I turisti del nulla

Folla di turisti all'Acropoli di Atene (cr. Chabe01 Wikimedia commons)
Mordi, fuggi e non guardi il bello
Nel maggio 2023 salivo lungo la scalinata dell’Acropoli di Atene trascinata da una vera e propria marea di persone, per lo più giapponesi, muniti delle preziose aste per gli autoscatti, non pericolose come le spade dei loro antenati samurai, ma non per questo meno innocue: in quel preciso momento ho capito cosa fosse l’iperturismo.
L'Acropoli vista dalla Pnice (cr. Claudia Carri iosonospartaco)
Inutile dire quanto l’impatto di questa massa nuocesse e alle persone stesse (perché non c’è nessun piacere nel godere di una meraviglia artistica se si è stritolati da decine di corpi) e al luogo, in termini di impatto ambientale. L’Acropoli di Atene è infatti uno dei siti che maggiormente risente dei danni provocati da questi milioni di visitatori che calpestano ogni giorno il suo millenario suolo. Parlando poi con alcuni greci e chiedendo il motivo di questo fenomeno, mi fu risposto che la causa principale era che da alcuni anni le navi scaricano ad Atene, ogni giorno, migliaia di turisti che, dal Pireo, si riversano poi direttamente nel suo luogo più attrattivo in assoluto.
Il teatro di Dioniso (cr. Claudia Carri iosonospartaco)
Dati i tempi - che potremmo definire “a cottimo” - dei crocieristi e tenendo conto della distanza fra il porto del Pireo e il centro di Atene (ancora di circa 12 chilometri dal tempo in cui Temistocle costruì le lunghe mura o Socrate andava a trovare il suo vecchio amico Cefalo), anche usufruendo del nuovo veloce tratto della metropolitana, ma (temo) utilizzando soprattutto i pullman che congestionano il già caotico traffico della città, l’unica visita possibile rimane questa, in una sorta di “mordi e fuggi” (la salita all’acropoli non si fa in dieci minuti), che non lascia neppure il tempo di una piacevole sosta nell’adiacente e vasto quartiere della Plaka, che costeggia con il suo dedalo di vie, di ristoranti e negozi tipici, le pendici settentrionali del colle, figuriamoci in altri quartieri o siti, spesso deserti o quasi, come l’agorà, il museo bizantino, il Cicladico, il museo Benaki.
Il risultato è che neppure i greci sono contenti di questa forma di turismo che “consuma” la città - nel senso letterale del termine - ma non apporta nessun beneficio neppure in termini di entrate economiche, perché è solo una corsa a tempo a fotografare il pezzo forte e via, magari andandosene con la convinzione che Atene sia caotica e tutto sommato “brutta”, una bestemmia per chi come me crede di conoscerla un po’.
Folla di turisti all'Acropoli (cr. Tanya Dedyukhina Wikimedia commons)
Le stesse scene ognuno di noi le ha potute vivere o osservare sui giornali in moltissimi altri luoghi d’arte o città, anche in questa estate 2025. Il fenomeno è stato analizzato, dal punto di vista sociologico ed economico, da molti esperti, ma quello che mi incuriosisce di più, soprattutto rispetto al luogo che conosco meglio e che frequento almeno una volta all’anno - cioè la Grecia - è la relazione fra l’aumento spropositato del turismo di massa nei siti d’arte e l’impoverimento del livello culturale medio delle persone in generale, soprattutto delle conoscenze storiche (e quindi artistiche), come molti dati confermano.
E’ come se con quei frenetici scatti si volesse catturare lo spirito del luogo e impossessarsi di millenni di storia. Chissà se quelle centinaia di giapponesi incontrati sui Propilei hanno davvero capito dove si trovavano; esattamente come capiterebbe a me (forse) se mi trovassi in una situazione analoga, ma il monumento non fosse il Partenone, bensì il Padiglione d’oro di Kyoto. Siamo diventati consumatori di cibo, di suolo, di risorse e anche, ahimè, di cultura, in un modo ingordo e indigesto.
La Pnice (cr. Claudia Carri iosonospartaco)
E’ un grande peccato, perché basterebbe poco per vivere in modo più ecologico e anche più soddisfacente i meravigliosi spazi che il passato ha conservato ancora intatti. Seguendo alcune piccole regole si potrebbero aprire scenari inattesi, trovandosi in un attimo fuori dalla calca, di fronte a inaspettate scoperte.
Il tempio di Efesto e Atene sullo sfondo (cr. Claudia Carri iosonospartaco)
Molti non sanno ad esempio che la vera meraviglia dell’Acropoli è catturare da lassù la migliore vista possibile dei luoghi principali che costituivano la pòlis nel momento della sua massima fioritura e potersela veramente immaginare come non sarebbe possibile da nessun’altra prospettiva: dai Propilei, dove i nostri amici giapponesi fotografano generalmente le colonne, girare loro le spalle e osservare da destra a sinistra rispettivamente una parte dell’agorà con l’altura su cui sorge il tempio di Efesto, il colle dell’Areòpago, sede del più antico tribunale ateniese, quello della Pnice, nel quale si riuniva l’assemblea popolare e il Filopappo, da cui si ammira la più bella vista dell’Acropoli; poi da altri punti di osservazione guardare nei dettagli dall’alto tutta l’agorà e il colle del Licabetto, magari provando a individuare ai suoi piedi la scuola di Aristotele, poi il teatro di Dioniso (spesso invece visto di sfuggita), e, in fila l’uno dopo l’altro, ma distintamente - perché la luce della Grecia lo consente - il meraviglioso edificio del nuovo Museo dell’Acropoli, il centro Stavros Niarchos, capolavoro dell’architettura moderna e - in lontananza - il Pireo.
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