Il mio parente è un gorilla

Il mio parente è un gorilla

Uno dei gorilla avvistati durante la spedizione (cr. Alessandra Coppa iosonospartaco)

Nella foresta a fissare negli occhi i giganti buoni

Condividiamo con loro circa il 98% del nostro Dna. Sarà per questo che incrociare lo sguardo di un gorilla non suscita solo stupore o meraviglia, ma la sensazione di guardare negli occhi qualcuno che abbiamo conosciuto.

Nelle foreste montane dell’Africa centrale, dove i confini naturali fra Uganda, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo ben poco hanno a che vedere con le carte geografiche, vive una popolazione stimata di oltre mille gorilla di montagna all’interno, rispettivamente, dei parchi nazionali di Bwindi, dei Vulcani e dei Virunga.


La sepoltura di Dian Fossey e, alle spalle, dei suoi gorilla (cr. Wikimedia commons)

Ed è proprio in Congo e in Ruanda che, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, la famosa primatologa Dian Fossey riuscì ad avvicinare e instaurare un rapporto di fiducia con alcuni gruppi di gorilla, mettendone in luce la grande docilità e sensibilità.

Un privilegio, quello di avvicinare queste creature tuttora a rischio di estinzione, non più riservato ai soli scienziati. Grazie a un lavoro paziente di anni fatto su alcune famiglie di gorilla, oggi è possibile osservarli nel loro habitat naturale senza essere percepiti come una minaccia.

Assassinata

Non solo, gli effetti positivi di questo tipo di turismo per l’economia di quei luoghi hanno contribuito alla crescita del numero di esemplari e alla salvaguardia del territorio. Un forte impatto sulla conservazione di questi primati è esercitato infatti dalle comunità locali, che soprattutto a causa della povertà possono finire per essere complici di bracconaggio e traffici illegali.

La stessa Dian Fossey dovette combattere contro i bracconieri, che vedevano nella sua attività di studio e protezione dei gorilla una minaccia per i loro traffici. La morte della Fossey, assassinata nel 1985 nella sua capanna nel Parco Nazionale dei Vulcani, è rimasta avvolta nel mistero, ma si pensa che proprio il suo impegno nella protezione dei gorilla e la sua lotta contro il bracconaggio possano essere stati i motivi del suo omicidio.

La famiglia Oruzogo abita nella Foresta Impenetrabile di Bwindi, in Uganda. È una famiglia numerosa, composta dal maschio dominante – il cosiddetto silverback per la colorazione argentea che assume la sua pelliccia sul dorso – alcune femmine e diversi giovani di età differenti. Raggiungerli è una questione di fortuna, abilità e perseveranza.

Fortuna, perché il trekking può durare da un paio di ore all’intera giornata, tutto dipende dagli spostamenti della famiglia. Un temporale nella notte potrebbe allontanarli di ore di cammino dal punto dell’ultimo avvistamento. Anche il clima gioca un ruolo importante perché la pioggia, data sempre come concreta possibilità, può trasformare un sentiero già di per sé inesistente in uno scivolo di fango. Abilità, perché avanzare nella foresta può essere impegnativo non solo in termini di distanze da percorrere ma anche di dislivello. Siamo pur sempre in montagna. Perseveranza, perché gli eventuali momenti di scoraggiamento, aggrappati a un ramo marcescente, fradici e con una cerata svolazzante, sul ciglio di una salita che proprio non ce la puoi fare, saranno ricompensati da una delle esperienze più emozionanti.

L'accesso a Cuckooland, punto di partenza per il trekking (cr. Alessandra Coppa iosonospartaco)

La partenza è all’alba, per questo sono diversi i piccoli alloggiamenti alle porte del parco dove passare la notte. Fra questi il Cuckooland, la terra del cucù, a 1.700 metri di altezza. Gestito da un inglese bizzarro e da un amichevole staff locale, offre poche tende su palafitte affacciate sulla foresta dove la notte è buia, stellata e piena di rumori misteriosi.

