Lavorava i fichi e faceva i miracoli

Vincenzo Campi, "La venditrice di frutta", 1580 (Wikimedia commons)
Le mani sante della saracinaia di Santa Elisabetta
Non era un mestiere, ma una condanna leggera. La chiamavano saracinaia, come se bastasse un nome antico per giustificare le ore curve, le mani appiccicose, l’odore dolce che diventava puzza quando il caldo ci batteva sopra. Concetta si sedeva ogni giorno nel magazzino, all’ombra del muro storto, e sceglieva i fichi secchi a uno a uno, per dividerli: buoni, da vendere, guasti, da buttare. Quelli così così li metteva in mezzo, che magari servivano ai porci.
Panorama di Santa Elisabetta (cr. Toni Pecoraro Wikimedia commons)
A Santa Elisabetta, paese alto e polveroso, nessuno la guardava due volte. Era bassa, larga di spalle, sempre vestita uguale. Ma aveva l’occhio fino. Bastava un morso d’ape o una macchia di muffa e lei scartava. “La saracinaia non sbaglia,” diceva il padrone. Ma lo diceva per farsi bello, non per rispetto.
Il lavoro cominciava a settembre, quando i fichi si erano già spaccati sul cannicciato e portavano ancora addosso il caldo dell’estate. Concetta arrivava prima degli altri. Lavava le mani con l’acqua piovana. Si sedeva. Aspettava i panieri. Poi partiva, col ritmo delle dita e del giudizio.
Famiglia
Una volta c’era anche sua sorella, Rosalia. Ma si era sposata con un carrettiere di Raffadali, e se n’era andata. Concetta era rimasta sola col padre, muto da anni. Parlava solo col cane e col Signore, la sera. Diceva: “Fa’ che Concetta trovi marito,” ma senza convinzione.
Georg Flegel, "Natura morta con vaso di fiori, noci, frutta e topo" (cr. Sotheby's 2007 Wikimedia commons)
Una volta, un forestiero le si avvicinò. Era venuto a comprare i fichi per conto di una ditta di Palermo. Vide Concetta piegata sulle sarte, le mani che andavano come le forbici. Disse: “Brava, signorina”. Lei non rispose. Si pulì le dita sul grembiule e scartò un fico mezzo marcio.
Il padrone, Don Calogero, diceva che la sua era arte. “C’è gente che studia per scegliere il vino, questa invece capisce i fichi senza manco tastarli”. Ma poi le dava sempre la stessa paga: due lire e mezza, un pezzo di pane duro e i fichi scartati. “Per il babbo”, diceva lui. “Per il cane”, pensava lei.
Michelangelo Cerquozzi, "Giovanetto che raccoglie frutta", 1640, Prado (Wikimedia commons)
Una sera, il padre morì. Concetta non disse niente a nessuno. Finito il lavoro, rientrò a casa, lo trovò freddo, gli chiuse gli occhi, gli mise le scarpe buone e restò seduta tutta la notte. La mattina dopo andò al magazzino. “Mi faccia lavorare, Don Calogero. Dopo lo seppellisco”.
Il prete venne solo il pomeriggio. Mise due parole, una croce di legno e se ne andò. Nessuno pianse. Solo il cane, che grattava la porta. Concetta gli lasciò un fico guasto. “Per te”, disse, e per la prima volta sorrise.
La crisi
Gli anni passarono. Il magazzino diventò più vecchio. I fichi sempre più pochi. I padroni cominciarono a dire che il mercato non rendeva. Concetta non parlava. Continuava a scegliere. Anche quando le mani le tremavano. Anche quando gli occhi si stancavano. Lei li scartava lo stesso. “Questo no. Questo sì”.
Particolare da un'immagine pubblicitaria per lo sciroppo di fichi, 1894 (cr. Miami university libraries Wikimedia commons)
Un giorno arrivò la voce che volevano chiudere tutto. “Non si vende più”, disse il nuovo amministratore. Concetta ascoltò, poi tornò al tavolo. “Mi faccia finire questo panierino”, disse. Nessuno rispose. Lei lo finì lo stesso. Poi si alzò, si tolse il grembiule e se ne andò.
La sorella Rosalia diceva che era morta. Ma non c’era certificato né croce né preghiera. Solo una voce, e un silenzio dietro. “Forse se n’è andata per conto suo – dicevano - come i cani vecchi”.
Piazza San Carlo a Santa Elisabetta, decorazioni sulla vita nei campi (cr. Clemensfranz Wikimedia commons)
Il magazzino fu chiuso il mese dopo. I fichi rimasti li misero in cassette di plastica, che sapevano di benzina e pioggia. Nessuno li toccava più con le mani. Si usavano guanti, sacchetti, bilance digitali. Il padrone nuovo aveva studiato a Milano, diceva che l’igiene era importante. Ma nessuno li comprava lo stesso.
Concetta nessuno la cercò. Solo il cane, quello grigio, restò un paio di mesi davanti alla porta del magazzino. Fiutava le pietre, si sedeva sull’uscio, come se l’odore della donna stesse ancora lì, tra le bucce secche e i pezzi di spago.
Pierre Bonnard, "Piatto di fichi", 1923 (cr. HaldHd Wikimedia commons)
Una mattina lo trovarono morto. Disteso, con la testa sullo stipite. Lo buttarono in un sacco e lo portarono fuori paese. “Non possiamo tenere cani randagi”. Ma uno dei ragazzi della cooperativa lo riconobbe. “Era il cane della saracinaia”. E tacque.
La scoperta
Passarono due stagioni. Il magazzino fu venduto a un imprenditore di Agrigento. Voleva farci un deposito per materiale edile. Ma appena cominciarono a rompere il muro interno, trovarono una cavità. Dentro, una cesta con dei fichi secchi, coperti da un telo bianco. E sopra, un biglietto: “Questi sono i buoni. Gli altri li ho dati a chi ne aveva più bisogno di me”.
Il cantiere si fermò. L’imprenditore se ne andò, disse che portava male. La voce si sparse e qualcuno cominciò a dire che la saracinaia era una specie di santa. Altri ridevano. “Era solo una povera scema con le mani appiccicose”.
Caravaggio, "Ragazzo con un cesto di frutta", 1593, Galleria Borghese (Wikimedia commons)
Ma la cesta non la toccò nessuno, restò lì. I fichi non marcirono. Solo si raggrinzirono ancora un po’. Ogni tanto, qualche donna entrava di nascosto, si sedeva accanto al cesto, toccava i frutti e diceva una preghiera. Poi usciva.
Don Calogero era morto anche lui. Il figlio, che ora dirigeva la cooperativa, una mattina volle fare pulizia. “Buttate tutto”. Ma i ragazzi si rifiutarono: “Questa è roba che ha visto troppa fame per finire nella spazzatura”.
Illustrazione d'epoca dedicata ai fichi (cr. May Rivers Wikimedia commons)
Allora fecero un ripiano. Misero il cesto al centro, con una targhetta di legno: “Concetta, detta la saracinaia – 1911 - ?”. Nessuna data di morte. Nessuna foto. Solo il nome e il mestiere.
Un giorno vennero dei turisti. Una guida locale raccontò la storia. Parlò di mani sante, di fichi scelti col cuore, di miracoli silenziosi. Uno dei visitatori si chinò sul cesto, ne sfiorò uno e disse: “Sembrano ancora vivi”. Il ragazzo del posto rispose: “Lo sono. Perché nessuno li ha mai sprecati”.
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