“Non puoi lasciarmi, sono meglio di te”

Il Wall of Dolls a Milano, installazione contro la violenza sulle donne (cr. Fred Romero Wikimedia commons)
Lettera a una moglie vittima di amore tossico
Tiziano Ferretti, medico, ha scritto per iosonospartaco questa lettera immaginaria a una donna vittima di violenza, fingendosi nelle vesti di un narcisista che sfoga sulla compagna i propri fallimenti e frustrazioni
Ti ho cercata e voluta con tutte le mie forze, non sei capitata per caso. Eri proprio tu, quella che volevo. Eri quella che più assomigliava al mio Sé ideale, perfetta per me.
Ma ti ho voluto passiva, e mi sono dato da fare affinché tu rinunciassi, piano piano, a te stessa. Dovevo riuscire a renderti dipendente da me, a illuderti che avevi bisogno di me e della mia guida.
Così ho studiato con attenzione ogni aspetto della tua vita, le tue abitudini, i tuoi gusti, le tue debolezze, i tuoi desideri, le cose che facevi.
Manifestazione contro la violenza sulle donne, nel 2018 a Roma (cr. Camelia Boban Wikimedia commons)
Mi sono mostrato al meglio delle mie qualità, ho recitato la versione perfetta del tuo partner ideale, empatico, galante, buon ascoltatore. Ti ho somministrato l’amore sognato dei film. Ti ho mostrato cosa sono capace di fare a letto, e fuori. Ho condiviso con te il dolore di certi racconti, ti ho aperto le porte della mia interiorità. All’inizio, un po’, mi ero illuso che con te il mio malessere potesse sparire, diventando la persona che avrei voluto essere.
Ma non potevo amarti e ammirarti, cercando di crescere con te, perché poi ho cominciato ad invidiarti e a non sopportarti. Tu, innamorata, ti sei fidata.
Colpa tua
A quel punto, ho smesso e ti ho detto che la colpa era tua, che mi hai fatto soffrire, hai sbagliato, non sei stata capace. Ti ho convinto di essere colpevole, per aver rovinato la storia migliore della tua vita, di dovermi ripagare per questo.
E mi hai chiesto scusa. Lì ho capito che la droga del mio amore aveva fatto effetto e che eri disposta a pagare per riprendere in mano la nostra irripetibile storia.
Dovevo consolidare la mia assoluta supremazia: ti ho martellato insinuando dubbi sulla fedeltà e sincerità dei tuoi parenti e amici, svalutandoli. Ti dovevi fidare solo di me, il tuo eroe, e assicurarmi che non ti avrebbero messo in guardia. Per questo, non voglio tua madre e tua sorella a casa nostra, e ti ripeto che i tuoi amici e colleghi sono un branco di idioti.
Per questo sono stato taciturno, scostante alle cene e alle feste, creandoti motivi di vergogna e ingabbiando la tua libertà di movimento. Non dovevi divertirti da sola, ma soltanto con me oppure solo se ero io a concedertelo.
Quando hai scelto tu il luogo di vacanza, ti ho colpevolizzata dicendo che il posto era orribile, e te l’ho rovinata. Dovevi starmi vicino, e soffrire.
Quante volte ti ho detto che non eri più sexy, quando ci hai provato ti ho riso in faccia dicendo che eri ridicola.
Solo io
Un po’ alla volta, sono riuscito a entrare nella tua testa come unica voce del coro. E mi sono sentito molto meglio: potevo renderti felice o infelice a mio piacimento.
Hai accettato le mie condizioni, così ho goduto del meraviglioso spettacolo di cosa eri disposta a fare per me. Non mi importava se ti sentivi sempre più tesa, sbagliata, timorosa di qualcosa di incombente.
Ho potuto usare il sesso come ricatto, e l’ho interrotto per lunghi periodi, dandoti dell’incapace. Ti ho criticato su valori che io, invece, non rispettavo, trovandomi delle amanti con le quali parlavo male di te, per sentirmi poi in colpa e tornare alla base, da te.
Ma non potevo distruggerti, dovevi rimanere viva, per cui ti ho dato di nuovo ciò che speravi, nel tuo animo. Riuscivo ad eccitarmi solo quando avevi paura di perdermi o io di perderti.
Il monumento alla donna vittima di violenza a Puerto Montt, in Cile (cr. Rodolfo Ditzel Lacoa Wikimedia commons)
Ma poi scoprivo che eri sempre lì, riconfermandomi che avere scelto te era stata la cosa giusta da fare. Poco dopo subentrava la nausea. Come avevi potuto permettere a me di farti tutto questo e non accorgerti di chi sono veramente? Mi chiedevo se forse non eri così forte come credevo. Io la tua fragilità, in fondo, non la tolleravo ed evitavo di confrontarmi con le tue debolezze. Stavi male? Fingevo indifferenza, mi allontanavo con qualche scusa o mi trovavo un’altra, per un po’. Volevi parlare con me? Piangevi? Che noia! Ma ti facevo credere che così mi facevi del male. Per riavermi dovevi dimostrare che saresti sempre stata lì, qualunque cosa avessi io detto o fatto, con la stessa età, nello stesso luogo e illusione di luna di miele con cui ci siamo uniti.
Niente alternative
Venivano i momenti in cui dovevo chiederti scusa, giurarti che sarei cambiato. E tu ti arrendevi, mi perdonavi, convinta di non avere alternative. Le avresti avute, ma non te ne accorgevi. Anzi, sembravi gratificata ad ogni periodo di riconciliazione, convinta che in fondo il rapporto, nel complesso, era ancora positivo.
Dunque, non eri perfetta e forte. L’avere scelto te gettava un’ombra sulla mia perfezione, e cercavo altre fonti di illusione, ma non ti abbandonavo perché non volevo essere abbandonato. Tornavo sempre, quando mi andava, ma eri mia e io tenevo a te a modo mio.
Non potevi ribellarti, non potevi esigere reciprocità: io ero il capo, il padrone del gioco, di me stesso, di te e di “noi”. Quel “noi” ero io e tu eri il mio giocattolo.
Mi sembrava il minimo che la vita mi doveva.
Non devo ringraziare nessuno perché valgo di più e più di altri ho sofferto e il mondo fa schifo. Non permetterti mai di abbandonarmi. Temo che rischieresti molto.
Riproduzione riservata