Botte da orbi fra donne, sulle Ande

Alcune Cholitas in abito tradizionale da combattimento (cr. Alessandra Coppa iosonospartaco)
Le Cholitas, il wrestling riscatta le boliviane
Una palestra di quartiere, un ring al centro, musica a tutto volume e tifo dalle gradinate. Domenica pomeriggio a El Alto, città satellite di La Paz, che con i suoi 4.100 metri di altitudine sovrasta la capitale boliviana. Si dice che la zona sia “muy peligrosa” ma l’atmosfera è rilassata e invita le persone in fila alla biglietteria a socializzare. Il biglietto d’ingresso include anche un sacchetto di pop corn, una bibita, una maglietta, una maschera e ben due accessi alla toilette. Fra il pubblico ci sono diversi affezionati, perché l’entrata dei protagonisti sul ring viene accolta ora da fischi ora da applausi, incitati da un commentatore sportivo degno di una finale di coppa del mondo.
Le indigene
A sfidarsi in un incontro di lotta libera ispirato alla lucha libre messicana e che ricorda il wrestling americano sono però due insospettabili cholitas, donne indigene di discendenza Aymara, in abiti tradizionali. La trama è semplice: due donne si affrontano sul ring, una è buona e leale mentre la seconda è subdola e in combutta con l’arbitro corrotto. In principio le cose si mettono male per la prima, poi la sorte si capovolge e prese, lanci, atterraggi, torsioni, calci e tirate di capelli vedono la cattiva soccombere insieme all’arbitro nell’entusiasmo generale. Lunghe trecce nere e gonne multistrato dai colori vivaci, le cholitas luchadoras sono atlete dotate di forza, agilità e coraggio la cui esibizione va oltre lo sport o lo spettacolo.
Il pubblico delle Cholitas (cr. Alessandra Coppa iosonospartaco)
Per decenni il termine cholita - che di fatto indica una giovane donna boliviana - ha avuto una connotazione offensiva, usato com’era dalle classi dirigenti bianche del Paese per indicare le ragazze indigene, di classe sociale inferiore, spesso in grado di esprimersi solo nella lingua tradizionale aymara. A loro non era permesso passeggiare liberamente nella piazza principale o nei quartieri benestanti di La Paz. Provenienti dalle zone rurali, erano prevalentemente relegate al ruolo di domestiche o venditrici ambulanti. Con la graduale crescita dei movimenti guidati da gruppi di contadini e l’elezione nel 2006 di Evo Morales, primo presidente indigeno del Paese, anche il ruolo delle cholitas inizia a cambiare.
Patrimonio culturale
Senza abbandonare le proprie tradizioni, anzi forti di queste, sono diventate simbolo di orgoglio culturale e di capacità di autodeterminazione e rappresentano una sfida agli stereotipi di genere. Nel 2013 le cholitas di La Paz sono diventate addirittura patrimonio culturale immateriale della città. Il loro tipico abbigliamento - l’ampia gonna, lo scialle legato all’altezza del petto, la blusa e la caratteristica bombetta – hanno fatto irruzione anche nella moda, con diversi stilisti che hanno iniziano a ispirarsi proprio agli abiti tradizionali per le loro creazioni.
Abito ispirato alle Cholitas (cr. facebook Cholitas Fashion)
Il tutto inizia a El Alto, considerata una sorta di periferia di La Paz ma di fatto la seconda città più popolata della Bolivia, a maggioranza indigena. Nata agli inizi del secolo scorso come sobborgo abitativo per i ferrovieri di La Paz, qualche decennio dopo diventa meta di ex minatori e contadini. Nota per le sue baraccopoli e afflitta da tutte le vecchie e nuove povertà tipiche delle periferie urbane, sta assistendo da qualche anno a una rapida crescita. Proprio a El Alto, all’inizio degli anni 2000, un gruppo di donne inizia a praticare un tipo di combattimento ispirato alla lotta libera messicana.
Solidarietà femminile
Lo fanno per svago, divertimento, ma anche per sfogare la frustrazione derivata da violenze domestiche e abusi. I loro incontri diventano presto un’attrattiva per gli abitanti della città e per i turisti. In principio buona parte dei profitti frutto delle loro esibizioni entra nelle tasche di manager maschi, condizione che le spinge a dare vita a un gruppo esclusivamente femminile: la Cholitas Wrestling Foundation. Le cholitas luchadoras, vere star in Bolivia, hanno i trascorsi più diversi. Alcune hanno seguito le orme di qualche familiare, altre si sono avvicinate alla lotta libera per caso, per necessità, per arrotondare i propri guadagni, ma tutte per libera scelta.
Sulla vetta
E se la lotta libera ha segnato l’ingresso delle donne indigene della Bolivia nello sport, ecco che nuove sfide sono già in corso. Vestite con abiti tradizionali e con un semplice sacco al posto dello zaino, le cholitas escaladoras sono vere e proprie alpiniste che hanno già scalato alcune delle montagne più alte dell'America Latina. Nel 2019 cinque di loro sono partite alla conquista del monte Aconcagua in Argentina: una scalata di quasi 7.000 metri per raggiungere la cima della montagna più alta delle Americhe. Le cinque scalatrici vivono anch’esse a El Alto, sono mogli o compagne di guide alpine e alcune hanno accompagnato alpinisti stranieri come cuoche o portatrici.
Due di loro sono riuscite a raggiungere la cima, le altre forse ci riproveranno in futuro ma tutte hanno già vinto la propria battaglia e hanno dato nuova voce alle donne native da sempre in silenzio. La loro impresa è stata seguita dai registi Jaime Murciego e Pablo Iraburu che l’hanno poi raccontata in un film. “Perché non possiamo andare anche noi in montagna?”, “Perché non possiamo arrampicare?” si chiedono all’inizio del film. E le scalate delle cholitas escaladoras, così come gli incontri sul ring delle cholitas luchadoras, non sono solo imprese sportive ma dichiarazioni di orgoglio identitario e della forza delle donne.
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