Quando la povertà diventa spettacolo

Anche i tubi in cemento sono usati come casa (cr. Zayed Assan Wikimedia commons)
L’esperimento fallito e la falsa analisi delle disuguaglianze
Un milionario decide di fingersi povero per dimostrare che chiunque può diventare ricco. Lo fa con un esperimento documentato, il cui obiettivo è raggiungere un milione di dollari in dodici mesi partendo da zero. L’idea sembra interessante, quasi stimolante, ma la realtà si scontra con le premesse: dopo dieci mesi, l’esperimento si conclude con 64.000 dollari e un ritiro per “motivi di salute”.
Questo fallimento, tuttavia, non è il vero problema. Il punto cruciale è ciò che l’esperimento rappresenta in termini di comprensione distorta della povertà e delle dinamiche sociali. L’autore di questo progetto, Mike Black, dichiara di partire da zero, ma questa affermazione è profondamente fuorviante.
Un clochard a Milano (cr. Bramfab Wikimedia commons)
Il suo punto di partenza non è affatto una tabula rasa, ma un capitale invisibile costruito in anni di successo. Questo patrimonio include un’esperienza imprenditoriale decennale, una rete di contatti consolidata, competenze comunicative e mediatiche e, soprattutto, la certezza psicologica di poter tornare a casa in qualsiasi momento. Quello che viene presentato come un partire da zero è, in realtà, l’equivalente di giocare a Monopoli partendo con le proprietà già acquistate ma tenute nascoste.
Questa narrazione alimenta una delle più problematiche ideologie del capitalismo contemporaneo: l’idea che il fallimento individuale sia la principale spiegazione della povertà sistemica. In questo contesto, la “povertà” diventa un’esperienza turistica, una forma di voyeurismo. A differenza del tradizionale “poverty tourism”, dove una delle questioni etiche centrali riguarda il consenso delle persone le cui vite vengono osservate e spesso fotografate, Mike Black eleva questo voyeurismo a un livello superiore: trasforma la propria simulazione di povertà in contenuto destinato a milioni di spettatori.
Jacarta (Indonesia), baracche costruite accanto a una discarica (cr. J.MacIntosh Wikimedia commons)
Questo processo rappresenta la logica evoluzione dell’economia dell'attenzione, dove anche la sofferenza simulata può diventare uno strumento di personal branding (la promozione strategica di sé stessi e della propria immagine, spesso online, per scopi professionali o di visibilità).
Le reazioni a questo tipo di contenuto rivelano una profonda polarizzazione sociale. Chi difende iniziative come questa spesso manifesta una forte adesione al mito meritocratico, secondo il quale il successo dipende unicamente dallo sforzo individuale. Al contrario, chi le critica tende a riconoscere la violenza simbolica che si nasconde dietro l'appropriazione estetica della povertà.
Senzatetto dormono davanti a una stazione (cr. Nastydarius Wikimedia commons)
Non si tratta, quindi, di un dibattito sulla figura di Mike Black, ma di una discussione più ampia sui meccanismi attraverso cui la società costruisce e legittima la disuguaglianza. In questo caso specifico, manca persino il pretesto del beneficio reciproco, tipico di altre forme di povertà-performance. Rimane solo l’appropriazione estetica dell’indigenza, usata per convalidare ideologie che, paradossalmente, danneggiano chi vive realmente in condizioni di povertà.
I City Angels assistono senzatetto a Torino (cr. Mariamariana Wikimedia commons)
Il problema strutturale non è un singolo individuo, ma un sistema mediatico che premia la spettacolarizzazione della sofferenza e penalizza l’analisi rigorosa delle cause strutturali della disuguaglianza. Finché continueremo a consumare la povertà-spettacolo anziché interrogarci criticamente sui meccanismi che la producono, assisteremo inevitabilmente all'emergere di nuovi protagonisti pronti a “dimostrare” che la condizione di povertà non è che una scelta individuale.
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