizzava a proprie spese, perché questo evento, che durava parecchi giorni, era una delle massime espressioni della paideìa (educazione) greca. E poco importa che gli scrittori dicessero cose che oggi definiremmo scomode: il pubblico certo reagiva alle provocazioni, rumoreggiava, a volte usciva dal teatro, ma voleva per certi aspetti essere scosso, disturbato. E nessuno più di Aristofane e Euripide aveva questa predisposizione.
La loro posizione, di fronte alla guerra che Atene aveva preparato da tempo e in qualche modo voluto – se si deve credere al più grande storico greco (Tucidide) -, una guerra che anche Sparta in fondo voleva, fu molto critica, benché partisse da ragioni diverse.
Il teatro greco di Siracusa (cr. FotovideoMike Wikimedia commons)
Più pragmatico Aristofane, come portavoce dei ceti aristocratici e conservatori, non voleva un allargamento dell’impero ateniese, per ragioni sia commerciali che sociali: la guerra distruggeva i terreni agricoli ed era anche un fattore di ascesa sociale perché erano i teti, cioè gli operai, a remare nelle triremi, le formidabili navi ateniesi che avevano sconfitto anche i persiani. Atene arruolerà persino gli schiavi nella vittoriosa battaglia delle Arginuse, fatto stigmatizzato come deplorevole da Aristofane nella commedia Rane.
Egli inizierà a scrivere contro la guerra fin dalla prima commedia in nostro possesso - Acarnesi - e continuerà con Pace e Lisistrata, nelle quali rispettivamente un contadino e una donna cercano con la loro incredibile energia vitale di ottenere la pace, Trigeo salendo persino sull’Olimpo per liberarla, a cavallo di uno scarabeo, e Lisistrata occupando l’Acropoli (un vero e proprio colpo di stato) con una schiera di donne, dopo aver intrapreso il più famoso sciopero sessuale della storia, per convincere i mariti a deporre le armi.
Lisistrata in un allestimento del 2018 (cr. Antonia Riccardi Wikimedia commons)
Euripide iniziò non prima del 415 ad assumere posizioni che oggi possiamo definire - in modo non politicamente corretto - pacifiste. E’ veramente contemporaneo ciò che spinse Euripide a sostenere posizioni così poco - si badi bene - popolari: nel 415 infatti Atene svelò il suo doppio volto di città-stato democratica e ferocemente autoritaria, quando rase al suolo l’isola di Melo (Mìlos oggi), uccise tutti i maschi adulti e vendette come schiavi le donne e i bambini per il solo motivo che l’isola voleva rimanere neutrale nel conflitto fra Atene e Sparta, ognuna sostenuta dalla propria Lega.
Sempre Tucidide descrisse molto bene lo sconcerto dei Meli mentre gli ambasciatori ateniesi cercavano di convincerli ad arrendersi a un avversario più forte e a rinunciare alla loro "inutile resistenza".
Una porzione delle rovine di Troia (cr. Jorge Lascar Wikimedia commons)
L’eco di questo evento scosse l’opinione pubblica ateniese e sicuramente anche Euripide, sempre sensibile alle cause perse e lo spinse forse a scrivere le Troadi, dove in una Troia in fiamme si decidono i destini delle donne prigioniere dei vincitori greci, in una tragedia decisamente dalla parte dei vinti per i quali non c’è nessuna possibilità di riscatto, dal momento che culmina nella notizia che il piccolo Astianatte sarà gettato dalle mura. E celebre è la frase di Cassandra, che mi piace pensare contenga anche il pensiero di un pur sinceramente patriottico Euripide: “Evitare la guerra deve chi bene ragiona”.
L’avversione di Euripide per la deriva bellicistica di Atene e per una politica regolata solo da fredda ragion di stato e da sete di potere continuerà anche quando misteriose ragioni lo spingeranno ad andarsene dalla sua amata città, nella tragedia Ifigenia in Aulide, in cui una tenera e dolente Ifigenia viene sacrificata in nome della necessità degli eroi achei di salpare per la guerra di Troia.
L'Ifigenia allestita nel 2012 al Beersheba Theater (cr. Dadi Dagon Wikimedia commons)
E perciò, alla fine, mi chiedo che cosa direbbero oggi i due grandi scrittori a noi moderni visto che continuiamo a ripetere gli stessi errori e che avremmo bisogno di leggere, studiare, rappresentare ogni anno le loro opere, come avveniva più di due millenni fa in quella grandissima città dell’Attica.
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