La cultura del sacrificio

La cultura del sacrificio

Punto di raccolta dei lavoratori delle consegne a domicilio Crediti Fumikas Sagisavas per Wikimedia Commons

Illusioni di successo e realtà del fallimento

La cultura del sacrificio permea da sempre il nostro immaginario collettivo. È la narrativa dominante che ci spinge a credere che con abbastanza impegno e dedizione, ogni sogno sia realizzabile. Ma cosa accade quando questo racconto si scontra con le strutture sociali ed economiche contemporanee?

La pubblicità natalizia di Amazon offriva uno spunto di riflessione. La pubblicità narrava la storia di un uomo che ha sempre sognato di diventare un artista, ma che nella realtà si trova a svolgere lavori di pulizia. La promessa implicita è che, grazie ad Amazon, potrà almeno simulare il coronamento del suo sogno. Con un acquisto online, riceve un completo da showman, trasformando per un momento la sua frustrazione in illusione. Tuttavia, lo spot non suggerisce mai che il protagonista possa effettivamente realizzare il suo sogno: si limita a consolarlo, invitandolo ad accontentarsi di un simulacro di felicità. Questa dinamica è perfettamente descritta dalla pagina Instagram "Aestetica Sovietica", che sottolinea come lo spot giochi sul sentimentalismo delle scelte che non abbiamo, rinforzando la cultura del sacrificio inserita nella più grande cornice del consumismo.

Generazioni a confronto  

Se confrontiamo i dati tra le generazioni, emerge un quadro interessante. Secondo un sondaggio Istat del 2023, il 68% dei Millennial (la generazione dei nati tra i primi anni Ottanta e la metà degli anni Novanta) ritiene che il successo sia fortemente legato alla fortuna e alle opportunità socio-economiche, mentre solo il 42% dei Baby Boomers (la generazione dei nati tra il 1946 e il 1964) condivide questa visione. Questa discrepanza riflette un cambiamento culturale: mentre le generazioni precedenti erano disposte a sacrificarsi nella convinzione di ottenere una vita migliore, i giovani oggi sono più scettici riguardo a questo paradigma.Il sacrificio, un tempo visto come leva per la mobilità sociale, è oggi percepito come un ingranaggio che alimenta le disuguaglianze. Esempio lampante è la condizione lavorativa dei corrieri, evocata implicitamente nella pubblicità: invisibili e sempre in corsa contro il tempo, simbolo di un sistema che premia pochi e lascia indietro molti.

Se vuoi puoi? Non sempre 

Come ha spiegato l’opinionista Camilla Boniardi (nota con lo pseudonimo Camihawke) in una recente intervista, la retorica del “se vuoi, puoi” è profondamente fallace. Secondo Boniardi, questa mentalità crea frustrazione e senso di inadeguatezza in chi non riesce a raggiungere i propri obiettivi, trascurando fattori strutturali come la fortuna, il contesto socio-economico e il privilegio. “Non sopporto la retorica del se vuoi puoi, del se ci credi ce la fai, non mollare mai. Crea in chi si confronta con te una frustrazione enorme. Dice se io non ce l’ho fatta è perché non sono stato abbastanza bravo, non c’ho creduto abbastanza, quindi sono un fallito”.

La realtà è che il successo dipende da una complessa interazione di impegno, talento, opportunità e circostanze. Continuare a promuovere la cultura del sacrificio come unica via per la realizzazione personale non fa che perpetuare illusioni e disuguaglianze. La pubblicità di Amazon è solo uno dei tanti esempi di come il mercato sfrutti la cultura del sacrificio per vendere prodotti e sogni confezionati. Ma forse è tempo di spostare l’attenzione dalla glorificazione del sacrificio alla valorizzazione di sistemi più equi e inclusivi.

Riconoscere i limiti della retorica del “se vuoi, puoi” non significa rinunciare ai propri sogni, ma imparare a navigare un mondo complesso con maggiore consapevolezza e meno illusioni. E forse, come Spartaco, possiamo iniziare a dichiarare collettivamente che il vero cambiamento parte dal rifiuto di accettare l’ingiustizia come destino inevitabile.

 

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