Claudia Cardinale, vera nei film e nella vita

La scena del ballo da "Il Gattopardo", 1963 (cr. Visconti Wikimedia commons)
Si riteneva donna sincera più che attrice
Nell’estate del 1961 lavoravo in una tipografia e, da curioso adolescente, ascoltavo le chiacchiere delle operaie. Una di loro, che aveva visto i primi film della Cardinale protagonista – in quell’anno molti, che si aggiunsero a quelli, già importanti, del 1959 e 1960 – affermò che come Brigitte Bardot era chiamata B.B. a Claudia Cardinale sarebbe accaduto lo stesso: C.C. Le due dive, grazie a un simpatico destino, avrebbero anni dopo lavorato insieme in un western comico intitolato Le pistolere.
Jill McBain, il personaggio di Claudia Cardinale in "C'era una volta il west", 1968
Per ricordare l’attrice appena scomparsa, Antonello Catacchio in apertura di un suo articolo scrive: «Anno 1968. Esce C’era una volta il West di Sergio Leone. Tra i protagonisti c’è Claudia Cardinale, Jill, ex-prostituta, che arriva nel cantiere, si scopre vedova e proprietaria di tutto il terreno. Lì viene violentata da Henry Fonda, assassino e criminale che vuole portarle via tutto.
Con Betsy Blair, Anna Maria Ferrero e Antonella Lualdi in "I delfini", 1960
In sintesi, in quella sequenza c’è buona parte della vita, vera, di Claudia Cardinale. Da un rapporto prevaricatore e violento, non ancora ventenne, ha avuto un figlio, spacciandolo per qualche anno per suo fratello…». Precisando subito, con Catacchio, che la giovanissima Cardinale fu “ragazza madre”, vale sottolineare che accompagnò la sua lunga e prestigiosa carriera con intelligenza, determinazione, ma anche con asciutta modestia dichiarando di ritenersi più che attrice donna sincera.
Con Pietro Germi ed Eleonora Rossi Draghi in "Un maledetto imbroglio", 1959 (cr. Gawain78 Wikimedia commons)
La storia e il senso comune attribuiscono al personaggio di Angelica del Gattopardo di Luchino Visconti un valore di consacrazione, ma non vanno assolutamente sottovalutate le prove sostenute in Un maledetto imbroglio (Pietro Germi, 1959), Il bell’Antonio (Mauro Bolognini, 1960), I delfini (Francesco Maselli, 1960) e soprattutto La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini, a mio avviso uno dei film più belli del decennio sessanta; un film indimenticabile per giovanile freschezza, autenticità di sentimenti, e presenza al proprio tempo.
Con Renato Salvatori in "I soliti ignoti", 1958
In Italia la Cardinale aveva esordito in un cosiddetto ruolo secondario ne I soliti ignoti di Mario Monicelli (1958), ma, diretta dallo stesso Visconti, aveva partecipato a Rocco e i suoi fratelli.
Ancora con Salvatori in "Rocco e i suoi fratelli", 1961 (cr. Sunset Boulevard Wikimedia commons)
Una curiosa aneddotica racconta che, lavorando nel contempo al nominato Gattopardo e a Otto e mezzo di Fellini, passava da un set all’altro mentre i due maestri si guardavano in cagnesco. Va rilevato, poi, che fra le parti secondarie, cioè da non protagonista, quella di Otto e mezzo sfolgora di luce propria (o meglio, della luce felliniana più pura) e che il regista, una volta, si dice abbia esclamato: «Claudia, perché non ce ne andiamo, io e te soli, in Turchia!?».
Con Mastroianni ne "Il bell'Antonio", 1960 (cr. Gawain78 Wikimedia commons)
Perché proprio in Turchia, viene da chiedere, forse per una improvvisazione felliniano-esotica che comprendeva con vaghezza altrettanto felliniana la biografia tunisina dell’attrice. Otto e mezzo, se non ricordo male, fu anche la prima occasione in cui Claudia Cardinale non fu doppiata, cioè usò la propria intrigante voce roca. Chi se non Fellini avrebbe, a quel tempo, potuto scoprire quella voce?
Claudia Cardinale in "L'audace colpo dei soliti ignoti", 1959
Il lavoro simultaneo su due set - con viaggi, lunghe sedute di trasformazione al trucco - indica un’altra virtù: la Cardinale era infaticabile. Bastino le testimonianze, in proposito, di Visconti e Werner Herzog. Le riprese del famoso ballo del Gattopardo durarono oltre quaranta giorni. Nel gran caldo siciliano, con le candele che colavano dai lampadari, attori tecnici e comparse crollavano. Lei no. Si era fatta sistemare una specie di girello per stare dritta ed era sempre pronta a entrare in scena.
Lo stesso nel Fitzcarraldo di Herzog (1981) alle proibitive condizioni climatiche dell’Amazzonia peruviana. Il dramma della fatica fu enorme, comportò perfino vittime e numerosi ferimenti ma lei – secondo la testimonianza dello stesso regista – sopportava tutto con ostinazione lavorativa eccezionale.
Nel 2010 con Alain Delon (cr. Georges Biard Wikimedia commons)
E’ quanto si avverte anche nelle migliori interviste, una delle quali è stata riproposta dalla Tv in questi giorni di lutto e rimembranza. Una donna matura, sempre bellissima – forse di più – che alterna la soggezione di uno sguardo bruno e severo ai sorrisi aperti e giusti; una donna da cui traspare un’intelligenza talvolta dolorosa.
Nel film "La ragazza con la valigia", 1961
Per chiudere il mio modesto omaggio - dopo aver menzionato pochi dei titoli della filmografia di Claudia Cardinale – vorrei tornare all’amatissimo La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini: la bellezza triste di Aida, il destino che si lascia alle spalle e il futuro senza speranza, in un mondo che cambia rincorrendo una improvvisa e malata modernità.
Il finale del film è un esempio di raffinata regia ed essenziale tensione simbolica. Aida, di notte, è sola nella stazione ferroviaria di una località adriatica (forse Cesenatico). I rumori del luogo: un treno che riparte, il campanello, sono combinati musicalmente, nella loro ovvietà, e presto superati da un crescendo: i tacchi di Aida che battono sul pavimento dell’uscita e vengono incontro allo spettatore.
Il manifesto de "La ragazza con la valigia"
Accolta, poi accompagnata dalla macchina da presa, la ragazza cammina, è ripresa sempre in movimento poi esce di campo sullo sfondo di un “grattacielo” modestamente illuminato: addio Aida, allora. Addio Claudia Cardinale, oggi.
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