I baffi che ridicolizzarono Hitler

I baffi identici di Adolf Hitler e Charlie Chaplin nel film "The great dictator" del 1940
Chaplin e la sfida del “Grande dittatore”
“Nel 1921, a Monaco, abitavo in Thierschstrasse, e spesso notavo per strada un ometto che vagamente mi ricordava una versione “militare” di Charlot, per i suoi caratteristici baffetti e per l’andatura oscillante. Aveva sempre in mano un frustino con cui incessantemente sembrava tagliare teste immaginarie. Era così buffo che chiesi ai vicini chi poteva essere: la maggior parte di loro, per il suo aspetto slavo, era convinta che fosse uno di questi russi emigrati che abbondavano in Germania in quel periodo, e ne parlavano tranquillamente come di uno un po’ squilibrato mentalmente. Ma fu il mio salumiere a dirmi che si trattava del signor Adolf Hitler di Braunau in Austria, e che era il leader di un partitello che si faceva chiamare Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori”. (W.W. Crotch, letterato inglese, 1933)
E’ attestato che la moda del baffo a spazzolino nasce alla fine del XIX secolo negli Stati Uniti, per poi diffondersi in Europa. A partire dal 1914, un ulteriore elemento favorisce questa diffusione: la dilagante fama del personaggio del vagabondo inventato da Charles Chaplin precisamente l’11 gennaio durante le riprese del cortometraggio “Kid Auto Race in Venice”. Questo particolare tipo di baffo inizia a lasciare traccia nella storia del XX secolo.Hitler (primo da sinistra seduto) durante la Grande Guerra (Wikimedia commons)
Dopo la battaglia di Ypres (31 ottobre 1914, circa 40.000 morti) alla quale partecipò la staffetta portaordini Adolf Hitler di 25 anni, la propaganda tedesca raffigura i soldati inglesi con i tipici baffetti chiamandoli “I Chaplins”.
Alcuni mesi dopo il comandante delle truppe britanniche John French in un dispaccio stigmatizza la moda dei baffi “alla Chaplin” che a suo dire toglie “dignità ai soldati di Sua Maestà”. Il Ministero della Guerra arriva addirittura l’11 gennaio 1917 a vietarne l’uso in ambito militare.
Chaplin con i caratteristici baffetti in "The kid", Il monello (cr. First National Wikimedia commons)
Dopo la fine della guerra l’avventuriero e corridore automobilistico tedesco Hans Koeppen, che sfoggia un bel paio di baffetti, diviene popolarissimo in Germania. La prima foto di Hitler con i baffi a spazzolino è appunto del 1919.
Julius Streicher durante il processo di Norimberga (Wikimedia commons)
Julius Streicher, condannato a Norimberga, nel 1926 così commenta il film “La febbre dell’oro” sulla rivista “L’assaltatore”: “Chaplin è un giudeo. Recita come un lumacone e infrange sempre la legge. Solo un sempliciotto può ridere di questo personaggio. Ma i più colti fra noi ne sono disgustati. Chaplin è capace solo di ispirare i giudei, e infatti più che altri i giudei vanno a vederlo”.
Chaplin con Mack Swain in "The gold race", La febbre dell'oro, 1925 (cr. University of Washington Wikimedia commons)
Che Chaplin fosse ebreo (notizia senza alcun fondamento) diviene un luogo comune nella Germania nazista e non solo. Durante il tour promozionale di “Luci della città” a Berlino nel 1931 il grande attore e regista è vittima di una contestazione antisemita, e una rivista diretta da Goebbels si scaglia contro il “giudeo Chaplin, tipica figura ebraica, che sta portando la gioventù germanica lontano dai suoi ideali eroici e mina così il futuro della nostra razza”.
Chaplin con Virginia Cherrill in "City lights", Luci della città (cr. Unites artists Wikimedia commons)
Il regista si rifiutò sempre di negare pubblicamente la sua origine ebraica: “Non voglio fare il gioco degli antisemiti”.
Il 30 gennaio 1933 Hitler venne investito della carica di Cancelliere del Reich. Poche settimane dopo un fumetto inglese raffigurò Charlot che, pensando a Hitler, ride: “… impossibile recitare una parte seria con dei baffi come i miei”.
Lo stesso Chaplin disse: “La prima volta che vidi Hitler con quei baffetti, pensai che mi stesse copiando, cercando di beneficiare del mio successo... talmente ero egoista”.
Ancora nel 1933 il Partito Nazista pubblica un libro dal titolo “I giudei ti guardano” con primi piani di persone ritenute ebree e annotazioni sulla loro eventuale eliminazione. Sotto la foto di Chaplin compare la nota “questo piccolo irrequieto giudeo, così disgustoso quanto noioso”. La pagina viene inviata al regista che rimane seriamente turbato.
