Ferite inguaribili in famiglia

Immagine dalla pagina dei Marines degli Stati Uniti (Wikimedia commons)
Le fasi della violenza sulle donne
L’espressione “violenza domestica” si inscrive nella più generale cornice della violenza di genere. Designa tutti i tipi di violenza all’interno della famiglia: emotiva, psicologica, fisica, sessuale, economica, stalking, indipendentemente dal fatto che l’autore condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la sua vittima. La casa, il luogo in teoria più sicuro e protetto, diventa il contesto abituale di episodi che assumono, con il tempo, il carattere della cronicità. Il nemico non è un estraneo ma si annida nella rete familiare, nelle relazioni più intime. È il compagno di vita, narcisista maligno. Un'indagine Istat ha rilevato che quasi sette milioni di donne, nel corso della propria vita, hanno subito una qualche forma di violenza (di genere), dalla battuta volgare, al contatto indesiderato, fino allo stupro.
Prima fase
La prima fase consiste nella costruzione e nella progressiva crescita della tensione. Il partner diventa, sempre più spesso, esigente, irascibile, ipercritico. La donna cerca di astenersi da affermazioni o comportamenti che, seppure ragionevoli, potrebbero esacerbare la tensione. Col tempo, i suoi tentativi si dimostrano poco, o solo momentaneamente, efficaci. Subentrano poi minacce dirette, alternate a più o meno prolungati silenzi ostili, a comportamenti scostanti del partner. Gentilezza ed empatia si raffreddano.
Questi sono segnali di pericolo, anche in assenza di atti di violenza fisica. Se l’amore è malato non è (più) amore. Difficile tornare all’idillio, come spera la donna. Lentamente si costruisce una gabbia fatale.
Seconda fase
Nella seconda fase, la violenza assume aspetti più eclatanti: insulti rabbiosi, minacce fisiche, perdite di controllo; poi veri e propri atti fisici, in una escalation che va da piccole spinte, a torsioni delle braccia fino alla inevitabile perdita di controllo: schiaffi, pugni, calci, minacce con oggetti contundenti o taglienti. O armi, quando presenti.
Foto realizzata per conto del Senato del Brasile (Wikimedia commons)
Di solito, cessata la fase della rabbia violenta, subentra nell’abusante il rilascio della tensione e una sensazione di benessere lo pervade. Questa, spesso, rinforza la ripetizione degli atteggiamenti violenti, creando una sorta di dipendenza alla ripetizione.
Terza fase
La terza fase, la “luna di miele”, può essere già comparsa o subentrare adesso: l’abusante si giustifica, chiede perdono, senza vero pentimento. Preda di un falso ravvedimento, si mostra di nuovo amorevole. Promette di emendarsi, di cambiare. “Cambierò, te lo giuro. Mettimi ancora alla prova. Lo sai che ti amo”. Si ripresenta con un regalo, un mazzo di fiori, una cena romantica. Incolpa il lavoro, la situazione economica, lo stress, qualche bevuta eccessiva. A volte minaccia il suicidio, in caso di abbandono. Lei ritrova il partner amorevole e affascinante che ha conosciuto all'inizio della relazione, e inoltre pentito. Prova pena per lui e il suo dolore. Crede al suo pentimento.Cartello esposto in un parco a Madrid (cr. Montserrat Boix Wikimedia commons)
Si autoinganna, ingenuamente, che la forza del proprio amore e della propria dedizione possano trasformare o recuperare il partner. Tende, per un meccanismo inconscio di negazione, a rimuovere il ricordo doloroso dei maltrattamenti, a sminuire le violenze subite, a difenderlo, di fronte a terzi e a se stessa. “Cosa sarà mai uno spintone. Qualche urlo”. Vuole credere davvero alle cause esterne che lui accusa. È l’errore fatale, definitivo.
Si sente in colpa, per avere anche solo pensato o vagheggiato una separazione. Col tempo, però, è costretta a rendersi conto di non poter controllare l’escalation. Non reagisce più, evita di alimentare la tensione. A volte ha timore per i figli, se presenti, e prova vergogna nei confronti dei suoi familiari e delle amiche, che si erano opposti a quella unione, che l’avevano messa in guardia. “Sono grande abbastanza per saper badare a me stessa”. Era la sua risposta.
Valencia, murale contro la violenza sulle donne (cr. Josep Lluis Wikimedia commons)
Frattanto, inesorabile, il partner arriva a incolpare la donna stessa, come causa scatenante delle sue perdite di controllo. Non più un generico stress o il lavoro. La trappola che ingabbia la vittima è scattata: “Se la colpa è mia, forse è possibile tornare al periodo felice degli inizi”, vuole convincersi la donna. Vede il compagno - e in questo non sbaglia - come un uomo solo, fragile, bisognoso d’aiuto, da salvare. Prende corpo il suo spirito materno, anche se il dubbio e l'incertezza permangono.
Il ciclo, come tale, è intermittente, pertanto più subdolo e pericoloso. Le fasi della luna di miele si accorciano e si allungano le fasi della violenza. Il pericolo per l'incolumità della donna, adesso, è massimo.
Nonostante ciò, molte decidono di non denunciare, tornano dal partner violento, per quel maledetto senso di colpa, convincendosi di poter esercitare ancora qualche forma di contenimento o di redenzione (si ripete l’errore della donna, parallelamente al ciclo della violenza). I segnali dell’invischiamento, come nelle sabbie mobili, non sono più campanelli d’allarme, ma sirene d'allarme.
Murale realizzato per una campagna antiviolenza (cr. Betoscopio Wikimedia commons)
Solo le donne sono in grado di sopportare questo tipo di dolore.
Ogni volta che il ciclo si ripete, nella vittima aumenta la sensazione di impotenza e arrendevolezza: qualsiasi cosa proverà a fare non riuscirà ad evitare gli abusi. Ma sente che deve fare qualcosa. Ma cosa?
Difficilmente si rivolgerà alla rete di supporto sociale o alle proprie reti familiari e amicali, perché isolata socialmente e chiusa interiormente.
Purtroppo vi sono seri vincoli che ostacolano l’uscita dall’invischiamento:
la dipendenza economica;
la paura di violenze più gravi e di ritorsione contro figli e familiari;
lo scenario del fallimento personale, del crollo di un progetto di vita serena e dignitosa, e la prospettiva di nuovi fallimenti;
la percezione confusa di un mix discordante di aspetti negativi del presente e positivi del passato, relativamente al partner: “Lui è quello di adesso o è recuperabile l'uomo che ho conosciuto prima?”;
la perdita dell’autostima, il sentimento di vergogna, il senso di impotenza, di isolamento, di colpa, in un progressivo smarrimento di sé;
la scarsa conoscenza e la difficoltà di accesso ai servizi dedicati alla violenza di genere; l’inefficacia dell’intervento della legge e delle istituzioni giudiziarie.
Nella vana attesa di un cambiamento, individuale e sociale, la donna è sola. Adesso vorrebbe allontanarsi dalle sabbie mobili ma la prima fase del ciclo della violenza domestica è stata superata. Purtroppo.
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