I due gemelli estranei

I piedini di due gemelli appena nati (dalla pagina Facebook Un amore di nonna)
A Bronte li chiamavano il Sole e l’Ombra
A Bronte li chiamavano “il Sole e l’Ombra”. Erano gemelli, nati lo stesso giorno, dallo stesso ventre, ma in due ore diverse. Il primo, Antonio, venne alla luce alle sei del mattino, quando il sole sfiorava l’Etna con dita d’oro. Il secondo, Salvo, nacque a mezzanotte passata, mentre un temporale senza pioggia scuoteva i vetri. Da allora, nessuno li vide mai camminare insieme.
Antonio parlava con le mani, con gli occhi aperti, con la voce pronta a scaldare anche i muri freddi. Lavorava all’aperto, potava alberi, accarezzava le foglie come fossero cose vive. Ogni mattina correva lungo la strada alta, salutava i pastori, si bagnava la fronte alla fontana. Era bello da guardare, e lo sapeva. La luce gli si aggrappava addosso come un mantello naturale.
Il sole che spunta sull'Etna con le nuvole intorno (cr. Leandro Neumann Ciuffo Wikimedia commons)
Salvo no. Salvo camminava con le spalle curve, parlava solo con i gatti e con i sogni. Non usciva mai prima che il sole calasse. Lavorava in un magazzino abbandonato, restaurava orologi rotti, ombrelli piegati, cornici spezzate. Nessuno sapeva dove andasse a dormire. Dicevano che vivesse sotto terra, o dietro una porta che non c’era. Gli occhi scuri, fissi, parevano leggere le crepe dei muri e i sussurri delle cose dimenticate.
Il padre, un tempo, provò a farli sedere insieme. Ma i due si respingevano. Come due poli uguali. Come se una legge invisibile li costringesse a non sfiorarsi mai. Quando Antonio entrava in chiesa, Salvo usciva dal retro. Quando Salvo saliva al cimitero, Antonio prendeva il sentiero basso. A Natale, uno andava alla messa dell’aurora, l’altro a quella della notte.
A scuola si erano scambiati il nome una volta, per gioco. Ma la maestra li scoprì subito: “La luce ha un passo diverso – disse - e l’ombra non impara: assorbe”. La frase rimase scritta in gesso sul muro, per anni, anche quando la scuola chiuse.
Alla festa di San Biagio, Antonio accese tutte le fiaccole. Salvo le spense, una per una, durante la notte. Nessuno lo vide farlo, ma il paese capì. Li amarono entrambi. Ma diversamente. Antonio era speranza, Salvo era paura. E la gente ha bisogno di tutte e due. Uno per il giorno, l’altro per i sogni.
L'ombra proiettata dal sole sulla strada (cr. Tano 4595 Wikimedia commons)
Un giorno Antonio s’innamorò. Una ragazza di fuori, con le mani lisce e la voce stonata. Si chiamava Viola. Sorrideva sempre. Disse: “Hai un fratello? Voglio conoscerlo”. Ma lui rispose: “Meglio di no. Lui ti vedrebbe solo quando mi spegni”. Viola non capì. Ma si fidò. Fece bene? Nessuno può dirlo. Forse sì. Forse no.
Salvo, però, la vide. Una sera, senza farsi notare, mentre lei leggeva alla finestra. Non disse nulla. Ma per tre notti, le ombre della stanza di Viola non si spensero mai. Lei sognò cose strane: scale senza fine, orologi che camminavano, una voce che chiedeva: “E se anche la luce volesse dormire?”.
Poi arrivò l’anno del fuoco. L’Etna si svegliò, e il paese tremò. Antonio salì per aiutare. Salvo scese per ascoltare. E lì, tra la lava e il fumo, per la prima volta si trovarono faccia a faccia. Nessuno sa cosa si dissero. Nessuno sa se si toccarono. Ma da quel giorno, nessuno li vide più. Né il Sole. Né l’Ombra.
L'eruzione dell'Etna del 2018 (cr. Andrea Mirabella Wikimedia commons)
Solo una figura rimase. Ogni tanto appare all’alba, e poi scompare al tramonto. Cammina tra le pietre, con un passo né dritto né curvo. Porta una camicia chiara, ma le mani sono nere di cenere. Parla da solo, ma con due voci. Una calda, una cava. Una dice “andiamo”, l’altra “restiamo”. Una volta una bambina lo seguì. Tornò dicendo: “Dentro ha due cuori. Uno batte, l’altro si ferma.”
Il vecchio fabbro giura che li vide confondersi. Dice che la luce piegò il capo all’ombra, e l’ombra si accese per un istante. Dice che furono uno solo, per la prima volta. Ma nessuno gli credette. Tranne il parroco, che una sera trovò un messaggio lasciato sotto la statua di San Placido:
“Ci siamo temuti per trent’anni. Ma senza di me, lui non brilla.
Senza di lui, io non esisto.
Eppure non ci siamo mai guardati.
Ora, forse, possiamo riposare.
In mezzo”.
La carta era piegata in due. Una metà era bianca. L’altra, nera.
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