La bellezza di un mondo che muore

Lo sbarco di Rutilio, fotogramma dal film "De reditu - Il ritorno" di Claudio Bondě prodotto da Alessandro Verdecchi per Misami film*
Lo sbarco di Rutilio mentre Roma si spegne
Castiglione della Pescaia è un vero paese marinaro. Il rapporto con il mare si sente, è carnale. Il castello si protende eretto sul paese antico, la pianura è compenetrata da acque salmastre retaggi di una antica laguna, il Porto Canale è insieme mare, fiume, fauce della palude. Questo matrimonio (d’amore) si consuma tutti i giorni al rientro dei pescherecci con la loro cometa di gabbiani, ma fu celebrato ufficialmente il 7 dicembre 1974 con il ritorno di Ambrogio Fogar che aveva circumnavigato il globo a vela in solitaria, 402 giorni nella direzione più dura.
La targa che ricorda l'impresa di Ambrogio Fogar (cr. Senio Giglioli per iosonospartaco)
A levante, come altrove è avvenuto, lo sviluppo urbanistico fu incontrollato. Le baracche rizzate al limitare della spiaggia da pescatori o villeggianti-pescatori si sono evolute magicamente in splendide o poco splendide villette, le dune sono state asfaltate o al meglio coltivate in giardini fiorenti che ad un occhio attento tradiscono però le pendenze originarie. La crucianella, l’euforbia e la nappola sono confinate, da blocchi di cemento, in microscopiche riserve indiane. Questi sono i pensieri di chi attraversa il rione di Ponte Giorgini in direzione del mare, in un fresco pomeriggio di mezza stagione.
Al termine della stretta viuzza che porta alla villetta più bella (e alla spiaggia) l’occhio spazia finalmente sulla cerchia accogliente dei visi amici, dai nomi che fanno tremare i polsi: Elba; Montecristo; Giglio; Argentario.
Voltato l’angolo
E voltato l’angolo, a levante, bastano pochi passi per scrollarsi di dosso le costruzioni e sentirsi pienamente parte della lunghissima parabola verde-giallo-blu della Pineta del Tombolo, pini-sabbia-mare che vanno a nascondersi lontano sotto i monti dell’Uccellina.
E’ un percorso sensoriale e i sensi, si sa, possono fare brutti scherzi.
La palude della Diaccia Botrona nella zona di Castiglione della Pescaia (cr. Stefano Benucci Wikimedia commons)
Cosa ci vuole, con l’ormai flebile libeccio sulla pelle e lo sciabordio del mare nelle orecchie, a vedere una piccola flotta di barche che si avvicina a forza di remi? Non possono più procedere a vela, la notte si avvicina. Nell’ultima barca, si capisce che quello è il padrone. E’ in piedi, sorveglia le operazioni. Quando la chiglia tocca, i marinai lo aiutano a mettere piede in acqua, poi tirano in secco gli scafi e tolgono i remi, insieme alle provviste e ai tendaggi. Alcuni si addentrano nella macchia in cerca di legna per accendere un fuoco e tornano con profumati rami di mirto. Si piantano i remi nella sabbia come pilastri. I rami regalati dal mare e sbiancati dal sole (e dal sale) serviranno da travi ed ecco qui i ripari per passare la notte.
Il Giglio
Prima che il buio inghiotta tutto, il signore volge un ultimo sguardo all’isola del Giglio, nelle cui splendide ville tanti amici si sono rifugiati durante il Sacco di Roma sette anni prima, quando i soldati di Flavio Alarico, generale romano ma Goto nell’anima, hanno messo a ferro e fuoco l’Italia: “Lo stesso porto è stato per i Romani così vicino e per i Goti così lontano”.
Particolare da "Il sacco di Roma" di Evariste-Vital Luminais (Sherperd Gallery New York Wikimedia commons)
E’ tutto vero: raccontato da quel signore, con la ineguagliabile capacità di sintesi dei classici, in soli dodici distici elegiaci pieni zeppi di immagini e sensazioni in un poemetto (giuntoci mozzato dal tempo) che ne comprende 350, a cui gli umanisti rinascimentali imposero il nome di “De Reditu” (“Il ritorno”). Uno splendido diario di viaggio che mostra una familiarità estrema con tutta la poesia precedente e una sofisticatissima tecnica letteraria.
Quel signore è Claudio Rutilio Namaziano, già Prefetto di Roma nel 414 (e quindi “presidente” del Senato), diretto ai suoi possedimenti in Gallia Narbonensis per verificarne lo stato dopo il passaggio dei Goti. Rutilio ci racconta non solo i luoghi ma anche il suo pensiero e i suoi sentimenti per un mondo che muore, o che sta semplicemente cambiando.
Il mare
La scelta di viaggiare per mare è dovuta all’insicurezza della via di terra, “le strade sono allagate, i boschi non sono più interrotti da locande, né i fiumi dai ponti”. E’ un impero ancora “familiare” per un personaggio così importante: tanti sono gli amici che incontra durante il viaggio e che lo accolgono nelle loro ricche ville. Frequenti sono le occasioni per esprimere il proprio parere politico sui fatti accaduti, “ma siamo stati forse troppo loquaci: torniamo con i versi al nostro viaggio”. Ogni città avvistata (Pirgi, Cere, Pisa) mobilita ricordi, ma qualcuna, come Cosa, è già in rovina: “Da questi esempi comprendiamo che anche le città possono morire”.Un tronco arenato sulla spiaggia della Maremma (cr. golden719 Wikimedia commons)
Nel 417 buona parte dell’èlite patrizia si riunisce ancora in circoli pagani, a più di cento anni da Costantino. Incrociando Capraia, Rutilio si scaglia contro il già fiorente monastero cenobita: “Uomini che fuggono la luce! Evitano il male, ma non sopportano il bene”. Non riesce a posare lo sguardo sulla Gorgona, sapendo che vi è come eremita un nobile figlio di amici: “Cadavere vivente!… Mi chiedo: ma è una setta più deleteria dei veleni di Circe? Quelli mutavano i corpi. Questa stravolge gli animi”.
E’ lo stridente scontro fra un lumen evanescente e una lux prorompente.
* La Cimba Romana, ritratta nella fotografia, fu realizzata, appositamente per il film dai maestri d’ascia di Salerno guidati dall'architetto Cesare Micocci. Fu realizzata rispettando i disegni dell’epoca. La Cimba dopo le riprese avvenute in Calabria a Crotone ha navigato ancora fino alle coste toscane, dove è stata donata al Museo della Marina di Rosignano.
Per rivivere il viaggio di Rutilio: “Il ritorno”, a cura di Alessandro Fo, Einaudi 1992.
Per rivederlo: “De reditu – Il ritorno” di Claudio Bondì, Misami Film 2004.
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