Le “normali” case dei capi di governo
Il gatto Larry si avvia all'ingresso del 10 di Downing Street (cr. parrot of doom Wikimedia commons)
Regno Unito, Germania, Italia: vince la modestia
Dopo l'articolo sui palazzi di re e capi di stato, Architettura immagine del potere, oggi l'architetto Paolo Gandolfi ci conduce alla scoperta delle case dei capi di governo.
Nelle democrazie dove il comando non sia affidato ad un presidente, la persona più potente è il primo ministro o capo del Governo, ma l’edificio che rappresenta questo potere è tutto sommato modesto e poco rappresentativo. Un vezzo delle democrazie moderne sembra essere l’understatement del potere.
L’identificazione di un monarca o di un presidente con lo Stato e la sua rappresentazione con un sontuoso palazzo è un fenomeno insito nella natura stessa delle nazioni, sin dalla loro nascita, a partire dal principio che la capanna più grande del villaggio è quella del capo. Che il capo non sia colui che comanda è il curioso paradosso di quasi tutte le democrazie moderne e da qui nasce il problema di quale edificio può ospitare una funzione che nei fatti è preminente, ma nella forma inter pares.

Il centro di Londra visto dal cielo (cr. Konstantin Papushin Wikimedia commons)
Sotto l’assolutismo in cui sono nati gli stati nazionali il governo era composto da nobili, dignitari o religiosi aggregati a corte, senza una specifica sede e la funzione esecutiva, anche quando onnipotente, veniva esercitata all’ombra del Re. Solo con l’affermazione delle democrazie viene identificato un ruolo specifico e una sede per Governo e primo ministro.
Il primo edificio dedicato a un premier è ancora in funzione, si tratta di una semplice casa, il famoso numero 10 di Downing Street a Londra, adibito allo scopo nel 1733. Si diceva prima che in passato i primi ministri erano nobili o religiosi che risiedevano in propri palazzi o in taluni casi a corte, quindi gli inglesi nella loro costante progressione verso un sistema democratico moderno, per renderli autonomi dal monarca identificarono una strada di Londra dove ospitare residenza e uffici dei vari dignitari del governo, tra questi il più importante, colui che teneva i cordoni della borsa, che diventerà poi il primo ministro.

Il premier Starmer al 10 di Downing Street con Giorgia Meloni (cr. Auren Hurley Wikimedia commons)
Questa scelta trova un senso preciso nel contesto istituzionale e culturale della società britannica e in quello urbanistico di Londra. Per quanto siano ormai tre secoli che nel Regno Unito il primo ministro comanda il Paese, la presenza del Re e il peculiare ruolo di supremazia dal Parlamento rendono opportuna la collocazione di questa funzione in normalissimi edifici, lungo una strada secondaria, asservendo così una tendenza generalizzata nelle classi dirigenti inglesi di rifiutare forme di ostentazione, compresa quella affidata all’architettura.
Boris Johnson posa sulla croce di San Giorgio davanti a Downing Street 10 (cr. Number 10 Wikimedia commons)
Downing street, per quanto circondata solo da edifici governativi, sembra una strada come un’altra ed è rimasta aperta al pubblico passaggio fino al 1989, in ossequio all’idea di normalità dei ruoli di potere. Che poi la casa del primo ministro finisse in un edificio costruito da uno speculatore edilizio in una strada che porta il suo nome è molto inglese, molto londinese, molto anti-autoritario. Nessuna grande capitale del mondo ha mantenuto un disordine urbanistico pari a quello di Londra, proprio perché un grande boulevard o una regola edilizia unificante stanno all’urbanistica come il capriccio di un monarca o un piano quinquennale stanno alla democrazia o all’economia.

Godfrey Kneller, "Ritratto di Christopher Wren", National portrait gallery (Wikimedia commons)
Per questo, mentre le città europee sfruttavano l’epoca barocca per adeguare la propria struttura urbana ai tempi nuovi, giocatasi l’ultima carta con la remissione del piano di Christopher Wren per la ricostruzione dopo il grande incendio del 1666, Londra ha perso ogni ulteriore occasione per dotarsi di viali, strade e palazzi, lasciando all’iniziativa privata il compito di governare la propria ascesa a città più grande del mondo.
Pur avendo in Whitehall e in Banqueting House un viale e un palazzo degni di ospitare una funzione così importante come il Governo, si è scelta una strada laterale con le classiche case georgiane a schiera che si vedono in gran quantità a Chelsea o Bloomsbury, costruite pare con qualche sparagnina furbizia da speculatore di cui Churchill si lamentava.
Altro Paese altra storia, e anche in questo caso la residenza di uno degli uomini più potenti del mondo ci racconta qualcosa della storia e dello spirito di quel popolo. Come ospitare il cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, dopo che il predecessore aveva provocato la più grande carneficina della storia?

