Lo zombi viene da lontano

Lo zombi viene da lontano

Bela Lugosi, protagonista del primo film sugli zombi (cr. Monogram Pictures Wikimedia commons)

Da Haiti ha preso la strada di Hollywood  

Possiamo definire lo zombi come il parente (molto) povero del vampiro. Infatti non ne possiede né la volontà né il fascino, e inoltre si presenta in modo assai deprimente, più o meno decomposto e nauseabondo. Va da sé che il suo potenziale di personaggio autonomo e la sua profondità psicologica sono pari pressoché a zero.

Se come sottolineato di recente nell’articolo Il vampiro, campione dei mostri la figura del vampiro è figlia della modernità, si può ben altrettanto dire che la figura dello zombi è addirittura figlia della contemporaneità. Infatti per come la conosciamo adesso non ha precedenti simili nelle mitologie classiche, ma un’origine ben definita nel folklore religioso dei Caraibi.


Oggetti del voodoo haitiano al Canadian museum of civilization (cr. Shankar Wikimedia commons)

È proprio qui che negli ultimi due secoli e mezzo nasce una peculiare forma di sincretismo religioso, che unisce cristianesimo e una moltitudine di credenze magiche importate dagli schiavi africani. L'epicentro è Haiti che, nonostante sia stata la prima colonia europea ad avere conquistato l'indipendenza nel 1804, era e rimane uno dei paesi più poveri e arretrati del mondo.


Riti della Santeria all'Avana (cr. Bernardo Capellini Wikimedia commons)

Il culto in questione è il voodoo (una volta diffuso anche nelle zone di lingua francese del delta del Mississippi). Qualcosa di simile nei Caraibi spagnoli è la santería cubana e in Brasile il candomblé. Nel complesso mondo fantastico dell'immaginario voodoo, dove stregoni e spiriti la fanno da padroni, ha un ruolo peculiare la figura dello zombi. Si tratta di un essere umano riportato in vita grazie a rituali magici, ma completamente asservito alla volontà del suo padrone. Una figura fondamentalmente misera ed incapace di azioni proprie.

Il cinema

Tra gli anni dieci e gli anni trenta del secolo scorso l'esercito statunitense occupò Haiti, “per restaurare l'ordine”, come per altro avrebbe poi fatto più volte in altri paesi caraibici e del centro America. Fu tramite l'esperienza dei soldati americani che l'esistenza di questi "morti viventi" entrò nel mondo della cultura di massa.

Già nel 1932 Bela Lugosi, che l’anno precedente aveva interpretato con enorme successo il primo Dracula, è il protagonista del film “L'isola degli zombi” dove incarna un malvagio stregone che usa i suoi poteri per fini poco edificanti. In quegli stessi anni cominciava anche lo studio etnografico del fenomeno, grazie ad antropologi come Zora Neal Hurston, che trascorse molto tempo ad Haiti intervistando sacerdoti dei culti, adepti e vittime.

L'antropologa e scrittrice Zora Neal Hurston (cr. World telegram staff photographer Wikimedia commons)

Da lì è partito un proficuo filone di studi che ha fatto della credenza dello zombi, ancora attuale nelle zone rurali di Haiti, un vero e proprio archetipo di "costruzione sociale", un fenomeno che è vero perché creduto vero. Negli anni ottanta l'antropologo Edmund Wade Davis, attraverso vari lavori e anche un fortunato romanzo (da cui fu tratto il film di Wes Craven “Il serpente e l'arcobaleno”) avanzò l’ipotesi che i sacerdoti voodoo utilizzassero nei loro rituali un estratto del pesce palla, già noto per contenere tetrodotossina, una sostanza estremamente letale, ma che in dosi piccolissime può indurre una morte apparente.


L'antropologo Edmund Wade Davis (Wikimedia commons)

Sarebbe stato questo uno degli elementi su cui si sarebbe poi fondato il mito, anche se va detto che questa tesi è ancora oggetto di molte controversie scientifiche. Hollywood comunque tornò sul tema con un altro film del 1943, “Ho camminato con uno zombi” di Jacques Tourneur, ambientato nei Caraibi britannici, che ripropone gli stessi temi.

Ma finora avrete notato l'assenza completa delle caratteristiche che normalmente associamo a questo personaggio. Non esiste il contagio, non esiste il cannibalismo, non esiste l'andatura lenta e trascinata e nemmeno la possibilità di ucciderli colpendoli alla testa.  Il contagio nasce per derivazione dall'idea del vampiro e viene reso popolare soprattutto da alcuni libri di fantascienza, come il celebre “Io sono leggenda” di Richard Matheson, dove un’improvvisa epidemia stermina o trasforma in mostri praticamente tutta l'umanità.


Il regista George Romero autore de "La notte dei morti viventi", 1968 (cr. Kevin Stanchfield Wikimedia commons)

Ma è nel 1968 che, con il grande George Romero, tutti questi elementi si uniscono a formare l'immaginario contemporaneo. Il suo film in bianco e nero “La notte dei morti viventi”, costato solo poche migliaia di dollari, fonda letteralmente il genere. I morti ritornano a camminare sulla terra a causa delle radiazioni emesse da una sonda spaziale e si aggirano lenti, famelici e insaziabili. Diventa subito un cult e penetra nella cultura di massa con estrema rapidità, e come poi si vedrà anche in tutti i successivi film di Romero, la storia è permeata da una profonda e feroce critica del sistema americano.

Una scena da "La notte dei morti viventi" di Romero, 1968 (Wikimedia commons)
 
Da notare che il regista non userà mai il nome zombi nei titoli dei suoi film, preferendo sempre “morti” o “morti viventi”. Negli anni immediatamente seguenti però il termine fu recuperato e si diffuse capillarmente, tant'è che quando dieci anni dopo, e con ben altri mezzi, Romero propone il primo sequel, in Italia uscirà direttamente con il titolo “Zombi”.

La televisione

Nel frattempo si comincia ad assistere a una vera e propria invasione (termine stavolta davvero più che adeguato) del personaggio dello zombi nel cinema, nei fumetti, nelle serie TV, nei videogiochi e nella letteratura, in tutte le derivazioni possibili. Si va da “The walking dead” a “Resident Evil”, da “World War Z” a “The last of us”, per non parlare del filone della commedia horror come “Zombieland” o “L'alba dei morti dementi”.

Sul set di "World War Z" (cr. Mark Harkin Wikimedia commons)

Lo zombi diventa sempre di più soprattutto un infetto, che si trasforma anche senza morire, e forse l’unica caratteristica nuova del personaggio, per lo meno dal film di Danny Boyle “28 giorni dopo”, è che ora abbiamo zombi che corrono a una velocità sfrenata, eliminandone quindi una delle debolezze più evidenti. Rari, ma non assenti, i tentativi di riportarli a una dimensione più umana (“Warm bodies” del 2013), ma a quel punto esiste già la figura del vampiro, decisamente più ricca di possibilità.

Insomma lo zombi, inebetito e in preda solo a pulsioni distruttive, non è più un individuo, ma solo parte di un’orda, un insieme ingovernabile ed inarrestabile, con cui non si può in alcun modo comunicare e che con inesorabile costanza tenta di bussare alla nostra porta. E forse questo è l’aspetto che ci fa più paura.

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