La macchia nascosta dei mongoli

La macchia nascosta dei mongoli

Vecchi manifesti di propaganda sovietica

Taxi, birra, rubli: Mosca di notte

Inizia oggi la pubblicazione del diario di viaggio di Piergiorgio Casotti in Mongolia. Il Massimo a cui l'autore fa riferimento è Massimo Zamboni, artista di Cccp e Csi. L’autore, se costretto, potrebbe giurare che i fatti narrati sono andati più o meno così.

Agosto 2016

Giorno 1

Verso la Mongolia

Il "viaggio" inizia molto prima di salire sulle carrozze della Transiberiana, che prenderemo parecchie ore più tardi a qualche migliaia di chilometri da qui.

Lo sbarco dal volo Bologna-Istanbul ci obbliga a camminare attraverso un tunnel infernale. La sensazione fisica di soffocamento e calore cresce ad ogni passo lungo i trenta metri che ci separano dall'aeroporto vero e proprio, chimera che si rivela essere un girone meno infernale… ma pur sempre insopportabile.

Sull'aereo, dopo aver guardato con insolita attenzione i video sulle procedure di sicurezza in volo, in particolare quello che ricordava come "prepararsi all'impatto", le hostess avevano distribuito volantini con proclami sull'eroismo del popolo turco che, martire della democrazia, ha sventato il codardo colpo di stato di qualche mese prima. Una propaganda in vecchio e inconfondibile stile bolscevico… ma anche un po’ hitleriano... in formato A5. Il volo era Turkish Airlines.

Camminiamo in attesa del prossimo imbarco curiosando tra i vari ristoranti. Il mio sguardo si sofferma sulla cassa di un Burger King (si, proprio lui) di fronte alla quale una donna completamente velata dalla testa ai piedi sta pagando non un kebab, ma un hamburger. In questi tempi di dure relazione turco-americane un tale affronto all'eroica nazione musulmana potrebbe anche essere punito con la detenzione a tempo imprecisato e pubblica fustigazione.

Volo Istanbul Mosca, ore 17.19


Massimo entra in modalità aereo.

Testa leggermente piegata verso il corridoio centrale, respiro pesante, sonno profondo.

Arrivati a Mosca, fuori dall'aeroporto ci aspetta un tassista dall'inconfondibile sagoma russa, in sintesi un armadio. Il foglio di carta A4 che tiene ben visibile davanti al petto e sul quale spicca il nome “Zamboni” sembra, al suo cospetto, un misero A6.

Il sospetto che non sia un vero tassista nasce vedendo il tipo di auto con la guida a destra (in Russia si guida come da noi). La certezza arriva quando per incastrare i nostri zaini nel baule getta il seggiolino del bambino sul sedile posteriore.



Anche il mito Gagarin nei manifesti affissi a Mosca

Il tragitto verso la città attraversa una periferia di palazzi altissimi, alcuni ancora in costruzione, tutti uguali, costruiti in serie, anonimi, molti dei quali ancora disabitati, che potranno essere casa per migliaia e migliaia di persone provenienti da "periferie" ancora più misere e irrilevanti. Da alcune finestrelle quadrate ai piani alti escono bagliori caldi e giallastri che si trasformano in stelle attraverso i finestrini bagnati dell'auto che, nel frattempo, sta affrontando un temporale degno di un poema epico. Anche perché i tergicristalli, al meglio, sono un po’ usurati. La puzza di benzina nell'abitacolo e il caldo subtropicale all’esterno ci danno il benvenuto a Mosca.

L'hotel è bello, pulito, piacevole. In pieno centro. La tappezzeria color oliva è inaspettatamente sobria con disegni vagamente arabescati. Ricorda esattamente la tappezzeria dell'appartamento sorvegliato dalla Stasi nel film "La vita degli altri".

Dopo una bella bevuta di birra in un locale lì vicino – la cameriera, senza un motivo, ci ha omaggiato di una seconda pinta a testa – ci incamminiamo per una passeggiata serale verso la Piazza Rossa, che poi troviamo chiusa e abilmente protetta da stanchi e abbondanti poliziotti ritti dietro transenne improvvisate e nemmeno minimamente scalfiti dallo charme italiano e dagli ammiccamenti femminili.

Passo a fianco di quello che fu un cinema dell'era che fu. Bellissimo nonostante i lavori di ammodernamento. Cammino sotto alla sua pensilina con ancora in alto, barcollanti, tubi colorati al neon, motivo di vanto non più tardi di trent’anni fa.

C'è bisogno di rubli

Operazione cambia valute. Ore 24:13

Io e Massimo ci addentriamo lungo il corridoio di una banca. Il cartello dice aperto h24. Andiamo avanti e indietro un paio di volte per cercare un Bancomat. Nessun segno visibile di un Bancomat. Stiamo per abbandonare quando un uomo di una certa età, non chiaramente identificato dietro il cappotto lungo e i capelli arruffati, leggermente curvo su se stesso e con la barba, a forza di gesti e qualche mugugno, ci indica una porta grigia, insignificante, mimetizzata con la parete altrettanto grigia. Al fianco c’è un piccolo bottone. Ci "dice" che è quello, suonate!

Il rumore dell'apertura che si sblocca. Entriamo in uno spazio parallelo. Il bugigattolo non è più grande di due metri per uno, diviso in due. Al di là di un vetro antiproiettile ci attende una signora stanca a sedere su una poltrona scomoda. Di fianco un monitor di sicurezza e alle sue spalle un tubo che le consente di ricevere la dose di ossigeno consigliata, sufficiente per non morire asfissiata, o alla meglio, di non svenire.  Di qua, stretti come galline sul piolo di una scala sporca, quasi appiccicati al vetro, io e Massimo.

La signora ci fissa, imperturbabile. Senza dire una parola e senza lasciare trasparire alcuna espressione facciale interpretabile, ci apre uno sportello scorrevole e ci invita a mettere i soldi "lì".

Chiude, prende euro, apre, mette rubli, chiude, ce lo riapre.
Il tempo di toccarli e la chiusura della porta si sblocca.

Clack

Ora di andarsene.

Tempo impiegato per l'operazione: meno di un minuto e mezzo.

Numero di parole o sorrisi scambiati con la signora: zero.

Fuori in strada, donne russe esageratamente e perfettamente "in tiro".

Fuori in strada, uomini russi esageratamente fuori moda.

Good night… and good luck

(1- continua)

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