Particolare del manifesto di "The great dictator", Il grande dittatore (cr. United artists Wikimedia commons)
Nel 1937, un amico produttore parla a Chaplin del preoccupante aumento del movimento nazista negli Stati Uniti, come di un argomento su cui lavorare. “Mi diede una buona base… una storia di scambio di identità… Hitler aveva gli stessi baffetti del vagabondo. Io potevo interpretare entrambi i personaggi”. E fu così che l’attore nel film interpreterà il ruolo di un barbiere ebreo.
Stava nascendo uno dei film più coraggiosi della storia del cinema.
Chaplin con Jack Oakie in "The great dictator" Il grande dittatore (cr. United artists Wikimedia commons)
Nel 1938 la rivista tedesca Der Film-Kurier tuonava: “Esiste una regola che proibisce ogni azione che manifesti disprezzo nei confronti di capi di stato stranieri. Quando l’America vorrà fermare la sfrontatezza dell’ebreo Chaplin?”.
Le paure
Lo stesso fratello di Charles, Sidney, che collaborava strettamente alla realizzazione del film, manifestò alcune preoccupazioni per la componente politica del film.
E’ del 1939 la lettera preoccupata del Console britannico di Los Angeles al suo ministro a Londra: “Ho avuto una conversazione con Chaplin… sta iniziando la produzione di “The Dictator” con un entusiasmo fanatico: sembra che il solo motivo del film sia l’attacco diretto”.
La scena del mappamondo in "The great dictator" (cr. United artists Wikimedia commons)
Ancora nel 1939 un produttore cinematografico ebreo a Chaplin: “Attento, Charlie: stai per mettere in pericolo il nostro popolo in Germania. Renderai Hitler furioso, anche la politica estera americana ne risentirà”.
Secondo le testimonianze, Chaplin iniziava a manifestare qualche timore. Ma il Presidente Roosevelt gli fece pervenire questo messaggio: “Il Presidente ritiene questo film una cosa molto importante: devi andare avanti”. Chaplin racconta: “Ero abbastanza ricco da permettermi di fare il film che volevo”.
Il presidente Roosevelt durante un banchetto (cr. Library of Congress Wikimedia commons)
Durante le riprese, i costumisti si complimentarono con Chaplin per la sua somiglianza a Hitler. La risposta: “Ma è Hitler che somiglia a me”.
Però non tutte le opinioni erano concordanti. Ad esempio Hedda Hopper, giornalista, il 26 giugno 1940 scriveva: “Nelle condizioni in cui vediamo il mondo oggi, ci vorrà una generazione prima che possiamo ridere del sig. Hitler; ho dubbi che il film venga distribuito”.
Un discorso di Hitler alla radio, 1933 (cr. German federal archives Wikimedia commons)
Il 15 ottobre 1940 avvenne la prima proiezione al pubblico, al Capitol di New York. Il film ebbe un incredibile successo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna dove venne proiettato contemporaneamente in 300 sale per dieci settimane.
La propaganda tedesca lo definì “motivo di agitazione anti-germanica”, auspicando che Hollywood non producesse altri film del genere.
Il discorso
“Combattiamo per…. abbattere i confini e le barriere. Combattiamo per eliminare l'avidità e l'odio. Un mondo ragionevole in cui la scienza ed il progresso diano a tutti gli uomini il benessere”.
Il discorso all'umanità nel finale del film (cr. United artists Wikimedia commons)
Sono le parole finali del cosiddetto “discorso all’umanità” che il barbiere ebreo, sul podio al posto del dittatore, pronuncia nel finale del film, e che più volte negli anni successivi gli fu chiesto di ripetere, anche dallo stesso Roosevelt in diretta via radio.
Chaplin volle assolutamente portare a termine questo film, contro il parere di alcuni produttori, dei critici, di alcuni collaboratori. Volle assolutamente lanciare questo messaggio al mondo. Il film fu una sua lotta personale; sicuramente sentiva che la sua fama, la sua popolarità gli permettevano di farlo, e che il messaggio poteva forse avere una ricaduta positiva sulla situazione politica o sul sentire collettivo.
Chaplin all'arrivo all'aeroporto di Stoccolma, 1964 (Wikimedia commons)
La stampa coniò lo slogan “Chaplin contro Hitler”. Ma il messaggio - così il giornalista Winifred Horrabin sul Tribune - di Chaplin è più sottile: “La vera ragione per cui Chaplin ha fatto questo film è il fatto che, sapendo di avere la possibilità di raggiungere tutte le orecchie del mondo, voleva diffondere un messaggio proveniente dalla sua anima: questo messaggio è che tutti i piccoli esseri umani, che i grandi poteri usano per i loro sporchi lavori e per le loro stupide guerre assassine, sono semplicemente bravi ragazzi, onesti, semplici uomini che vogliono vivere in pace, ridersi in faccia e lavorare insieme in gioia e sicurezza”.
Chaplin con Jack Lemmon nel 1972 (cr. Associated Press Wikimedia commons)
Dopo la fine della guerra Chaplin affermò che se avesse conosciuto la realtà dei lager non avrebbe mai fatto il film. Il mondo ha giudicato per lui: fece ugualmente bene a fare il film.
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