Mondiale 1958, nel segno di due assi

Just Fontaine e Pelè (cr. El Grafico e Panini Wikimedia commons)
Il capolavoro di Fontaine e Pelè
Potremmo partire dalla fine, registrando che il mondiale di calcio del 1958 si chiuse con la vittoria del Brasile, che riuscì finalmente a cancellare la vergogna della sconfitta con l’Uruguay del 1950, il dramma ribattezzato Maracanazo. Però parlando di quel mondiale giocato in Svezia vale la pena partire dal segno lasciato da due campioni passati alla storia del calcio: l’uno – Just Fontaine – miglior marcatore di sempre con 13 gol in un solo mondiale, l’altro – Pelè – diventato simbolo stesso dello sport e più giovane marcatore e campione del mondo, con i suoi 17 anni e poco più.
Gli azzurri
E l’Italia? Se quattro anni prima in Svizzera le cose non erano andate bene con l’eliminazione allo spareggio dopo i gironi iniziali, nel 1958 le cose andarono anche peggio perché per la prima volta nella loro storia gli azzurri non riuscirono nemmeno a qualificarsi. Il fatto, pensando oggi alla lunghissima assenza dell’Italia dai mondiali, forse potrebbe essere liquidato come un accidente del destino, ma allora l’esclusione di una nazionale due volte campione del mondo fece scalpore. E a lasciarci a casa non fu una delle grandi del calcio mondiale: bastò l’Irlanda del nord.
Just Fontaine nel mondiale del 1958 (Wikimedia commons)
Due storie in apparenza molto diverse quelle di Fontaine e di Pelè. Il primo un attaccante prolifico che con un paragone azzardato potrebbe essere avvicinato a Tex: l’eroe dei fumetti spara con entrambe le mani, Fontaine calciava sia di destro sia di sinistro. Per il francese nato in Marocco il mondiale di Svezia ha rappresentato il momento più alto della carriera. I tabellini delle partite dei blu sono da record: per Fontaine tre gol contro il Paraguay, due alla Jugoslavia e un altro alla Scozia. E questo solo per quello che riguarda il girone iniziale.
Fontaine in casa a Tolosa con la moglie durante un'intervista, 1971 (cr. André Cros Wikimedia commons)
Poi nei quarti due all’Irlanda del nord, in semifinale (persa 2-5) uno al Brasile e nella finalina quattro alla Germania federale. Era un altro calcio rispetto a quello di oggi, non c’è dubbio, ma Fontaine era un concentrato di talento puro con l’istinto predatore dell’attaccante, capace di sfruttare ogni occasione. Non a caso la Francia lo celebra come uno dei più forti calciatori in maglia blu di ogni tempo. Non ebbe invece la stessa fortuna sulla panchina della sua nazionale, poco più di una meteora.
Dal Brasile
Del tutto diversa la vicenda di Pelè. I suoi esordi con una palla ottenuta riempiendo di stracci un calzino rivoltato sembrano costruiti a tavolino per una favola a lieto fine, ma fra mito e leggenda si inserisce una storia fatta di vittorie e di classe immensa, tanto che il giovane Pelè diventando grande ha finito per oscurare il valore della sua stessa squadra: era il Brasile di Pelè, si diceva.
Brasile-Galles, il primo gol di Pelè al Mondiale (Wikimedia commons)
Questo ragazzino di 17 anni per tutto il girone iniziale prese le misure – modo alternativo per dire che non andò mai in gol – ma si sfogò dai quarti di finale in poi, spedendo a casa il Galles, facendone tre alla forte Francia e in finale spedendone due nella rete della Svezia che con un 5-2 rimise nel cassetto i sogni di gloria, consapevole però di avere perso con una squadra di un altro pianeta.
La partita fra Brasile e Urss finita 2-0 (Wikimedia commons)
Nell’arco della sua lunga carriera – con tre mondiali vinti all’attivo – Pelè arrivò a identificarsi con il calcio stesso, al punto che il millesimo gol (arrivato su rigore) diventò un evento planetario. Le immagini della rete furono trasmesse, con il rilievo dovuto, dalle televisioni di tutto il mondo. La sua squadra – il Santos – deve la sua celebrità fuori dai confini brasiliani all’aver dato a Pelè la maglia numero 10.
L'addio al calcio di Pelè con le bandiere di Brasile e Stati Uniti, 1977 (cr. Richard Drew Wikimedia commons)
Ormai a fine carriera, Pelè fu il primo a giocare per una squadra degli Stati Uniti, i Cosmos di New York. Chiunque altro l’avesse fatto, sarebbe stato giudicato come un asso in declino alla ricerca di un ingaggio; Pelè invece ebbe un grande ruolo nel lanciare e poi consolidare il calcio nel Nord America, finendo per diventare leggenda anche per le stelle e strisce.
Terminata la carriera, ebbe la felice intuizione di non rovinarsi la fama facendo l’allenatore ma continuò sulla strada intrapresa di ambasciatore vivente del calcio nel mondo, gloria non più solo del Brasile. Lo si vide al cinema e in televisione, conteso anche dalla pubblicità. La sua morte, pochi giorni dopo il Natale del 2022, fu un lutto per il mondo intero.
Nils Liedholm fra il re Gustavo VI Adolfo e Skoglund (cr. Scanpix Wikimedia commons)
Questi i due grandi protagonisti. Ma siccome la storia del calcio è fatta soprattutto di nomi e di risultati, il mondiale di Svezia si ricorda anche per le inaspettate e ingloriose uscite di scena dell’Inghilterra e dell’Argentina con l’Ungheria ormai fuori dal giro delle grandi. La finale Brasile-Svezia finì 5-2 ma furono i padroni di casa ad andare in vantaggio dopo un pugno di minuti, con il gol di un asso leggenda anche del calcio italiano, in campo e in panchina: un certo Nils Liedholm. Ma contro il Brasile di Pelè non bastò nemmeno il barone.
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