Il Kanzlerbungalow a Bonn visto dal cielo (cr. Wolkenkratze Wikimedia commons)
Potremmo dimenticare quella specie di enorme lavatrice costruita a Berlino di fianco al parlamento dopo la riunificazione, ma non si può dimenticare che poco distante Hitler tuonava a morte dentro un’orgia di marmi e colonne squadrate costruita da Speer, di cui però l’ambiente più famoso ha finito per essere il bunker.
Speer mostra un progetto a Hitler, 1938 (Wikimedia commons)
Con un tale passato la Repubblica Federale Tedesca aveva posto la sua capitale in una piccola cittadina sul Reno, Bonn, famosa fino ad allora per aver dato i natali a Beethoven. Se ogni grande Paese ha i propri scheletri nell’armadio, in Germania il rapporto col passato rischiava di essere soffocante. Dovendo costruire un edificio per ospitare residenza e rappresentanza del cancelliere, Adenauer cede il compito al ministro delle Finanze Erhard, futuro cancelliere, la cui scelta cade sull’architettura moderna e sulla trasparenza del vetro, per celebrare il futuro e il boom economico che stava risollevando dalle macerie la Germania.

Konrad Adenauer nella sua biblioteca (Wikimedia commons)
Anche per quel governo conservatore, lo sguardo all’indietro verso il passato era un tabù e la ricerca di un qualsiasi alito di germanità un delitto. Lo stile avrebbe dovuto essere quello della modernità più pura, come le ville di Richard Neutra in California.
L’edificio avrebbe dovuto essere modesto, non appariscente e integrato con la natura. Ne nasce un bungalow, il Kanzlerbungalow di Bonn, l’edificio simbolo del secondo tentativo dei tedeschi di darsi una democrazia stabile. L’architettura di Sep Ruf era anche un atto di riconciliazione con il Bauhaus e la lezione essenziale e razionale soffocata dal nazismo. Niente muri, niente decorazioni, solo la trasparenza del vetro che portava dentro luce e natura. Anche la minuscola piscina privata del cancelliere all’epoca fece scalpore.

L'architetto Sep Ruf (dal sito Architectuul)
Alcuni sostengono che il clima di serenità e apertura che ispirano gli spazi ariosi e luminosi del bungalow abbiano ispirato un approccio più aperto, libero e visionario ai suoi ospiti e che sia stata proprio questa atmosfera eterea ad aver ispirato in Gorbaciov l’idea della glasnost durante un soggiorno presso l’ultimo padrone di casa del Kanzlerbungalow, Helmut Kohl.
Un popolo che si è coltivato la democrazia come una eredità trasmessa e accresciuta generazione dopo generazione alloggia il suo capo in una casa a schiera, un altro che ha ricevuto la democrazia come risarcimento dopo un fracasso di bastonate ha messo il suo capo in una casa di vetro.
Quale scelta può aver fatto il popolo che la democrazia liberale ce l’aveva e l’ha buttata dalla finestra per un’avventura in orbace? In Italia sotto il Regno i nostri presidenti del consiglio stavano al Viminale in uno dei nuovi ministeri costruiti dai piemontesi, poi durante il regime fascista il gran capo si era trasferito in un palazzo dotato di balcone e piazza per le adunate, ma soprattutto molto più centrale.
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Palazzo Venezia a Roma (cr. ThePhotografer Wikimedia commons)
Alla ripresa della democrazia nel dopoguerra si è ritenuto di ripartire dal Viminale, poi nel ’61 la scelta cade su Palazzo Chigi, modesto ma centrale e con un comodo passaggio sotterraneo di collegamento con la Camera dei Deputati. D’altronde il simbolismo della nuova Repubblica era demandato ai partiti e i presidenti del consiglio si consumavano come kleenex, inoltre i palazzi più sontuosi di Roma erano occupati da religiosi o se li erano già accaparrati da secoli Francia e Spagna per le rispettive ambasciate.

Il palazzo del Viminale (cr. Lucamato Wikimedia commons)
Il riuso di un edificio storico è stata la scelta obbligata della giovane Repubblica Italiana, il resto lo ha fatto la necessità di non allontanarsi troppo dalla Camera dove effettivamente sedevano i veri vertici del Paese, segretari di partito e capi corrente.

Palazzo Chigi (cr. G.dallorto Wikimedia commons)
Ora non è più così, il comandante va sempre a Palazzo Chigi, che infatti da Berlusconi in poi ha cominciato a stargli stretto. Per questo se a piazza Colonna dici a un turista che li c’è il palazzo del primo ministro lui guarderà la galleria Alberto Sordi chiedendoti se è quello e tu, sbirciando malinconicamente con l’occhio sinistro lo striminzito balconcino d’angolo di Palazzo Chigi, gli risponderai: sì è quello, e una volta c’era anche una bella libreria.
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