In gruppo

Il trekking parte dall’ingresso di Ruhij, dove viene formato il gruppo che sarà di 7 persone. Ad accompagnarlo sono una guida esperta, alcuni battitori-scout il cui compito è quello di seguire la famiglia durante gli spostamenti quotidiani e informare il gruppo sull’ultima localizzazione, oltre a un paio di ranger. Alcuni ragazzi e ragazze del villaggio vicino si propongono come portatori, in particolare dell’equipaggiamento fotografico. Esili, ma incredibilmente solidi e agili, faranno la differenza in più di un’occasione.

Dopo circa due ore di cammino in discesa quasi verticale (salita quasi verticale al rientro), il primo incontro è con due baby gorilla. Come tutti i piccoli sono pieni di energia e si spostano da un ramo all’altro senza mai allontanarsi troppo dalla mamma nascosta nella vegetazione. Più in basso si muove una sagoma scura, il pelo brillante nel sole. È il silverback, intento insieme a una femmina a cibarsi senza sosta scorticando rami e masticando foglie. Altri piccoli li raggiungono e lottano fra loro giocando. Il 33% del tempo di una giornata tipo di una famiglia di gorilla è impiegato mediamente per il riposo, il 22% per gli spostamenti dell’intero gruppo e il 45% per la nutrizione.

Un silverback può pesare fino a 230 chili e raggiungere un’altezza di un metro e ottanta. Colpisce che tanta potenza e potenziale pericolosità sia dotata di uno sguardo così calmo, penetrante e tranquillo allo stesso tempo. Mentre prosegue il pasto sembra a tratti distrarsi per poi farsi pensieroso, fino a quando si alza e senza la minima fatica apparente affronta una salita e sparisce nella vegetazione.

Alla larga

Per non mettere a rischio la salute della famiglia, il gruppo degli umani viene mantenuto a una distanza di sicurezza, al fine di evitare la trasmissione di eventuali agenti patogeni. La mascherina viene associata dai gorilla alla figura del veterinario e potrebbe creare agitazione, per questo viene chiesto di non indossarla. Allo stesso modo si posano a terra eventuali bastoni da trekking usati lungo il percorso e si resta in silenzio o si parla a bassa voce. Il tempo massimo concesso al gruppo, che sarà l’unico a visitare la famiglia quel giorno, è di un’ora che sembrerà, inutile dirlo, un solo minuto. 



Dietro a una emozione di un’ora c’è il lavoro di anni per abituare alcune famiglie di gorilla alla presenza degli umani. Ma l’impegno delle guardie forestali dei parchi è continuo e non privo di pericoli. In particolare nella Repubblica Democratica del Congo dove sono stati oltre 200 negli ultimi venti anni i ranger uccisi. Tanti gli interessi economici che si scontrano con la conservazione: il bracconaggio per il commercio illegale, così come l’uso criminale di altre risorse naturali (la legna delle foreste dei vulcani viene illegalmente trasformata in prezioso carbone) servono a finanziare una criminalità diffusa spesso collegata agli interessi dei signori della guerra. André Bauma è un custode di gorilla nel parco nazionale dei Virunga ed è uno dei protagonisti del docu-film del 2014 “Virunga”, incentrato proprio sul lavoro di conservazione attuato dalle guardie forestali e sulle attività di ricerca del petrolio avviate in quegli anni in quei territori. È proprio fra le braccia di André che nel 2021, al termine di una malattia, morirà Ndakasi, una giovane gorilla di 14 anni che Bauma aveva salvato quando ancora cucciola aveva perso la madre, uccisa dai bracconieri, per poi continuare a prendersi cura di lei nel Centro Senkewekwe, l’orfanotrofio per gorilla nel parco dei Virunga.

Scrive il biologo e conservazionista George Schaller “Il grosso gorilla maschio attirò la mia attenzione… Provai il desiderio di comunicare con lui. Non avevo mai avuto questa sensazione nell’incontro con un animale. Mentre ci guardavamo attraverso la vallata, mi domandai se riconosceva il vincolo di parentela che ci legava”.

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