Il cinema orfano di Tex

ll pannello realizzato per la mostra "Tex 70 anni di un mito" (cr. Nicholas Gemini Wikimedia commons)
Mai riuscito il passaggio dal fumetto allo schermo
Il western è un genere cinematografico quasi identitario per gli Stati Uniti. Lì è nato, ha prodotto un'infinità di pellicole, ha ciclicamente attraversato momenti di gloria e periodi di crisi, come ad esempio nei primissimi anni sessanta. Dopo la grande stagione degli anni cinquanta, che culmina con quel capolavoro assoluto che è Sentieri selvaggi di John Ford, il genere si ritrova stanco e con poche idee, mentre esplodono filoni decisamente più moderni, ad esempio i film di 007, quasi l'antesignano degli odierni supereroi.
Il poster di "Sentieri selvaggi" opera del grafico Bill Gold (Wikimedia commons)
Sergio Leone con la sua “trilogia del dollaro” arriva proprio al momento giusto, approfittando anche della straordinaria esperienza che le maestranze italiane si erano costruite negli anni dei kolossal girati a Cinecittà. Improvvisamente il cinema italiano sforna in poco più di una decina d'anni quasi quattrocento pellicole, diventando la seconda patria del genere. Si tratta del western all'italiana, o “spaghetti western” come lo chiamano gli americani (da cui si sviluppa anche un sottogenere comico di altrettanto successo: il “fagioli western”, con mattatori indiscussi Bud Spencer e Terence Hill).
Bud Spencer e Terence Hill in "Continuavano a chiamarlo Trinità" di E.B. Clucher (cr. Francesco Betti Wikimedia commons)
Con bassi costi di produzione, e un'estetica e un contenuto radicalmente innovativi, Sergio Leone avvia una vera e propria rivoluzione. Facce sporche e sudate, cinico interesse, avidità e violenza spietata, ma anche implicita critica sociale (pensiamo all'utilizzo frequente della rivoluzione messicana), tutto questo, e altro, è diventato da allora patrimonio del genere. Pensiamo solo a titoli come Il Mucchio selvaggio di Peckinpah o a Gli spietati di Clint Eastwood, che aprono e chiudono l'ultimo periodo del western americano, quello crepuscolare e autocritico.
Clint Eastwood e Marianne Koch in "Per un pugno di dollari" di Sergio Leone (cr. Jolly film Wikimedia commons)
Certo senza Sergio Leone tutto questo non ci sarebbe stato, ma va anche riconosciuto che moltissimi film western italiani sono inguardabili, come peraltro anche tantissimi statunitensi. L'influenza però è innegabile. Contemporaneamente in Italia esisteva dal 1948 (ed esiste ancora oggi) il fumetto western forse più diffuso al mondo. Parliamo ovviamente di Tex Willer. Ma stranamente questi due universi non si sono nei fatti mai incrociati, nemmeno negli anni in cui l'Italia produceva più western degli Stati Uniti. È un peccato, perché in quella breve finestra di dieci anni grandi attori americani come Henry Fonda, Rod Steiger, James Coburn parteciparono ai film di Sergio Leone e di altri.
Il regista Sergio Leone (cr. Obbino Wikimedia commons)
Ma probabilmente oltre a problemi produttivi e contrattuali c'è dell'altro. Il Tex Willer di Gianluigi Bonelli è proprio figlio del western classico (a cominciare dal personaggio principale, probabilmente ispirato nei tratti a Randolph Scott, prolifico attore di quel genere). Il fumetto italiano paradossalmente anticipa in alcune scelte il western americano negli anni settanta, pensiamo solo alla rivalutazione positiva dei nativi americani (Tex è il capo dei Navajo), ma in generale non influenza e non viene influenzato da Sergio Leone e tutti i suoi epigoni.
Randolph Scott fra Barbara Britton e Dorothy Hart in "Gunfighters" (cr. Columbia Pictures Wikimedia commons)
Quando poi nel 1985 esce “Tex e il Signore degli abissi" (con Giuliano Gemma nel ruolo del protagonista) siamo oltre il tempo massimo. Il western italiano è già finito e il termine medesimo è passato di moda; inoltre il cinema americano è già cambiato, in quello stesso anno escono Silverado e Il cavaliere pallido. Per di più il film su Tex, che avrebbe dovuto avviare una serie televisiva, ha molte criticità, nella trama, nella fotografia, nella regia, nella recitazione e pure negli effetti speciali. Tutti aspetti che avevano fatto la fortuna del western all'italiana.
Giuliano Gemma qui in "Sella d'argento" di Lucio Fulci, 1978 (Wikimedia commons)
Due anni dopo ho avuto modo di ascoltare dal vivo Sergio Bonelli, il figlio di Gianluigi che, a una domanda specifica sul film, rispose testualmente: "Purtroppo era un grande desiderio di mio padre, io sono andato a vederlo e ho rimpianto il prezzo del biglietto".
Un destino tra l'altro comune a quello di un altro grande fumetto western, il francese Blueberry (meno longevo, “solo” una cinquantina d’anni) da cui fu tratto nel 2004 un film più pretenzioso, ma altrettanto scarso. Una grande occasione persa, ma forse irrealizzabile.
Sergio Bonelli a Lucca Comics 2009 (cr. Torsolo Wikimedia commons)
Nei fumetti di Tex la differenza tra buoni e cattivi è quasi sempre netta e la psicologia dei personaggi rarissimamente approfondita. Inoltre è praticamente assente l'elemento comico, che invece proprio Sergio Bonelli inserirà in Zagor (sua creatura originale, che mischia western e fantastico) con il personaggio di Cico.
Fabio Civitelli, uno fra i disegnatori di Tex (cr. Nicholas Gemini Wikimedia commons)
Forse la longevità di Tex è dovuta proprio a una sua identità originale che in quasi ottant'anni è cambiata pochissimo nei personaggi e nell'ambientazione, con tutto sommato pochissime divagazioni nel territorio fantastico o del fantascientifico, peraltro già operate da Gianluigi Bonelli (Tex si trova ad incontrare e combattere anche alieni, cavernicoli, thugs, aztechi e vichinghi oltre a maghi di ogni genere).
Ma dato che a settembre 2025 esce il numero 780 del fumetto, possiamo dire con tranquillità che queste storie non classicamente western rappresentano solo una piccola frazione dell'intera collana. Tex comunque è ancora qui, mentre il cinema western è ormai decisamente marginale.
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